domenica 10 aprile 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 68° pagina.


Hermen e Maxtran continuavano ad indietreggiare verso il sentiero a spade sguainate, l’uno di fianco all’altro, mentre Larsin e Velthur adesso erano impietriti.

«Velthur…. è questo…. è questa cosa qui che può aver tanto spaventato le Fate da farle scappare tutte quante?»

«Io…. a quanto ne so, le Fate si fanno ubbidire da tutti gli animali!»

«Ma siamo sicuri che quelli siano… animali? A me sembrano dei demoni! Guardali! Hai mai visto degli animali comportarsi così? Come se fossero dei soldati in formazione?».

Quando i quattro si furono riuniti all’imboccatura del sentiero, la schiera di gatti si mosse all’unisono, avanzando lentamente verso il falò. Non sembravano voler attaccare gli uomini, quanto piuttosto solo spaventarli con una dimostrazione di forza.

Ovviamente, la corsa giù per il colle fu precipitosa. Ma presto i fuggiaschi dovettero accorgersi che non dovevano tanto guardarsi dietro per vedere se venivano inseguiti, quanto piuttosto guardarsi ai lati, dal profondo del bosco, dove occhieggiavano altri bagliori fosforescenti tra i rami, sia sul terreno che tra i rami, e dove si udivano fruscii e leggeri schiocchi di rami spezzati.

Sembravano essere dovunque.

Arrivati all’altezza del sentiero che conduceva alla casa dell’eremita, Hermen gridò: «Andiamo dall’eremita! Avvertiamolo di quello che sta succedendo! Non possiamo lasciarlo solo con quelle bestie!».

«Va bene! Vado io ad avvertirlo!» gli rispose Velthur «Voi continuate a scendere dal colle e se potete, avvertite qualcuno! Noi ci barricheremo dentro la casa fino a quando non arriveranno i soccorsi!».

«Dottore, mi sembra una cosa folle! Non vi sembra più sensato che vi aspettiamo qui, così fuggiamo tutti e cinque?».

«No! Chi mi assicura che riesca a convincerlo a venire con noi?».

Si lanciò per il sentierino, ma rimase impietrito per la seconda volta.

Dalla prima svolta del sentierino dell’eremo, si poteva vedere la casetta di pietra addossata al crinale, e di fronte ad essa scorse una visione sconcertante.

Davanti alla porta della casa c’era l’eremita, chinato ad accarezzare uno dei grossi gatti selvatici, che gli si strusciava contro affettuosamente, come se fossero vecchi amici. Dietro di lui, un altro grosso gatto usciva dalla porta della casetta.

Velthur si sentì offuscare la vista. Cominciò a chiedersi se non stesse vivendo un’allucinazione.

Cosa diavolo avevano respirato, là in cima al monte? Si chiese. Cosa avevano aspirato, osservando le ceneri del fuoco fatuo? Continuò a ripetersi, mentre correva sentendosi mancare il cuore più per l’angoscia e lo sconcerto, che per la corsa.

Per fortuna, riuscì a raggiungere in poco tempo i suoi compagni, che erano scesi già di un paio di tornanti lungo il sentiero.

Quando furono arrivati in fondo al sentiero, di nuovo sulla strada lastricata di pietra, Hermen fece un solenne giuramento, fra un ansito e un altro.

«Io giuro su Nostra Signora dei Cieli, Madre Universale, e su tutti gli Dei, che mai e poi mai salirò un'altra volta su questo monte. È la seconda volta in pochi giorni che devo scendere da questo maledetto sentiero correndo a perdifiato!».

Si guardarono attorno, e rimasero sorpresi nel vedere che i gatti non si vedevano più, né si sentiva alcun rumore venire dal bosco. Era come se, una volta visti gli uomini uscire dal bosco, avessero deciso di lasciarli stare e ritirarsi in buon ordine.

«E adesso spiegateci, dottore, perché siete tornato indietro? Cosa avete visto là, all’eremo?».

«L’eremita…. è amico dei gatti selvatici. Ne ho visti due con lui, in atteggiamento molto domestico e amichevole. Li tiene in casa propria!».

«Fra poco ci direte che è stato lui ad ammaestrarli per tenere lontane le Fate….».

«Beh…. Non c’ho proprio pensato! Cioè, non ho fatto in tempo a pensarlo, ma in effetti potrebbe essere uno straccio di spiegazione razionale in questa faccenda in cui non riesco a spiegarmi niente!».

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