domenica 24 aprile 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 80° pagina.


«Qui. Il mio dono è qui. È qui che dovete cercare domani mattina. Segnate il punto, e domani scavate con le vostre vanghe e i vostri picconi;  troverete una cosa che vi renderà ricchi e famosi fra gli Uomini. Ma quando sarete divenuti ricchi, vendete la terra e andate a vivere lontano da qui, e soprattutto non toccate ciò che troverete dietro l’altare per nessun motivo. È importante».

Gli Akapri si avvicinarono al punto del terreno indicato dalla Fata, e Maxtran si inginocchiò per vedere se quel punto avesse qualcosa di particolare, ma non videro niente, solo un leggero avvallamento di qualche metro di diametro.

«E cosa ci sarebbe qua sotto? Un tesoro?».

Si voltò verso la Fata, ma si accorse che era sparita. La cercarono con lo sguardo tutt’attorno, ma di lei e del suo grosso gatto selvatico non era rimasta traccia. E sì che nel buio della notte, la sua bianca figura sembrava quasi emanare un leggero chiarore. Ma né tra i vigneti, né nei campi di mais si scorgeva niente, e nemmeno si erano uditi rumori tra le pannocchie.

«Le Fate sanno rendersi invisibili quando vogliono, e fanno apparire reale qualsiasi illusione, e illusorie tutte le realtà» commentò Larthi.

Il figlio maggiore, Perun, sembrò smuovere la terra nel piccolo avvallamento, come nella speranza di trovare una traccia del segreto indicato dalla misteriosa visitatrice.

«Forse ci ha preso in giro, ma vale la pena di cercare, domani mattina….ci metto alcuni sassi per indicare il posto, così siamo sicuri di non sbagliare».

«Credi davvero di poter trovare un tesoro?».

«Qualcosa di valore, chissà…. tentar non nuoce».

«Magari invece è una trappola. Se è vero che le Fate sono le custodi del fato, esso non sempre è favorevole».

Perun continuava a guardare intorno sul terreno, quando sua sorella Ramthi, la figlia minore degli Akapri, lanciò un’esclamazione per qualcosa che aveva notato là accanto, nell’erba.

«Guarda che bei gigli rossi! Non ne ho mai visti così rossi e belli!».

Infatti, là accanto al punto indicato dalla fata, ai piedi di un albero, erano fioriti parecchi gigli rossi, che alla luce del sole sarebbero apparsi probabilmente scarlatti come il sangue, ma alla luce azzurrina della lampada perenne sembravano di un colore purpureo.

 

 

 

CAP.  IX: RELIQUIA ANCESTRALE

 

 

La mattina dopo Perun andò a scavare nel punto indicato dalla Fata, da solo, perché suo padre e suo fratello dovevano continuare a mietere il campo di mais e raccogliere le pannocchie.

Suo padre si era dimostrato abbastanza scettico, e lui gli aveva promesso che non avrebbe perso troppo tempo dietro a quella cosa. Avrebbe scavato una buca profonda un metro, e se non avesse trovato nulla, avrebbe lasciato perdere.

Durante la notte c’era stato un gran temporale, e la terra bagnata era abbastanza facile da scavare.

Dopo tre ore di lavoro, stava quasi per abbandonare l’impresa, quando la sua vanga toccò qualcosa che sembrava una lastra di pietra liscia.

Dopo un’altra mezz’ora aveva dissepolto la lastra abbastanza per capire senza ombra di dubbio che si trattava di un’opera artificiale. La cosa era dimostrata dal fatto che sulla lastra apparivano delle incisioni.

Perun sapeva leggere, anche se con fatica. Suo padre, sperando che un giorno volesse arruolarsi anche lui nell’esercito, glielo aveva insegnato, perché diceva che gli sarebbe servito per la sua carriera. Ma quelle scritte non le conosceva, sembravano appartenere a un’epoca e a una cultura sconosciute. Avevano qualche somiglianza con l’alfabeto sillabico-letterale dei Thyrsenna, ma tanti segni erano del tutto inidentificabili.

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