«L’attacco al Santuario sarebbe stato il primo atto
dimostrativo di una setta che vuole liberare il vostro regno dall’attuale
classe sacerdotale. Le Tre Madri del Fato ti aspettavano solo per parlarti di
questo».
«E perché non mi hanno chiamato prima?».
«Perché sapevano che saresti venuto di tua sponte,
naturalmente! Ma dovevi venire quando tu fossi stato convinto che era il
momento di farlo. Tu non sei una persona facile da convincere, ti fidi solo di
ciò che qualcuno ti ha dimostrato come vero. Sapevano che stava per succedere
qualcosa di grave nel tuo paese, ma non sapevano cosa. Sempre per quel discorso
che noi non possiamo vedere le cose che vengono dall’Altrove. E quindi loro
volevano sentire dalla tua bocca cosa fosse successo».
«Non riuscirò mai a capirvi veramente….».
«Non importa. Non è noi che devi capire, ma cosa sta
succedendo. Noi non possiamo farlo, ricordatelo sempre».
«E come faccio a dimenticarlo? Mi sento maledettamente
solo…..».
«Gli Uomini sono sempre soli, chiusi nelle stanze sbarrate
delle loro menti…. è la vostra condizione naturale. Eppure non ne siete mai
contenti».
Poco dopo giunsero Prukhu e Menkhu, che portavano in mano,
avvolte nei loro mantelli, le sette spade prese agli aggressori. Ridevano di
gusto.
Ma le loro risate morirono loro sulle labbra, prima quando
videro il morto a terra trafitto dalla spada, e poi quando guardarono di fronte
a sé, nel bosco, nella stessa direzione in cui aveva guardato l’aggressore di
Velthur prima di suicidarsi.
Con quell’ultimo gesto, il riso che si era mutato in
sconcerto, si mutò in terrore. Prukhu lasciò andare a terra le spade che teneva
in mano, Menkhu fu come percorso da un brivido e si strinse tutto in se stesso,
come a voler diventare più piccolo.
Velthur si voltò di scatto a guardare nella loro stessa direzione,
ma non vide assolutamente niente, solo il bosco che si perdeva nel fondovalle,
dove si sentiva il rumore lontano di un torrente.
«Figlio, vedi anche tu quello che vedo io?».
«Eccome, se lo vedo! Andiamocene via subito, padre!».
«Un momento, cos’è che vedete? Noi non vediamo nulla! Tu,
Azyel, vedi qualcosa laggiù?».
«No, non vedo niente neanche io, ma non ho la vista di un
Sileno, come non ce l’hai tu. Tu sai, vero, cosa possono vedere, no? L’hai
scoperto quella mattina d’inverno di sette anni fa sulla barca lungo il fiume….
ricordi?».
Improvvisamente Velthur si ricordò di quell’episodio che
aveva dimenticato in mezzo ai tanti ricordi dolorosi e tremendi di quel
periodo. O meglio, aveva dimenticato cosa aveva significato per lui. La
scoperta di una parte della vita dei Sileni che non aveva mai conosciuto prima.
La capacità di vedere l’Invisibile.
Si voltò di nuovo verso i due amici, che continuavano a
fissare apparentemente il nulla, quasi ipnotizzati da una misteriosa visione.
«Cosa state vedendo, allora? Uno spirito? Un’altra delle
misteriose figure luminose ed evanescenti che vedete fra le ombre?».
«No, Velthur, no…. » balbettò Prukhu «Magari vedessimo solo
quelle. Vediamo ben altro…. Ma non te lo possiamo dire! Possiamo solo dirti che
ce ne dobbiamo andare tutti quanti! Subito!».
«E lasciare quest’uomo qui? Non possiamo! O mi dite che cosa
state vedendo, o io non mi muovo!».
Anche Azyel sembrava spaventarsi sempre più.
«Non possono dirtelo perché riguarda i misteri del belk, Velthur! Riguarda i segreti
dell’Altrove, e loro sarebbero capaci di farsi uccidere, pur di non rivelarli!
Fa come ti dicono, e lascia questo posto anche tu. Torniamo alla strada!».
Velthur emise un grugnito di rabbia, poi si chinò sul morto,
lo voltò su di un fianco e gli estrasse la lama dal cuore.
«Anche se ha cercato di uccidermi, non è giusto lasciare il
suo corpo ai lupi, ai corvi e agli avvoltoi. Sarà meglio che mi diate prima o
poi delle buone ragioni per fare quello che stiamo facendo!