martedì 26 aprile 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 82° pagina.


S’immaginava che Larthi avrebbe di nuovo proferito qualcosa sulle sue credenze stregonesche, che avrebbe parlato di malefici e di moniti vari, e sarebbe stata l’occasione di altri litigi. Meglio ritardare il più possibile quel momento.

Quando fu l’ora di pranzo, Perun era riuscito a raggiungere il bordo della lastra, che appariva ampia all’incirca tre metri per cinque, circondata da una cornice larga una trentina di centimetri. Aveva tutta l’aria di una sorta di pietra tombale, o di una sorta di gigantesca botola per entrare in una cripta sotterranea.

Le iscrizioni sconosciute si trovavano incise soprattutto nella parte inferiore della lastra, mentre nella parte superiore c’era l’immagine di una figura umana maschile, un disegno come Perun non aveva mai visto.

Il ragazzo aveva visto gli affreschi nei tempi di Sil e degli altri Dei, una volta aveva visto i fregi di una villa nobiliare dove aveva fatto lo stalliere per qualche tempo, ma il disegno che era inciso sulla pietra era in uno stile e aveva un soggetto che non aveva niente a che fare con l’arte dei Thyrsenna.

La figura era seminuda, e appariva armata, con un elmo in testa, da cui spuntavano due corna di toro, che ricordavano una falce di luna.

Un po’ ricordava i guerrieri del nord di cui suo padre gli aveva narrato tante volte.

Ormai era ora di pranzo, e prima di tornare a casa si spogliò e si buttò nell’acqua del fiume che scorreva là accanto, per togliersi fango e sudore.

Quando la famiglia si ritrovò insieme a tavola, si parlò di cosa fare con quello che ormai veniva chiamato “il dono della Fata”.

«Sicuramente sotto la lastra si cela un tesoro. Mi sembra incredibile che solo per averle restituito lo scialle, la fata ci abbia fatto un regalo del genere».

«Sì, padre. È una storia incredibile davvero. Sia perché mi domando come abbia fatto a sapere che il suo scialle l’avevi preso tu, sia per il fatto che abbia potuto dare un segreto che forse ha un grandissimo valore, anziché tenerlo per sé».

«Le Fate non hanno il nostro stesso senso del valore delle cose», intervenne Larthi. «Loro non conoscono il valore dell’oro e delle gemme, né di tutto quello a cui noi attribuiamo tanto valore. E se vi domandate come abbia fatto a sapere che lo scialle ce l’avevamo noi, vi ricordo che le Fate sono le Custodi del Destino, nulla può rimanere nascosto su questa terra ai loro occhi, poiché tutte loro possiedono il potere di vedere ogni cosa lontana nel tempo e nello spazio come se l’avessero di fronte agli occhi».

«Vuoi dire che per quella fata il suo bel scialle verde aveva più valore di una collana d’oro e gioielli?».

«Eh sì. Cosa vuoi che se ne facciano delle nostre ricchezze, là nella foresta? Cosa se ne può fare di oro e gioielli e altri orpelli un popolo che vive in case fatte di alberi vivi e illuminate da stormi di lucciole? Le Fate sono tutt’uno con le forze e gli elementi della Natura, parlano con gli Dei tutti i giorni, non hanno bisogno di nessuna delle cose di cui abbiamo bisogno noi. I loro bisogni sono altri».

«Beh, in ogni caso non sappiamo neanche cosa ci sia sotto quella lastra. Magari non c’è niente. E non so neanche se riusciremo a sollevarla. Mi sa che dovremo spaccarla!».

«Non dire idiozie, marito mio! La lastra non va infranta! È di valore anche quella! E ricordati cosa ci ha detto la Fata: di non toccare assolutamente quello che troveremo dietro l’altare! Deve essere l’entrata di un tempio sotterraneo che si trova sotto la Polenta Verde. Dobbiamo stare attenti a non offendere la divinità a cui è dedicato il tempio».

«Sollevare quella lastra potrebbe essere un bel problema… beh, vedremo come si potrà fare. Questo pomeriggio vado io a scavare, e vediamo cosa riusciamo a scoprire».

Quando Maxtran andò a sostituire il figlio nello scavo, scoprì infatti subito qualcosa che lo colpì, e che già la sera prima aveva notato sua figlia.

Attorno alla buca c’erano alcuni gigli rossi come il sangue, ma anche più in là, nei vigneti che crescevano sulla china della collina, se ne vedevano spuntare parecchi.

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