mercoledì 27 aprile 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 83° pagina.


Non aveva mai visto fiori del genere da quelle parti, e gli tornarono alla mente le misteriose parole del Saguseo che avevano incontrato nel fiume.

I fiori rossi poi gli fecero ritornare in mente i grossi gatti selvatici di Monte Leccio e in particolar modo quello che aveva accompagnato la Fata quando era giunta a casa loro, come un cane segue il suo padrone. Lei li aveva definiti i loro “guardiani”, ma non doveva trattarsi di qualcosa come dei normali cani da guardia. Anche il Saguseo aveva detto qualcosa riguardo i “guardiani”, associandoli ai fiori rossi. Doveva esserci un legame fra lui e le Fate di Monte Leccio, altrimenti non sarebbe comparso in quel momento e in quel luogo, dicendo quelle cose. Ma Maxtran non sapeva nulla riguardo i rapporti fra i Sagusei e le Fate. Sua moglie avrebbe potuto parlargliene, ma non aveva voglia di sentire le sue storie stregonesche. Ne aveva già avuto abbastanza con la faccenda di quel maledetto scialle verde.

Dopo aver dato un’occhiata intorno, anche per assicurarsi che non ci fosse nessuno nelle vicinanze, cominciò a scavare per finire di disseppellire la lastra. Gli sembrava strano che un oggetto tanto antico fosse a una profondità di solo un metro. Aveva già visto, in altre lontane regioni del paese, rovine dissepolte dell’era antidiluviana, ed erano tutte sotto un profondo strato di terra pieno di detriti, perché le città e gli edifici antidiluviani erano stati sepolti da una marea di fango dopo che le terre erano riemerse dalla grande ondata di acqua marina.

Ma che si trattasse di un’opera dell’antica Età dell’Oro, prima del Diluvio, non c’era alcun dubbio. Riconosceva lo stile delle incisioni. Doveva essere la tomba di un antico re, o di un nobile guerriero, che sicuramente si era fatto seppellire con i suoi tesori.

La collina stessa doveva essere un monumento funebre a quell’antico personaggio senza nome, la cui storia doveva essere narrata sulla lastra, e che solo i  più sapienti uomini e donne del Veltyan avrebbero potuto sperare di decifrare, perché la conoscenza dell’Antica Lingua era andata in gran parte persa ancora alcuni secoli prima della fondazione del Veltyan.

Una fessura di pochi millimetri separava il bordo della lastra dalla cornice di pietra. Con il coltello che portava alla cintola, provò a scavare la terra infilata nella fessura, per rendersi conto di quanto fosse spessa la lastra. Gli parve che non lo fosse tanto, forse meno di dieci centimetri.

Con gli strumenti adatti, forse sarebbero riusciti a sollevarla e a spostarla quel tanto che bastava per entrare nel sotterraneo che sicuramente si trovava sotto. Battendola con il badile, si sentiva il vuoto sotto.

Non aveva leve adatte a quel lavoro nella sua fattoria, ma Hermen il fabbro forse avrebbe potuto fornirgliene una. Nell’esercito aveva visto adoperare le leve di rame e acciaio azzurro alchemico, che con i loro dischi di rame si attaccavano letteralmente alla roccia o ad altri materiali pesanti come potenti magneti ed erano in grado poi di sollevarli con le loro aste e catene d’acciaio duro come il diamante.

Eppure, avrebbe preferito non far sapere a nessuno della loro scoperta fino a quando non avesse capito cosa si nascondeva sotto la lastra..

Il suo terrore era di venire derubato o imbrogliato sul valore di ciò che avrebbe trovato. Il dottor Laran, con la sua grande cultura, sarebbe stata la persona adatta con cui consigliarsi. La sua onestà e la sua dirittura morale erano fuori discussione, ma l’alkati Ennari Kaper, la vecchia matriarca-borgomastrodi Arethyan, non godeva della sua fiducia.

La vecchia avida avrebbe sicuramente cercato di appropriarsi della sua scoperta, qualunque essa fosse, magari con la scusa che un ritrovamento così antico era un bene che doveva appartenere a tutta la comuinità del villaggio, e non a una singola famiglia. 

Finito di dissotterrare la lastra, ricoprì la buca con della paglia di mais, per nasconderla, e tornò a casa per riprendere la sua vita come se niente fosse, con il proposito di andare il giorno dopo dal dottor Laran a parlargliene.

In fin dei conti, riteneva giusto raccontare al dottore dello strano incontro della sera prima con la misteriosa Fata, e sentire il suo parere al riguardo.

Sperava che, con la sua grande cultura, potesse consigliarlo nel modo giusto, e magari anche valutare meglio tutta quella stranissima situazione.

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