con il candore azzurrino dei suoi capelli le dava l’aspetto
di un essere dell’oltretomba, che rendeva ancora più inquietanti i suoi grandi
occhi simili a pozzi neri.
A vederla, non si poteva dubitare che, come dicevano le
tradizioni popolari, quell’essere avesse dimestichezza con il mondo degli
spiriti e con i misteri del destino.
«Non temete, è il mio gatto. È un gatto delle Fate, ed è
diverso dai vostri gatti, ma è innocuo, se nessuno lo aggredisce, o non aggredisce
uno dei miei».
Larthi avanzò verso di lei, sorridendo.
«È da quando ero bambina, che non vedevo una Fata. Mia madre
era una loro amica, e le incontrava spesso nel bosco vicino a casa mia».
«Ricordo bene tua madre, e ricordo anche te. Una mia cugina
profetizzò a tua madre che avresti fatto un buon matrimonio, e che non saresti
stata più povera. Ma ora tu possiedi una cosa che appartiene a me, e che ho
perduto».
«Sì, e sarò felice di restituirtela, affinché possa
allontanare le disgrazie dalla mia casa!».
Maxtran, che era rimasto fino ad allora quasi paralizzato
dallo stupore, si volse di scatto verso la moglie.
«Un momento! Vuoi dire che questa Fata è venuta qui solo per
riprendere lo scialle che ho trovato sul monte?».
«Esattamente, Uomo. Ti ho visto prendere il mio scialle e
portarlo nella tua casa. Prima, non potevo trovarlo, perché Monte Leccio ora
per noi è contaminato, e in esso i nostri poteri sono limitati. Non osavo
recarmi là per riprenderlo. Ma tu l’hai recuperato, e io adesso posso
richiedertelo, in cambio di un favore che vi posso fare».
«Il favore che potresti farmi, è spiegarmi cosa sta
succedendo. Cosa avete combinato, lassù sul monte? Cosa è successo?».
«Non ve lo posso dire. È una cosa che riguarda solo noi, di
cui ci dobbiamo occupare da soli».
«Per la Luce
di Sil, che io sia maledetto se la cosa non riguarda anche noi. Sono vostre,
quelle bestie grige? Ci hanno fatto prendere un colpo, a me e ai miei compagni,
quando siamo saliti sul monte oggi! Li avete mandati voi, ad inseguirci?».
«Non erano lì a farvi del male, loro erano lì a
sorvegliare…. loro sono i nostri guardiani!».
«I guardiani di cosa? Cosa sorvegliano?».
«Non ve lo posso dire… è uno dei nostri segreti. Non dovete
avere paura di loro…. Non sono loro il pericolo».
«E qual è allora, il pericolo? Quello che Hermen il fabbro
ha visto qualche notte fa, forse? Perché tu sai cosa ha visto, vero?»
«Maxtran, smettila! Non puoi rivolgerti così a una Fata! Non
te ne verrà niente di buono! Vuoi attirare il destino avverso su di noi?».
«Voglio sapere la verità! Lei la sa, la verità! A costo di
far guerra al suo popolo, io la saprò!».
«Se insisterai, dovrò andarmene. E non potrò farvi il mio
dono. Voglio solo il mio scialle, quello che ho perso all’ultimo belk, e poi vi farò il mio dono e non tornerò
più a disturbarvi, a meno che non lo vogliate voi».
«Maxtran, vai a prendere lo scialle, ti prego. È l’unica
cosa saggia da fare. Hai sentito? Vuole farci un dono… non avrai a pentirtene».
Il vecchio soldato lanciò un paio di imprecazioni, e si avviò
verso l’entrata di casa, mentre le figlie non avevano potuto fare a meno di
avvicinarsi, appena si erano rese conto della misteriosa presenza comparsa
dalla notte.
«Voi state indietro!» le apostrofò.
«Padre, è una Fata! Ti prego, lascia che ci predica il
futuro!».
«Non se ne parla neanche! Chi può desiderare di sapere il
futuro, se può portarci disgrazie? Meglio non saperne niente, no?».
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