sabato 2 aprile 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 61° pagina.


Anzi, in un certo senso, in parte è diamante, almeno così mi ha detto l’alchimista che mi ha venduto la barra da cui ho ottenuto la lama. Per questo è in parte trasparente».

«Neanche i gendarmi possono avere in dotazione una lama così!» Larsin era tutto ammirato.

«Solo gli alti ufficiali, e la Guardia del Palazzo Reale. Anche le Guardie del Magistero, credo. Da giovane sognavo di andare a vivere nella capitale e diventare una delle Guardie Reali…. Questa spada un po’ mi consola di non aver potuto realizzare quel sogno».

«Devi avere una bella paura, se ti sei portato dietro un’arma di tanto valore. Io se la possedessi, la terrei nascosta in cassaforte, o in banca, e non la farei vedere a nessuno, se non ai parenti e agli amici strettissimi».

«Se tu avessi visto quello che ho visto io, avresti più paura di me!».

Si incamminarono con buon passo. Il dottore era alto, magro e dalle gambe lunghe ed agili, aveva delle ampie falcate. Larsin e Hermen avevano invece il tipico fisico dei Thyrsenna: non certo alto, e tendenzialmente robusto, ma chi è poco avvezzo a usare cavalli, carri e cocchi, è abituato da tutta la vita a usare le gambe.

Monte Leccio era più o meno a metà strada fra Arethyan e Aminthaisan. Camminando senza soste e di buona lena, vi si arrivava, camminando verso oriente, dopo un’ora e mezza. Hermen si chiedeva come avesse fatto a correre per tutta quella strada senza farsi venire un infarto per la paura e lo sforzo. Certo, quando non ce la faceva più, si era fermato anche lui per pochi secondi, con Knevin che lo aspettava più per la paura di rimanere solo con la cosa che gli volava sopra, che per non abbandonare un amico.

La casa del contadino ex-soldato era più vicino a Monte Leccio che al paese, posta in un’ansa del fiume , dove le betulle che crescevano sulla riva sassosa sembravano formare come una corte, un’arena protettiva, e un sentiero di terra argillosa e rosata conduceva alla strada lastricata.

Hermen, nel vederla, rimase sconcertato.

«Ma questa è proprio la casa verso cui io e Knevin siamo corsi in quella sera maledetta! Quell’essere si è posato proprio su questo sentiero per sbarrarci la strada!».

«Sicuro??? L’hai visto proprio qui? E a che distanza eri dalla casa?»

«Ma, non so….. duecento, trecento metri, credo…».

«E voi avete chiamato, urlato per richiamare l’attenzione della gente della casa?».

«Sì, ma a questa distanza….. non credo che ci abbiano sentiti. C’erano delle luci accese, ma non mi sembra di avere visto nessuno all’esterno. Poi era notte, anche se c’era una luna incredibile».

«Il mio amico Maxtran non mi ha detto nulla, riguardo quella sera. Quindi, non si deve essere accorto di niente».

«Sì, ma tu cosa hai raccontato al tuo amico?».

«Beh, a dire il vero non gli ho detto molto, perché sinceramente avevo paura di passare per credulone. Gli ho detto che l’altra sera un mio amico ha visto sul Monte Leccio quelli che sembravano essere i falò del belk, e che subito dopo avete sentito delle urla spaventose e che siete stati inseguiti da qualcuno che non vedevate, ma che sembrava molto minaccioso…. Mi sembrava la maniera migliore per convincerlo a venire con noi senza fare troppe domande. Lui ha detto che in effetti, prima di andare a dormire, ha visto in lontananza le luci dei falò fatati in cima al Monte Leccio ed è rimasto molto stupito della cosa, perché sapeva che le Fate non celebrano il belk lassù, anche se ha sentito dire che in un tempo remoto lo facevano, e che gli sarebbe piaciuto fare un sopralluogo».

«E hai fatto bene a dirgli così, Larsin. Meno si danno particolari, e meglio è. Ma adesso sarebbe il caso di chiedergli se ha visto o sentito qualcos’altro di strano, quella sera».

L’amico di Larsin li stava aspettando di fronte a casa sua, intento a giocare al bersaglio con arco e frecce con suo figlio maggiore.

Maxtran Akapri era un vecchio magro ma muscoloso, nodoso, con due enormi baffoni che tradivano la sua origine militare. I baffi non erano un costume tipico dei Thyrsenna, se non nei militari, che avevano adottato questo costume dai guerrieri di alcune delle tribù barbariche del nord.

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