domenica 3 aprile 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 62° pagina.


Dopo aver servito più di vent’anni nell’esercito del Veltyan, aveva potuto ottenere anche lui il possesso di un terreno nelle terre di confine, come la maggior parte dei soldati in congedo.

Quello era uno dei pochi modi in cui un uomo, nel Veltyan, poteva ottenere il possesso di un terreno senza doverlo comprare, dato che le leggi matriarcali dell’antico regno davano sempre la precedenza assoluta e praticamente esclusiva alle donne nell’ereditare terre e case.

Anche lui aveva deciso di portarsi dietro una corta spada, ricordo della sua carriera militare, ma non era certo una spada di acciaio alchemico come quella di Hermen.

Per lui, quella era l’occasione di tornare ai tempi in cui combatteva. Segretamente, sperava di incontrare qualche brigante con cui scontrarsi. Già in passato, quando una banda di briganti aveva funestato la regione, lui si era offerto volontario per unirsi ai gendarmi forestali per battere le colline in ricerca del loro covo.

Dopo un’altra mezz’ora arrivarono di fronte al sentiero che saliva sul Monte Leccio. Il nome del colle aveva un’origine fin troppo evidente. La stragrande maggioranza degli alberi erano lecci che formavano un bosco fitto e oscuro, diverso dagli altri che si trovavano nella regione, più verdi e luminosi, costituiti più che altro da betulle, pioppi, querce, noci ed ippocastani.

Il bosco di Monte Leccio aveva qualcosa di sinistro non solo perché appariva così poco luminoso, ma anche perché i lecci avevano delle forme contorte che suggerivano l’idea di corpi mostruosi, a volte di grovigli di serpenti che s’innalzavano strisciando dal terreno verso il cielo.

Anche se il sole penetrava fra i rami, era come se le ombre del bosco fossero troppo scure, o come se i tronchi degli alberi non riflettessero la luce, ma l’assorbissero nei tronchi e nelle foglie.

«Non ci sono mai stato su questo sentiero, ma devo dire che questo posto fa un po’ paura» commentò Velthur.

«Io a volte vengo a farci legna, e devo dire che non ho mai visto o incontrato niente di strano» gli rispose Maxtran.

«A parte l’altra sera.. Tu e la tua famiglia avete visto o sentito qualcos’altro di strano, in quell’occasione? O in altre, magari?».

«Io no, e neanche mia moglie, ma uno dei miei figli, la più piccola, si è spaventata moltissimo. Dice di aver visto degli occhi luminosi nel buio, fra gli alberi attorno alla casa. Sono andato a guardare fuori per vedere se c’era qualcosa, ma non ho visto niente».

«Non avete sentito qualcuno urlare nei campi, per caso?».

«No, proprio nessuno. Anzi, c’era un silenzio di tomba, non si sentiva il verso di un uccello o di un insetto…. non mi era venuto in mente prima, ma ora che ci ripenso, è stata una cosa molto strana…. Non sentire neanche il frinire dei grilli in una notte d’estate! È veramente strano».

«Più o meno come qui adesso…. non sentite anche voi?» fece notare Larsin.

Si fermarono tutti e quattro ad un tornante, e dovettero constatare che Larsin aveva ragione. Non si sentiva il minimo suono. Né un uccello, né un insetto. Il bosco sembrava morto. Hermen cominciò ad ansimare. Fino a quel momento sembrava aver dominato il ricordo spaventoso di quello che aveva vissuto, ma adesso, ritrovandosi là dove era cominciato l’incubo, anche se alla luce del sole, cominciava ad avere difficoltà a controllarsi.

«Mi piacerebbe riuscire a ricordarmi se si sentiva qualche rumore quando io e Knevin siamo saliti per questo stesso sentiero, ma riesco a ricordarmi solo quella strana musica che veniva dalla cima, trasportata dal vento. Non riesco a ricordarmi se abbiamo sentito qualcos’altro».

«Dove è successo che tu e Knevin avete avuto la sensazione di essere osservati?».

«Mi sembra proprio qui… o forse al tornante successivo. Non glielo so dire. Beh, penso che non abbia molta importanza».

«Osservati da chi?» chiese Maxtran.

«Dottore, io ve lo dico! Non riesco a tenermelo per me in questa situazione. Demoni degli Inferi, io ho paura!».

Maxtran li guardò con aria minacciosa. Non gli andava che gli si nascondessero le cose.

«Sì, l’avevo capito da solo che c’era qualcosa che mi stavate nascondendo!».

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