«Te l’avremmo detto quando fossimo arrivati in cima al
colle, perdonaci se puoi, ma…. temevamo che non ci avresti preso sul serio,
Maxtran. Hermen e il suo amico ci hanno detto che quello che li ha inseguiti
non era un uomo, ma un gigantesco mostro volante».
Maxtran si infuriò, poi si mise a ridere.
«È uno scherzo! Ma non potevate inventarvi uno scherzo più
credibile??? Oh, che stupidi che siete stati!».
«Va bene, torna pure a casa, se non ci credi. Noi
continuiamo ad andare su…. Sempre se Hermen non se la fa sotto dalla paura!
Guardalo! È veramente spaventato!».
«Sentite. Io di robe strane ne ho viste tante nella vita, al
fronte ho visto delle cose che facevano paura, ma di mostri volanti non ho mai
sentito parlare. Neanche le Fate hanno cose del genere, e nemmeno i Nani. E mi
stupisco che il dottore, qui, possa rimanere serio a sentir parlare di queste
cose!».
«Infatti io non ho detto che ci credo, Maxtran. Io non so
cosa hanno visto Hermen e il suo amico, però li ho visti spaventatissimi. E
dicono che hanno sentito delle urla spaventose venire dalla cima di Monte
Leccio. I fuochi delle Fate li hai visti tu stesso, per cui qualcosa di strano
è successo».
«Perché ve ne interessate, dottore? Perché non fare una
segnalazione ai gendarmi e mandare loro a fare un sopralluogo?».
«Diciamo che io la so molto più lunga dei gendarmi. Sono
successe alcune cose strane, di recente. Superstizioni, certo. Ma appunto per
questo, meno se ne parla, meglio è. Quando succedono cose che riguardano le
Fate, la gente chiacchiera, si spaventa, comincia a vedere cose che non
esistono. Normalmente i gendarmi non sono molto bravi a impedire che le voci
più superstiziose corrano. Prima diamo un’occhiata noi, lassù, e poi decidiamo
se parlarne con i gendarmi forestali».
«Va bene, anche se a me sembrate matti!».
Ripresero il cammino, sempre nel silenzio più assoluto. La
salita sotto il sole li faceva sudare tutti abbondantemente, chi più chi meno.
«Appena torniamo giù, mi butto nel fiume!».
«Ci buttiamo tutti dentro, sicuro!».
A circa metà della salita, notarono che da uno dei tornanti
del sentiero, un sentierino più piccolo scendeva nel bosco. Proprio
all’imboccatura, c’era una piccola edicola dedicata a Sil, e sembrava essere là
da poco tempo.
La pietra della piccola nicchia, che riproduceva in
miniatura la struttura di uno dei tipici templi thyrsen, era ancora bianca e
priva di muschi e licheni. Al suo interno, la statuina in vetro di Sil, dentro
cui splendeva una minuscola lampada perenne, aveva il manto ancora
perfettamente dorato, senza nessuna scrostatura e la corona di raggi dorati e
di dodici stelle argentee erano scintillanti, come appena lucidata.
«Questo sentierino conduce a qualcosa… vedete là in fondo?
C’è una piccola costruzione in pietra».
«Beh, se per caso ci vive qualcuno quassù, magari sa
qualcosa. Ma mi sembra un posto scomodo, per viverci».
Il sentiero terminava dopo un centinaio di passi, di fronte
a quella che era di fatto una minuscola casetta di pietra , accanto alla quale
si trovava quella che pareva una minuscola cappellina, così piccola da farci
stare una sola persona, con una porticina di legno chiusa, ma non sbarrata.
«Sembra la residenza di un eremita» commentò Maxtran. «Il
posto adattto dove stare fuori del mondo per dedicare la vita al culto di
Nostra Signora».
Quasi a rispondere alle sue parole, la porta della casetta
si aprì con un cigolìo sinistro, e comparve un uomo piccolo e minuto, sulla
cinquantina.
Portava la semplice tunica bianca tipica dei sacerdoti monaci, la cui vita era
tutta dedicata alla preghiera, alla meditazione e alla rinuncia ai beni
mondani, per dedicarsi interamente alla preghiera e alla contemplazione
dell’essenza divina di Sil.
Alla vita portava una cintura di corda bianca, simbolo di
purezza, i suoi capelli erano completamente rasati e dal suo volto scendeva una
lunga, ondulata barba nera screziata di grigio, sotto cui spiccava una croce
ansata di legno che gli pendeva sul petto.
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