giovedì 7 aprile 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 65° pagina.


vendo, o lo scambio con la gente del posto. Se magari una volta o l’altra volete anche voi scambiare qualcosa, e magari anche scambiare qualche chiacchiera….».

I quattro si guardarono. Era meglio proseguire quanto prima.

«Io, Reverendo Padre, non vivo tanto lontano da qui, in una fattoria presso il fiume. Sarò felice di venire qui da voi, magari al prossimo giorno di festa. Ma ora vorremmo proseguire il nostro giro».

Lasciarono l’eremita che rientrò subito in casa sua. Velthur era convinto che l’avessero interrotto in un qualche suo esperimento alchemico che aveva avuto fretta di riprendere. Qualcosa di cui forse non aveva piacere a parlare.

Si era dimostrato gentile ed amichevole, ma non li aveva trattenuti in alcun modo.

«Tipo simpatico, anche se un poco strambo!» commentò Larsin appena ebbero riguadagnato il sentiero che portava in cima.

«Strano sì. Venire fin da Prini per andare a imbucarsi qui, da solo. Si sentiva dall’accento, che non è di queste parti. Ed è strano anche il fatto che non abbia mai sentito parlare di lui. Cioè, voglio dire…. se un monaco eremita si stabilisce da queste parti, la cosa si viene a sapere. Quello là invece… mi sembra comparso dal nulla. Nessuno dei miei vicini me ne ha mai parlato. Voglio proprio conoscerlo meglio».

Velthur non commentò niente, ma si disse che avrebbe voluto anche lui conoscerlo meglio. E magari sapere cosa faceva nel suo piccolo eremo.

Alla fine arrivarono sulla cima piatta del colle, dove una vasta radura permetteva di avere una visuale completa del paesaggio attorno.

Un temporale la sera prima aveva ripulito l’aria e l’orizzonte dalla foschia estiva, e si vedevano bene non solo la catena di colli ondulati che andavano da sud verso nord, e la pianura senza fine ad occidente, ma anche il grande arco delle Montagne della Luna ad oriente, come una serie di cittadelle di roccia bianca.

Velthur, guardando lo splendido panorama, cercò per un attimo di individuare dove potessero essere le Colline di Leukun, la sede della più vicina comunità di Fate, dove forse si trovava ancora il suo amico Prukhu.

Poi guardò in giro sull’erba, e vide subito ciò che erano venuti a cercare.

Un grande falò era stato acceso molto di recente in mezzo al vasto prato.

«Beh, il fuoco senz’altro c’è stato, si tratta di stabilire se è stato uno dei fuochi delle Fate».

«Basta guardare le ceneri, e altre tracce che si possono trovare nei dintorni».

Velthur si chinò sulle ceneri del grande ammasso di cenere, costituita da sterpaglia e rami secchi. I fuochi delle Fate non erano mai fatti con pezzi di tronchi d’albero o con rami massicci, ma con rami sottili presi sul posto, e cosparsi di una misteriosa sostanza alchemica, di cui le Fate conservavano gelosamente il segreto, e che dava al colore delle fiamme quell’intenso colore verde-azzurro, oltre a conferire al fumo delle qualità inebrianti e allucinogene.

Quello era il motivo principale per cui i sacerdoti arringavano il popolino a non avvicinarsi alle celebrazioni del belk, poiché sugli Uomini le esalazioni dei fuochi fatui avevano un effetto anche più intenso di quello che aveva sulle Fate, e spesso devastante, tanto che poteva spingerli a una incurabile follia, o comunque a un mutamento del carattere che li allontanava dalla normale compagnia dei propri simili, rendendoli stravaganti e solitari.

Era l’unica cosa che potevano fare, perché fra i contadini, pastori, montanari e il popolo delle Fate c’era un tale profondo legame da tempi immemorabili, che non era possibile allentarlo con qualche discorso moralistico.

Era un legame che, secondo la leggenda, risaliva fino al tempo del Diluvio, si fondava sulla comune simbiosi con le forze della Natura, che le Fate conoscevano molto meglio di qualsiasi figlio dell’uomo, poiché immensamente più antiche degli Uomini.

E anche se in parte i contadini provavano spesso timore per gli incantesimi e i poteri segreti del popolo fatato, e i loro Dei sconosciuti, non potevano vivere senza la loro alleanza.
«Sì, è stato un falò delle Fate, senza alcun dubbio. Vedete il colore della cenere? Questo bianco quasi niveo, dalle sfumature violacee? E vedete quelle piccole, minuscole palline nere, come

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