giovedì 14 aprile 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" dI Pietro Trevisan: 72° pagina.


«Ah, quello! L’ho trovato su in cima a Monte Leccio, quasi nascosto da un cespuglio. Ho pensato che sarebbe piaciuto alla mia donna. Ma chissà…. forse lo si potrebbe vendere».

Maxtran lo tirò fuori dalla bisaccia. Era quello che sembrava essere uno scialle, di un tessuto finissimo e morbidissimo, che pareva seta, anche se sicuramente non lo era.

Con il fondo di un verde pallido, quasi acquamarina, era decorato da strani grovigli di arabeschi e di spirali di un verde brillantissimo, quasi fosforescente, con file di cerchi intersecantisi sui bordi, secondo uno stile e un disegno sconosciuti all’arte dei Thyrsenna.

«L’avrà perso qualche Fata, come qualcun’altra ha perso la coppa trovata da Larsin. Si devono proprio essere spaventate! Più di quanto ci siamo spaventati noi!».

«Un oggetto del genere in effetti potrei venderlo a un bel prezzo. A ben pensarci, forse potrei vendere anche la mia coppa. Non sono molti, gli oggetti fatati che finiscono in mano umana».

«…. Anche perché si dice che se uno ne viene in possesso in modo non lecito, essi portano disgrazia».

«Ci si recita una preghiera sopra, la si spruzza di acqua consacrata, e il gioco è fatto! E poi anche la tua coppa rischia di portarti disgrazia».

«Staremo a vedere. La preghiera e la spruzzata di acqua consacrata ce la metterò anche io sulla mia coppa. Ma non credo che avremo dei problemi. Potevano fare a meno di lasciare la loro roba per terra, quelle là».

Larsin non era un credulone, ma non era neanche esattamente uno scettico. Le sue superstizioni ogni tanto le aveva anche lui. Era un contadino thyrsen analfabeta, e condivideva la mentalità della comunità in cui viveva. La paura degli spiriti, delle Fate, delle stregonerie erano una cosa normale nei villaggi thyrsen, e ancora di più in quelli posti verso i confini del paese.

Per sicurezza, ogni tanto rivolgeva preghiere di scongiuro su oggetti, eventi, persone e situazioni considerate foriere di disgrazie e malefici, esattamente come facevano tutti i contadini thyrsen, anche se poi non era un frequentatore del tempio ed era amico di quel miscredente infedele di Velthur, e in parte ne aveva assimilato la mentalità. Forse, per sentirsi un po’ simile a un colto uomo di città.

I quattro rimasero a chiacchierare al tavolo per il resto di quell’ozioso pomeriggio di festa, e la discussione gradatamente si spostò da quello che era successo sul monte e sul fiume, ad argomenti più usuali.

Ad un certo punto, non ne poterono più di rimuginare su quello che avevano visto, per quanto potessero essere spaventati, soprattutto Larsin e il povero Hermen, che aveva sperato fino all’ultimo di scoprire che era tutto normale, che il Monte Leccio non era la sede di prodigi spaventosi e che forse davvero lui aveva preso un grande abbaglio quando aveva visto quel demone volante.

Così, per allentare la tensione, e un po’ complice il sidro e i cibi forniti da Maxtran e la sua famiglia, avevano cominciato a parlare di desideri personali, di affari, di vecchie esperienze.

Velthur cominciò a narrare di quando, da giovane, aveva incontrato dei Tritoni sulla costa meridionale del Veltyan, dove nei villaggi di pescatori venivano a commerciare, scambiando pesci e frutti di mare e pepite d’oro estratte dal mare, con oggetti d’artigianato. Raccontò di come non bisognasse avere paura di loro, anche se avevano un aspetto orribile.

«La gente che vive lontano dal mare, o semplicemente molto ignorante, se li immagina come esseri con il corpo di uomo sopra la cintola, e di pesce sotto. Anche nelle illustrazioni dei libri a volte vengono rappresentati così. 

Ma quest’idea è frutto di un equivoco. Perché quando li si descrive a chi non li ha mai visti, si dice che sono “metà uomini, metà pesci” oppure “in parte uomini, in parte pesci e in parte serpenti”, la gente si immagina degli esseri fatti con un pezzo di uomo, un pezzo di pesce e un pezzo di serpente…. ma non è così.

La verità è che quando si dice così, s’intende dire che per alcune caratteristiche assomigliano agli uomini, per altre ai pesci, per altre ai serpenti.
A volte li chiamano anche “i giganti dal volto di vipera”, e allora ci si immagina degli esseri altissimi, come un albero, e con la testa di serpente…. e anche lì non ci siamo. Sembrano uomini

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