domenica 17 aprile 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 75° pagina.


portico! Vi ho ascoltati parlare del Saguseo che avete incontrato nel fiume, e di quello che ha detto! Ha parlato dello stare attenti ai fiori rossi, e ha parlato anche dei guardiani…. Voi non potevate sapere niente di essi, perché non avete mai avuto a che fare con i segreti delle streghe. Ma io sì! Devi tornare su Monte Leccio e portare un talismano con te, che ti protegga dai demoni dell’ombra! E se non lo farai tu, lo farò io domattina! Costi quel che costi!».

Rimasero a litigare per diversi minuti. Più Maxtran cercava di farsi spiegare di cosa stesse parlando sua moglie, più lei si mostrava evasiva. Faceva capire che aveva paura di qualcosa che non poteva rivelare pienamente, qualcosa che riguardava i segreti iniziatici delle streghe, qualcosa che non doveva rivelare perché sarebbe venuta meno a un giuramento fatto a sua madre.

Alla fine Maxtran si stancò.

«Su quel maledetto colle non ci risalirò né io, né tu, né nessun altro della nostra famiglia! Almeno fino a quando quelle maledette bestie bazzicheranno quel posto! E siccome ho trovato io quel pezzo di stoffa, decido io cosa farne! Come per tutto quello che riguarda  le cose che sono mie».

Larthi non provò più a supplicarlo. Sapeva che non ci sarebbe riuscita. Quando parlava delle “cose sue”, diveniva di un’ostinazione assoluta, invincibile, che rasentava la violenza. In quei momenti, spesso, le faceva paura.

Per tutti gli anni di matrimonio, lui le aveva fatto pesare, in tutte le discussioni, il fatto che la loro casa e il loro terreno, fossero proprietà innanzitutto sue, e non di lei, contrariamente alla stragrande maggioranza delle famiglie contadine del Veltyan. Così come le aveva fatto sempre pesare il fatto che lei non avesse beni propri, perché veniva da una famiglia poverissima. La loro, si poteva dire, era una delle poche famiglie in certo modo patriarcali del paese.

Ciò che dava qualche diritto anche a lei, era solo il loro matrimonio legale, una cosa che lui aveva voluto concederle dicendo che era per dimostrare la sua magnanimità e il suo rispetto per il ruolo tradizionale della donna.

In realtà, lui aveva sempre saputo che nessuna donna avrebbe accettato di vivere in una casa in cui, per la legge, era solo un’ospite, con il rischio che qualche parente donna venisse da lontano e facesse in modo di buttarla fuori di casa. Quindi, il matrimonio era l’unico modo per lui per poter avere una donna in casa.

Ma proprio per questo fatto, appena lei cercava di opporsi in qualche modo al marito, lui le rinfacciava ciò che aveva fatto per lei, tutto ciò che le aveva dato, e senza il quale lei sarebbe rimasta una nullatenente, costretta a fare la serva nella fattoria di qualcun altro.

E quando questo succedeva, lei si ritirava in un angolo della casa e praticava i riti e gli scongiuri che la madre le aveva insegnato. Era il suo modo per reagire al senso di impotenza, e a volte otteneva il suo risultato, perché, che ci si credesse o no, avvenivano a volte delle cose, apparentemente casuali, che mutavano la bilancia in suo favore.

Le prime volte  Maxtran aveva reagito infuriandosi per le sue strane pratiche magiche, ora invece si rassegnava. La mandava ai demoni oscuri, e andava a fare qualcosa fuori, nel fienile o nella capanna degli attrezzi dietro casa.

Quella volta, lei si ritirò in cucina e tirò fuori un amuleto lasciatogli da sua madre: uno strano ciondolo a medaglione di ceramica dipinta di verde, che da un lato aveva l’immagine di una civetta, e sull’altro quella di un gatto, entrambi considerati animali sacri dalle streghe.

Quella sera, Maxtran non volle venire a cena, rimanendo presso il fienile, esercitandosi al tiro con l’arco. Segno che era davvero infuriato.

Non era tanto il fatto che sua moglie avesse rifiutato il suo dono ad averlo reso furioso, quanto piuttosto il sentirsi impotente di fronte a qualcosa che non capiva.

Nella sua lunga carriera di soldato, aveva visto molte cose strane, sorvegliando i confini del Veltyan dalle fortezze delle montagne settentrionali, che separavano il Regno Verde dai paesi barbari del nord.
Le oscure e feroci leggende dei selvaggi popoli settentrionali avevano fatto sentire la loro ombra in quei luoghi agli estremi confini della civiltà, dove sinistri sacerdoti dalle lunghe barbe bianche praticavano culti spaventosi nel profondo di antri sotterranei. Ma la forza delle spade e degli archi

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