sabato 9 aprile 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 67° pagina.


estraneo con intenzioni aggressive, loro avrebbero saputo fermarlo con le loro arti. Sanno creare miraggi che provocano un’invincibile confusione. È il loro modo di difendersi dalle aggressioni».

«Quindi si sarebbe potuto trattare di qualcuno che non avrebbe potuto essere ingannato da loro? È questo che intendete dire?».

«Sì, ma non ho la minima idea di chi avrebbe un tale potere. Continuiamo a dare un’occhiata in giro, magari troviamo altre tracce. E tu, Larsin: quando torni a casa lava bene quella coppa, inumidisci un panno con acquavite e passalo bene dappertutto, e non farci bere uno dei bambini della tua famiglia».

«Pensi che sia avvelenata? Oh, ma stai sicuro, dottore. La terrò come un cimelio, non certo per berci dentro!».

«Potrebbe essere comunque infetta, anche se non ho notizia di malattie trasmesse agli Uomini dalle Fate, meglio andare sul sicuro, quando si tratta di cose che non conosciamo».

Ripresero a cercare nell’erba, e trovarono altre cose. C’erano delle piccole corone di fiori gettate nell’erba e fra gli alberi circostanti, che chiaramente qualcuno aveva portato in testa, e alcuni resti di cibo: frutta e verdura, pezzi di pane e persino il resto di un dolce. Le Fate, si sa, erano tutte vegetariane.

Poi, Maxtran passò dalla vasta radura al bosco ombroso. Il silenzio era totale, spezzato solo dallo stormire delle foglie per qualche folata di vento.

Fu allora che vide un movimento, il primo segno di vita animale che avevano visto in quel luogo, dove persino gli uccelli sembravano non voler sorvolare la cima del monte.

Vide il bagliore verde di due occhi fosforescenti, come due brillanti monete.

Guardando nella penombra, vide che era un grosso gatto selvatico. Un gatto stranamente grande, quasi come un cane, dal pelo grigio scuro, striato di nero. Lo fissava da dietro un albero, come aspettando di vedere le sue mosse.

Subito dopo si accorse che non era il solo. Un altro grosso gatto selvatico era comparso un poco più lontano, con lo stesso pelo grigio scuro e nero.

«Trovato niente?» gli urlò dietro Hermen, che era il più vicino.

Maxtran si voltò verso di lui per dirgli che aveva visto solo un paio di gatti selvatici, ma appena si volse di nuovo verso il bosco, si accorse che ora gli occhi fosforescenti che lo guardavano non erano solo quattro, ma molti. Il bosco sembrava essersi riempito di un intero branco di gatti selvatici, che lo stavano guatando come un branco di lupi.

Istintivamente, Maxtran si ritirò, silenziosamente, verso la radura, sguainando la spada.

«Hermen…. Tieni pronta anche la tua, di spada, e dì al dottore e a Larsin che sarebbe meglio tornare verso casa….».

Hermen fu sul punto di corrergli accanto, ma Maxtran lo fermò con un gesto.

«Non muoverti! Non so cosa stia succedendo, ma va lentamente verso il sentiero e fa che anche gli altri facciano lo stesso!».

«Mi spieghi che demone oscuro sta succedendo?».

Maxtran continuò a ripetergli di non gridare e di non fare movimenti bruschi. Nel frattempo, Larsin e il dottore si erano accorti anche loro di qualcosa di strano, ognuno dal proprio punto di osservazione.

«Velthur, hai visto quei gatti selvatici?» gli gridò Larsin. «Ce ne saranno tre o quattro in mezzo agli alberi…. Alcuni sono addirittura sopra gli alberi, appollaiati come delle civette! Ma accidenti, quanto sono grandi! Non ho mai visto dei gatti del genere!».

Mentre Larsin gridava, Velthur ne vide uscire uno dal bosco, e sedersi a pochi metri di distanza da lui. Si sentì gelare il sangue nelle vene. Non aveva mai visto un gatto del genere, ma il suo aspetto lo conosceva bene dalla descrizione che ne aveva letto in uno dei suoi libri. Quel libro.

Cominciò a ripetere “non è possibile, non è possibile”, come una litania. Stavolta era veramente troppo!

Mentre continuava a ripetere che non era possibile, li vide, a decine, uscire dal bosco e schierarsi lungo il bordo della radura, come un esercito. E forse lo erano davvero.

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