venerdì 22 aprile 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 78° pagina.


con il candore azzurrino dei suoi capelli le dava l’aspetto di un essere dell’oltretomba, che rendeva ancora più inquietanti i suoi grandi occhi simili a pozzi neri.

A vederla, non si poteva dubitare che, come dicevano le tradizioni popolari, quell’essere avesse dimestichezza con il mondo degli spiriti e con i misteri del destino.

La Fata avanzò ancora verso di loro, e al suo fianco comparve ciò che all’inizio aveva spaventato i figli di Maxtran: uno dei grossi gatti grigio scuro di Monte Leccio.

«Non temete, è il mio gatto. È un gatto delle Fate, ed è diverso dai vostri gatti, ma è innocuo, se nessuno lo aggredisce, o non aggredisce uno dei miei».

Larthi avanzò verso di lei, sorridendo.

«È da quando ero bambina, che non vedevo una Fata. Mia madre era una loro amica, e le incontrava spesso nel bosco vicino a casa mia».

«Ricordo bene tua madre, e ricordo anche te. Una mia cugina profetizzò a tua madre che avresti fatto un buon matrimonio, e che non saresti stata più povera. Ma ora tu possiedi una cosa che appartiene a me, e che ho perduto».

«Sì, e sarò felice di restituirtela, affinché possa allontanare le disgrazie dalla mia casa!».

Maxtran, che era rimasto fino ad allora quasi paralizzato dallo stupore, si volse di scatto verso la moglie.

«Un momento! Vuoi dire che questa Fata è venuta qui solo per riprendere lo scialle che ho trovato sul monte?».

«Esattamente, Uomo. Ti ho visto prendere il mio scialle e portarlo nella tua casa. Prima, non potevo trovarlo, perché Monte Leccio ora per noi è contaminato, e in esso i nostri poteri sono limitati. Non osavo recarmi là per riprenderlo. Ma tu l’hai recuperato, e io adesso posso richiedertelo, in cambio di un favore che vi posso fare».

«Il favore che potresti farmi, è spiegarmi cosa sta succedendo. Cosa avete combinato, lassù sul monte? Cosa è successo?».

«Non ve lo posso dire. È una cosa che riguarda solo noi, di cui ci dobbiamo occupare da soli».

«Per la Luce di Sil, che io sia maledetto se la cosa non riguarda anche noi. Sono vostre, quelle bestie grige? Ci hanno fatto prendere un colpo, a me e ai miei compagni, quando siamo saliti sul monte oggi! Li avete mandati voi, ad inseguirci?».

«Non erano lì a farvi del male, loro erano lì a sorvegliare…. loro sono i nostri guardiani!».

«I guardiani di cosa? Cosa sorvegliano?».

«Non ve lo posso dire… è uno dei nostri segreti. Non dovete avere paura di loro…. Non sono loro il pericolo».

«E qual è allora, il pericolo? Quello che Hermen il fabbro ha visto qualche notte fa, forse? Perché tu sai cosa ha visto, vero?»

«Maxtran, smettila! Non puoi rivolgerti così a una Fata! Non te ne verrà niente di buono! Vuoi attirare il destino avverso su di noi?».

«Voglio sapere la verità! Lei la sa, la verità! A costo di far guerra al suo popolo, io la saprò!».

«Se insisterai, dovrò andarmene. E non potrò farvi il mio dono. Voglio solo il mio scialle, quello che ho perso all’ultimo belk, e poi vi farò il mio dono e non tornerò più a disturbarvi, a meno che non lo vogliate voi».

«Maxtran, vai a prendere lo scialle, ti prego. È l’unica cosa saggia da fare. Hai sentito? Vuole farci un dono… non avrai a pentirtene».

Il vecchio soldato lanciò un paio di imprecazioni, e si avviò verso l’entrata di casa, mentre le figlie non avevano potuto fare a meno di avvicinarsi, appena si erano rese conto della misteriosa presenza comparsa dalla notte.

«Voi state indietro!» le apostrofò.

«Padre, è una Fata! Ti prego, lascia che ci predica il futuro!».

«Non se ne parla neanche! Chi può desiderare di sapere il futuro, se può portarci disgrazie? Meglio non saperne niente, no?».

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