sabato 30 aprile 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" dI Pietro Trevisan: 86° pagina.


Mentre scendeva con cautela, Maxtran notò che i gradini erano perfettamente squadrati, che si trattava di lastre infisse nel sottosuolo, ma che i movimenti del terreno le avevano parzialmente inclinate e rese instabili. Le pareti erano anch’esse fatte di pietre squadrate, in parte corrose dall’umidità, che le aveva rese parzialmente porose.

La scala comunque era ampia, e i gradini erano anch’essi molto grandi, come se fossero stati progettati per persone di statura altissima.

Scese per diversi metri, fino ad arrivare all’imboccatura di una galleria scavata nella roccia.

Una sorta di arco delimitava l’entrata, sulla sua sommità sporgeva la testa di un animale scolpita nella pietra, un animale che sembrava essere un toro, o un bufalo.

Uno scatto di terrore gli fece alzare la spada verso la scultura, quando vide un lampo rosso scaturire dai suoi occhi.

Subito dopo però si accorse che in realtà era il riflesso di due sfere di qualcosa che sembrava vetro rosso incastonate nelle cavità scolpite degli occhi, e che riflettevano la luce della sua lampada in modo sinistro.

Tirò un sospiro di sollievo, ma subito dopo gli venne un brivido alla schiena pensando che probabilmente lui era il primo essere vivente a entrare in quel luogo da prima del Diluvio.

Non era un uomo così rozzo e privo di immaginazione che si sarebbe potuto pensare. Anche lui sentiva il reverente timore per ciò che era antico e misterioso.

Quanti millenni erano passati dal tempo in cui la lastra era stata chiusa e sepolta per sigillarne il segreto? Quanta gente era passata o vissuta nei paraggi, proprio come lui e la sua famiglia, senza rendersi conto del segreto su cui camminavano?

Un altro brivido di paura gli corse lungo la schiena quando gettò uno sguardo in fondo alla galleria, e si rese conto che una luce brillava in fondo, una luce rosso-arancio, tremula, che sembrava illuminare un locale alla fine della galleria. Sembrava quasi la luce di un fuoco. Ma come poteva bruciare un fuoco in quel luogo sotterraneo dimenticato dagli Dei e sconosciuto agli Uomini da interi millenni?

Forse aveva ragione sua moglie, si disse. Forse era meglio aspettare la luce del giorno, forse era meglio chiamare qualcuno in aiuto per non affrontare da soli quella cosa sconosciuta.

Forse davvero un terrificante spirito risvegliato dal suo sonno millenario lo attendeva alla fine della galleria, e forse il dono della Fata era solo un inganno malevolo, una trappola del destino che gli avrebbe portato sciagura.

Forse era il caso di chiamare una strega, o un sacerdote, che esorcizzasse gli spiriti di quella che pareva essere una necropoli antidiluviana, o forse un tempio a una divinità sconosciuta e dimenticata.

E mentre osservava la luce che proveniva da oltre la galleria, gli parve che sullo sfondo luminoso, si stagliasse la figura di un gatto seduto sulle zampe posteriori, in attesa.

Risalì la scala gettando sguardi furtivi dietro di lui, come ad accertarsi che niente e nessuno sbucasse dal buio della galleria.

La luce della luna calante non gli era mai parsa così rassicurante e familiare.

Sua moglie, per fortuna, aveva smesso di urlare.

«Allora, padre? Hai visto qualcosa, là sotto?»

Maxtran non rispose.

«Aspetterò qua di fronte la luce del giorno, come ho detto. Poi tu andrai alla fattoria dei Ferstran e chiederai a Larsin di venire qui, digli che è una cosa importante e che forse c’è da guadagnare parecchi pentacoli».

«E tu, mentre io vado… scenderai da solo?».

«Ci devo ancora pensare…. la galleria là sotto è dritta, e sembra in buono stato. Non ci sono crolli, da quel che ho visto alla luce della lampada. Però potrebbero esserci miasmi irrespirabili. Può succedere nei luoghi sotterranei. Lasciamo che l’aria vi entri per evitare rischi. Quel posto deve essere rimasto chiuso e senz’aria dalla notte dei tempi».

Nessun commento:

Posta un commento