Mentre scendeva con cautela, Maxtran notò che i gradini
erano perfettamente squadrati, che si trattava di lastre infisse nel
sottosuolo, ma che i movimenti del terreno le avevano parzialmente inclinate e
rese instabili. Le pareti erano anch’esse fatte di pietre squadrate, in parte
corrose dall’umidità, che le aveva rese parzialmente porose.
La scala comunque era ampia, e i gradini erano anch’essi
molto grandi, come se fossero stati progettati per persone di statura
altissima.
Scese per diversi metri, fino ad arrivare all’imboccatura di
una galleria scavata nella roccia.
Una sorta di arco delimitava l’entrata, sulla sua sommità
sporgeva la testa di un animale scolpita nella pietra, un animale che sembrava
essere un toro, o un bufalo.
Uno scatto di terrore gli fece alzare la spada verso la
scultura, quando vide un lampo rosso scaturire dai suoi occhi.
Subito dopo però si accorse che in realtà era il riflesso di
due sfere di qualcosa che sembrava vetro rosso incastonate nelle cavità
scolpite degli occhi, e che riflettevano la luce della sua lampada in modo
sinistro.
Tirò un sospiro di sollievo, ma subito dopo gli venne un
brivido alla schiena pensando che probabilmente lui era il primo essere vivente
a entrare in quel luogo da prima del Diluvio.
Non era un uomo così rozzo e privo di immaginazione che si
sarebbe potuto pensare. Anche lui sentiva il reverente timore per ciò che era
antico e misterioso.
Quanti millenni erano passati dal tempo in cui la lastra era
stata chiusa e sepolta per sigillarne il segreto? Quanta gente era passata o
vissuta nei paraggi, proprio come lui e la sua famiglia, senza rendersi conto
del segreto su cui camminavano?
Un altro brivido di paura gli corse lungo la schiena quando
gettò uno sguardo in fondo alla galleria, e si rese conto che una luce brillava
in fondo, una luce rosso-arancio, tremula, che sembrava illuminare un locale
alla fine della galleria. Sembrava quasi la luce di un fuoco. Ma come poteva
bruciare un fuoco in quel luogo sotterraneo dimenticato dagli Dei e sconosciuto
agli Uomini da interi millenni?
Forse aveva ragione sua moglie, si disse. Forse era meglio
aspettare la luce del giorno, forse era meglio chiamare qualcuno in aiuto per
non affrontare da soli quella cosa sconosciuta.
Forse davvero un terrificante spirito risvegliato dal suo
sonno millenario lo attendeva alla fine della galleria, e forse il dono della
Fata era solo un inganno malevolo, una trappola del destino che gli avrebbe
portato sciagura.
Forse era il caso di chiamare una strega, o un sacerdote,
che esorcizzasse gli spiriti di quella che pareva essere una necropoli
antidiluviana, o forse un tempio a una divinità sconosciuta e dimenticata.
E mentre osservava la luce che proveniva da oltre la
galleria, gli parve che sullo sfondo luminoso, si stagliasse la figura di un
gatto seduto sulle zampe posteriori, in attesa.
Risalì la scala gettando sguardi furtivi dietro di lui, come
ad accertarsi che niente e nessuno sbucasse dal buio della galleria.
La luce della luna calante non gli era mai parsa così
rassicurante e familiare.
Sua moglie, per fortuna, aveva smesso di urlare.
«Allora, padre? Hai visto qualcosa, là sotto?»
Maxtran non rispose.
«Aspetterò qua di fronte la luce del giorno, come ho detto.
Poi tu andrai alla fattoria dei Ferstran e chiederai a Larsin di venire qui,
digli che è una cosa importante e che forse c’è da guadagnare parecchi pentacoli».
«E tu, mentre io vado… scenderai da solo?».
«Ci devo ancora pensare…. la galleria là sotto è dritta, e
sembra in buono stato. Non ci sono crolli, da quel che ho visto alla luce della
lampada. Però potrebbero esserci miasmi irrespirabili. Può succedere nei luoghi
sotterranei. Lasciamo che l’aria vi entri per evitare rischi. Quel posto deve
essere rimasto chiuso e senz’aria dalla notte dei tempi».