lunedì 4 aprile 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 63° pagina


«Te l’avremmo detto quando fossimo arrivati in cima al colle, perdonaci se puoi, ma…. temevamo che non ci avresti preso sul serio, Maxtran. Hermen e il suo amico ci hanno detto che quello che li ha inseguiti non era un uomo, ma un gigantesco mostro volante».

Maxtran si infuriò, poi si mise a ridere.

«È uno scherzo! Ma non potevate inventarvi uno scherzo più credibile??? Oh, che stupidi che siete stati!».

«Va bene, torna pure a casa, se non ci credi. Noi continuiamo ad andare su…. Sempre se Hermen non se la fa sotto dalla paura! Guardalo! È veramente spaventato!».

«Sentite. Io di robe strane ne ho viste tante nella vita, al fronte ho visto delle cose che facevano paura, ma di mostri volanti non ho mai sentito parlare. Neanche le Fate hanno cose del genere, e nemmeno i Nani. E mi stupisco che il dottore, qui, possa rimanere serio a sentir parlare di queste cose!».

«Infatti io non ho detto che ci credo, Maxtran. Io non so cosa hanno visto Hermen e il suo amico, però li ho visti spaventatissimi. E dicono che hanno sentito delle urla spaventose venire dalla cima di Monte Leccio. I fuochi delle Fate li hai visti tu stesso, per cui qualcosa di strano è successo».

«Perché ve ne interessate, dottore? Perché non fare una segnalazione ai gendarmi e mandare loro a fare un sopralluogo?».

«Diciamo che io la so molto più lunga dei gendarmi. Sono successe alcune cose strane, di recente. Superstizioni, certo. Ma appunto per questo, meno se ne parla, meglio è. Quando succedono cose che riguardano le Fate, la gente chiacchiera, si spaventa, comincia a vedere cose che non esistono. Normalmente i gendarmi non sono molto bravi a impedire che le voci più superstiziose corrano. Prima diamo un’occhiata noi, lassù, e poi decidiamo se parlarne con i gendarmi forestali».

«Va bene, anche se a me sembrate matti!».

Ripresero il cammino, sempre nel silenzio più assoluto. La salita sotto il sole li faceva sudare tutti abbondantemente, chi più chi meno.

«Appena torniamo giù, mi butto nel fiume!».

«Ci buttiamo tutti dentro, sicuro!».

A circa metà della salita, notarono che da uno dei tornanti del sentiero, un sentierino più piccolo scendeva nel bosco. Proprio all’imboccatura, c’era una piccola edicola dedicata a Sil, e sembrava essere là da poco tempo.

La pietra della piccola nicchia, che riproduceva in miniatura la struttura di uno dei tipici templi thyrsen, era ancora bianca e priva di muschi e licheni. Al suo interno, la statuina in vetro di Sil, dentro cui splendeva una minuscola lampada perenne, aveva il manto ancora perfettamente dorato, senza nessuna scrostatura e la corona di raggi dorati e di dodici stelle argentee erano scintillanti, come appena lucidata.

«Questo sentierino conduce a qualcosa… vedete là in fondo? C’è una piccola costruzione in pietra».

«Beh, se per caso ci vive qualcuno quassù, magari sa qualcosa. Ma mi sembra un posto scomodo, per viverci».

Il sentiero terminava dopo un centinaio di passi, di fronte a quella che era di fatto una minuscola casetta di pietra , accanto alla quale si trovava quella che pareva una minuscola cappellina, così piccola da farci stare una sola persona, con una porticina di legno chiusa, ma non sbarrata.

«Sembra la residenza di un eremita» commentò Maxtran. «Il posto adattto dove stare fuori del mondo per dedicare la vita al culto di Nostra Signora».

Quasi a rispondere alle sue parole, la porta della casetta si aprì con un cigolìo sinistro, e comparve un uomo piccolo e minuto, sulla cinquantina.

Portava la semplice tunica bianca  tipica dei sacerdoti monaci, la cui vita era tutta dedicata alla preghiera, alla meditazione e alla rinuncia ai beni mondani, per dedicarsi interamente alla preghiera e alla contemplazione dell’essenza divina di Sil.

Alla vita portava una cintura di corda bianca, simbolo di purezza, i suoi capelli erano completamente rasati e dal suo volto scendeva una lunga, ondulata barba nera screziata di grigio, sotto cui spiccava una croce ansata di legno che gli pendeva sul petto.

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