«Vorrà dire che rimarremo a pescare sul fiume io e te,
Hermen, mentre loro due andranno dall’eremita. Li aspetteremo sul tratto di
fronte al monte, e controlleremo se per caso non tornerà il Saguseo».
«Va bene… ma secondo me dovremmo avvertire i gendarmi».
«Per che cosa? Per dirgli che sul Monte Leccio c’è una
strana invasione di gatti selvatici?».
«Io veramente volevo dirgli che si svolgeva il belk, su Monte Leccio».
«Il sistema migliore per spaventarli e convincerli a starne
lontani. I nostri gendarmi appena sentono parlare delle Fate se la fanno sotto
dalla paura».
«Io credo che se la farebbero sotto anche se vedessero quei
maledetti gatti….».
Quando se ne furono andati, Maxtran mostrò a sua moglie
Larthi lo strano scialle fatato, dicendole dove l’aveva trovato, ma senza
fornirle troppi particolari.
Larthi lo guardò dapprima esterrefatta, poi lo prese in mano
e ne osservò i complessi e delicati arabeschi verdi e motivi di foglie di vite
e grappoli, soffermandosi sui giochi di cerchi intersecantisi.
«Maxtran, noi non possiamo tenere questa roba! E tanto meno
io e le mie figlie possiamo indossarla! È un oggetto fatato, e porta sventura
se non ci è stato donato espressamente da una Fata!».
«E allora lo venderò!».
«Ma neanche per sogno! Faresti ancora peggio, perché poi non
potresti riparare al danno! Devi portarto prima possibile dove l’hai trovato e
lasciarlo là!».
«Non farò una stupidaggine del genere! Le Fate l’hanno
lasciato nel bosco, potevano fare a meno di abbandonarlo! Non l’ho mica
rubato!».
Larthi gli avvicinò lo scialle, mostrandogli gli strani
cerchi intersecantisi.
«Li vedi questi cerchi? Sono una specie di scrittura….
scrittura fatata. Scrittura magica. Mia madre era una strega. Era povera e non
aveva niente, neanche un uomo che la proteggesse, ma non ne aveva bisogno
perché era amica delle Fate e conosceva bene molti dei loro segreti. Qualcuno
l’ha insegnato a me, anche se io non ho voluto imparare tutte le arti
stregonesche.
Questi cerchi sono come una firma. Significa che questo
scialle è fatto per una persona precisa, la sua proprietaria, e solo per lei.
Crea un legame indissolubile fra la proprietaria e lo scialle, per cui questo
oggetto, prima o poi, tornarà alla proprietaria, e tutti quelli che hanno
cercato di impedire questo ricongiungimento la pagheranno cara.
Nessuno può possederlo, altrimenti non ne verrà niente di
buono. Devi restituirlo, Maxtran. E l’unico modo è rimetterlo dove l’hai
trovato».
A quel punto Maxtran non si tenne più e cominciò a gridare
raccontandogli dove l’aveva visto, e di come lui e i suoi compagni fossero
sfuggiti a una misteriosa orda di stranissimi, enormi gatti grigi, scuri come
un cielo in tempesta, che li guatavano e li inseguivano dal bosco.
Larthi, in tutta risposta, si ritrasse mettendosi le mani
sulla bocca e scuotendo la testa.
«Hai detto enormi gatti grigi e scuri? Tanti gatti? Oh no….
no! E dimmi…. C’erano fiori rossi nella radura? Tanti fiori rossi? Gigli
rossi?».
«Cosa stai blaterando, donna? Altre favole raccontate da tua
madre?».
«Questi gatti li hai visti, no? Erano reali, non fandonie,
no?».
Maxtran si bloccò, perplesso. Improvvisamente forse si era
reso conto che stava vivendo qualcosa di irreale.
«Io… non lo so. Ripensandoci, mi sono chiesto se quei gatti
non fossero un’allucinazione. Non ho mai visto degli animali comportarsi
così!».
«Riguarda uno dei segreti del belk, Maxtran! I fuochi del belk
che abbiamo visto la notte del plenilunio…. devi scoprire se sono spuntati i
gigli rossi….».
«Di quali demoni parli, moglie mia? Ah, maledette le streghe
di campagna e i loro malefici! Chissà cosa avresti detto, se fossi venuta anche
tu con noi!».
«Se fossi venuta anche io con voi, forse avrei potuto fare qualcosa
contro i demoni che si nascondono nell’ombra del bosco! Vi ho sentiti, tu e i
tuoi amici, mentre chiacchieravate sotto il
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