E poi c’era il dottor Laran, che quando gli avevano chiesto
della morte del Reverendo Padre, aveva dato delle risposte un po’ ambigue.
Aveva detto che forse
il suo cuore si era fermato improvvisamente, perché non trovava altra
spiegazione. In pratica, detto così
la sua autopsia non aveva dimostrato un bel niente.
Mezenthis gli aveva raccomandato di diffondere quella
versione, e Velthur aveva ubbidito, ma
la cosa gli aveva creato un conflitto di coscienza. Per la dottrina
dell’Aventry, mentire era un atto grave, che poteva essere giustificato solo se
ne dipendeva la vita di una o più persone.
Mezenthis gli aveva detto chiaramente che se non sosteneva
la versione ufficiale, non doveva più aspettarsi nessun aiuto economico per
poter svolgere al meglio il suo lavoro di medico.
Velthur non aveva potuto fare a meno di acconsentire. Ma non
era riuscito, evidentemente, ad essere convincente, causa il senso di colpa che
provava. Non era affatto sicuro che la sua menzogna potesse contribuire a
favorire un clima di pace fra i pellegrini del Santuario.
La morte di Maxtran era qualcosa di misterioso, e non poteva
non pensare che essa si aggiungeva alla ormai lunghissima lista di eventi
misteriosi di quella contrada, e tale sarebbe stata vista da tutti quanti, alla
fine.
Ma le voci che circolavano di più, erano riguardo chi
potesse avere avuto interesse ad avvelenare il Reverendo Padre. E lì le cose si
erano fatte decisamente preoccupanti.
C’era chi sospettava lo stesso Mezenthis, che secondo alcuni
aspirava a estromettere la famiglia Akapri, per sostituirla con sacerdoti
scelti da lui, interamente succubi al suo comando.
Altri ancora sospettavano addirittura la figlia, che ora era
rimasta da sola a guidare i riti del Santuario, e che aveva fatto in modo che
il suo sposo, un essere insignificante e succube del volere della moglie,
sostituisse Maxtran nella carica di sacerdote custode.
Anche se, a dire il vero, tale successione era comune e prevedibile
per le tradizioni familiari dei sacerdoti. Nel Veltyan, per qualsiasi cosa, il primo
successore di un uomo o era il figlio della sorella o il marito della figlia.
Ma tant’era, i pettegolezzi si arrampicavano su ogni cosa,
per quanto stupida, pur di poter diffondere la peggiore delle ipotesi.
E naturalmente ce n’erano altre, di dicerie. Soprattutto
quelle più terrificanti. Maxtran era stato ucciso da qualche pellegrino di
qualche setta segreta che complottava per rovesciare la classe sacerdotale del
luogo e impadronirsi del Santuario, servendosi della diffusione del terrore ed
eliminando tutti coloro che avrebbero potuto opporsi.
E ovviamente, il sacerdote custode doveva essere la prima
vittima.
Cominciò a diffondersi la paura del complotto, il sospetto
che ogni pellegrino che entrava nel paese e poi nel Santuario, se aveva un
aspetto non particolarmente rassicurante, o insolito, potesse essere un
assassino, un seminatore di terrore, un sicario prezzolato da qualche gruppo
oscuro.
Se prima i fanatici religiosi erano stati un fastidio,
adesso sembravano essere diventati una vera minaccia.
I gestori delle locande cominciarono ad assumere l’abitudine
di perquisire tutti i pellegrini che capitavano da loro, a spiarli, pronti a
denunciarli ai gendarmi se avessero notato qualche attività sospetta.
Si stava respirando un clima sempre più pesante, in paese e
tutt’attorno al Santuario, fino ad Aminthaisan e sulle colline, dove
cominciavano a circolare anche lì storie di gruppi di pellegrini fanatici
armati di spada, che si stavano ammassando nella regione con il proposito di
prendere il Santuario con la forza. Un sospetto che, Velthur lo sapeva bene,
non era del tutto campato in aria. Ma proprio per questo non aveva modo di
poter distinguere la verità dalla fantasia, o dalla menzogna strumentale.
L’isteria collettiva si stava propagando in nuove forme.
Prima era la paura degli spiriti oscuri della notte, dei malefici di streghe e
stregoni, adesso vi si aggiungeva la paura di nascoste congiure sanguinarie.
Ma presto Velthur ebbe cose più importanti a cui pensare,
almeno per lui.
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