domenica 9 aprile 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 367° pagina.


volenterosi, siano essi etarna o athumna, che vorranno collaborare con noi, sono bene accolti, se sono devoti agli Dei e seguono le antiche tradizioni che ci hanno portato a tutto questo».

«Io…. sono senza parole, Reverenda Madre! Eukeni non mi aveva detto nulla di questo».

«Le avevo ordinato io di non parlarne a nessuno fuori dell’ordine, nemmeno alle persone più vicine. Ve l’ho mostrato perché penso che sia venuto il momento per mostrare a tutti i Thyrsenna questo prodigio che potrebbe cambiare per sempre il Regno Aureo . Capite quale grande beneficio potremmo portare al Veltyan, se riuscissimo a dominare il segreto della levitazione e del trasporto aereo di cose e persone?

Pensate a quante gravose fatiche e sofferenze sarebbero risparmiate ai lavoratori più poveri, quante sventure e stenti verrebbero evitate alle province più povere e disagiate.  Abbiamo bisogno di tanti talenti alchemici, che vengano coltivati ed addestrati per compiere questa grandiosa impresa, che solleverebbe le sorti di tanta povera gente, ma anche di tutti i Thyrsenna. Pensate: con l’alchimia della levitazione, il nostro popolo sarebbe potentissimo e imbattibile. Nessun nemico, nessun invasore potrebbe più prevalere contro di noi.

E vorrei tanto che Loraisan potesse essere uno dei giovani talenti che renderanno possibile questo prodigio. Sono sicura che lui potrebbe. Ne sei convinto anche tu, Loraisan?»

Il bambino riuscì a riscuotersi dopo che Harali aveva cercato diverse volte di richiamare la sua attenzione. Era rimasto completamente incantato, ipnotizzato da quel prodigio. Non si aspettava niente del genere, e il dottor Velthur non gli aveva mai parlato della possibilità, tramite l’alchimia, di poter volare o far volare degli oggetti.

Volare…. uno dei suoi sogni. Forse uno dei suoi sogni più ossessivi. Lo avevano sempre affascinato le favole e i miti di eroi ed eroine che riuscivano a volare magari cavalcando prodigiosi animali alati, o su baldacchini trainati da stormi di uccelli, o con ali artificiali che imitavano quelle dei volatili, o semplicemente per magia.

Ma questa non era una favola, non era un sogno. Aveva visto una pesante pietra grigia sollevarsi da terra come una piuma trasportata dal vento, solo grazie ad un suono.

Non poteva non fantasticare sulla possibilità che un giorno potesse operarlo lui, quel prodigio, e che non avrebbe fatto volare una roccia, bensì lui stesso, e magari anche a un altezza molto maggiore.

Volando sopra campi e foreste, fiumi e città, fino alla cima delle montagne, verso orizzonti lontani.

Ma solo se avesse coltivato il suo farthankar, il suo talento alchemico che, lui ne era sicuro, possedeva in abbondanza, ma che nello stesso tempo temeva come un morbo, come una malattia da nascondere prima che potesse portare contagio e morte.

Da quel giorno in cui il giovane pellegrino si era suicidato di fronte all’edicola di Sethlan, Loraisan era sempre stato convinto che il suo farthankar era qualcosa da nascondere e reprimere, ma ora provava una tentazione irresistibile che lo spingeva a coltivare sogni audaci e proibiti. Ed era proprio una donna consacrata, una monaca sacerdotessa, ad invitarlo a coltivare questo suo lato segreto.

Forse quello era il segno divino che aveva atteso, per cui aveva pregato. Forse se avesse studiato l’alchimia sotto la guida delle Spose di Sin, avrebbe imparato a controllare il suo farthankar, affinché potesse aiutarlo a fare il bene, e a non causare la morte.

«Mi ascolti, Loraisan? Per la luce di Sil e Sin, il bambino si è incantato! Avrei dovuto immaginarlo che sarebbe stata una sorpresa troppo grande per lui! Non devi avere paura, bambino mio. È solo un’emissione di forza alchemica. Non è un prodigio divino!».

«Io…. voglio imparare l’alchimia!».
Harali sorrise di nuovo e annuì. Loraisan non lo sapeva, ma stava sognando anche lei. Misteriosamente affascinata da quel bambino dai grandi occhi neri, sognava per lui un futuro grandioso. Non sapeva dire perché, ma sentiva che un grande futuro attendeva quel bambino, che in lui c’era una carica enorme, un destino ancora inespresso che attendeva di schiudersi e che doveva essere lei a spingerlo in alto. Lei che aveva rinunciato ad avere figli, ad avere un uomo, lei che aveva rinunciato ad avere una famiglia, compensando la scarsa avvenenza con una ricerca ossessiva

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