martedì 28 febbraio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 340° pagina.


E poi qua non ho mai visto nessun Nano, a parte uno per il quale ho firmato il permesso l’anno scorso…. A cosa serve proibire qualcosa a qualcuno che non sembra neanche avere l’intenzione di farlo?

E i Sileni? Qua chi non ama i Sileni? Sono considerati dei portafortuna, tutti i contadini sono amici loro, e guai a toccarli! Sarebbe stato un altro sistema per rendersi odiosi alla gente del posto, dalla quale invece voglio avere il massimo di collaborazione nel mantenere l’ordine.

L’unico divieto che abbia un qualche senso è nei confronti degli Avennarna. Non stanno particolarmente simpatici a nessuno…. Ma guarda caso l’unico Avennar qui è anche l’unico medico del paese, ed è anche un ottimo professionista. Quando ho saputo chi era, ho deciso di concedergli un permesso illimitato perché so che è benvoluto, e anche lui può aiutarmi a mantenere l’ordine in questa bolgia che si infittisce ogni anno di più.

Vedete, Reverendo Padre Maxtran, Veyan e Anxur sono grandi città piene di cultura e di una grande varietà di gente, ma là non sanno niente di come funzionano le cose qui, e soprattutto non sanno niente delle altre stirpi, perché là non ce ne sono, almeno ufficialmente. Niente Fate, né Nani, né Sileni, né Tritoni. Io sapevo che il decreto di mia sorella era un errore. Anche le Regine sbagliano, anche se sono le intermediarie di Sil sulla Madre Terra. Per questo le avevo chiesto di lasciare il Santuario sotto la mia diretta giurisdizione. Io conosco queste regioni molto meglio di lei. Qua ci voleva una persona che fosse vicina alla Regina, ma nello stesso tempo vicina a questa terra».

Maxtran non aveva potuto fare altro che dargli ragione. Mezenthis aveva una particolare capacità di convincere chiunque.  Era un uomo strano, stravagante, ma indubbiamente intelligente e capace. Dalla logica ineccepibile, sottile e pragmatica, che quasi cozzava aspramente con la sua stravaganza e i suoi modi un po’ misteriosi.

All’inizio Maxtran aveva provato una profonda diffidenza per lui. C’erano molte cose che non capiva di quel personaggio così aristocratico che di fronte a lui anche tutti i più importanti athumna della provincia parevano dei bifolchi. E difatti,  rispetto a lui lo erano. Non semplicemente per il suo grado nella gerarchia del Veltyan, ma perché tutto in lui trasudava ricercatezza, ricerca della bellezza e dello stile, stravagante passione del bello.

Era un uomo senz’altro amante dei piaceri, delle cose belle e raffinate, e sembrava che gli piacesse impressionare la gente del posto con gli straordinari oggetti con cui aveva riempito la sua villa, portati dalla lontana Anxur o comprati in altre grandi città del regno. Cose che in quella regione neanche i più ricchi e colti conoscevano.

Collezionava oggetti preziosi, ottenuti da sostanze pregiate provenienti da terre lontane, come il lapislazzuli delle lontane montagne perse nelle barbare terre d’oriente, o la giada di terre ancora più lontane, sempre ad oriente. Sostanze foggiate in statue, mosaici, recipienti e monili.

Le pareti delle sale e dei corridoi della villa erano interamente rivestite di specchi, specchi alchemici che riflettevano le immagini alterate, circonfuse di sfumature iridate. Quanto potessero costare quegli specchi, non se ne aveva la più pallida idea. Alcuni dicevano che li avesse prodotti lui, nel suo palazzo di Anxur.

Infatti, Mezenthis aveva una particolare passione per l’alchimia. Sembrava che fosse quello, il motivo per cui aveva chiesto alla sorella di potersi occupare direttamente del Santuario d’Ambra.

Nella sua villa, aveva dato già un ricevimento per inaugurarla, invitando tutti i nobili della zona e le autorità dei villaggi circostanti. Tutti ne erano rimasti enormemente impressionati, aldilà del fatto che si trattasse del fratello della Regina.

Alla sua tavola c’erano sempre cibi esotici, provenienti da paesi lontani. Tramite lui, la gente del posto aveva imparato che esistevano degli strani frutti provenienti dalle lontane isole d’Occidente, che avevano la forma di grosse pigne, ma che dentro avevano una polpa gialla, succosa e dolce che nell’aspetto ricordava gli agrumi. Li chiamavano ananassi. E con essi c’erano anche i datteri e il caffè di Edan Synair, i manghi di Lankar ancora più a oriente, le banane dei Mari del Sud e persino il cacao del lontano continente di Anthyli, oltre il grande mare d’occidente.

LOVECRAFT 355: L'ABITATORE DEL BUIO SI LIBERA E FUGGE VOLANDO

lunedì 27 febbraio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 339° pagina.


locali come il medico avennar e i suoi due amici di stirpe silenica. Li firmava lui stesso quando era in visita al Santuario, altrimenti si sarebbe dovuto andare fino ad Anxur per richiederlo.

Poi, man mano che le orde di pellegrini diventavano più numerose e sempre meno controllabili, aveva cominciato a concedere permessi a seguaci del belk e ad altri Avennarna. Ai Sileni sembrava non fare nessuna difficoltà, dato che per loro sembrava avere una non celata simpatia.

Ora, da quando gli avevano finito la sua splendida villa, concedeva i permessi praticamente a cani e porci. Uno poteva avere anche la doppia appartenenza all’Aventry e a una congrega di stregoni ed essere inoltre uno schiavo straniero catturato dopo aver commesso ogni atto possibile di brigantaggio, e riceveva lo stesso il permesso firmato dallo Shepen di poter entrare nel Santuario per almeno tre mesi, in cambio di un congruo obolo alle finanze del luogo sacro. Dopo altri tre mesi, se si era comportato bene, poteva richiedere senza problemi un altro permesso, bastava che lo pagasse.

Dalla festa di Tinsi Kerris, primo giorno d’estate, si era stabilito nella villa, che chiamavano già la Villa del Santuario, e ogni mattina firmava i permessi per le persone che, ufficialmente, non avrebbero dovuto entrare nel Santuario se non in rare, specifiche eccezioni scelte dalle autorità costituite.  Tutta la vera azione di sorveglianza era diretta solo nel far fare ispezioni ai suoi gendarmi sui permessi rilasciati.

Dentro di sé, sicuramente Mezenthis gioiva per quell’assurdo decreto emanato dalla sorella anni prima, perché era una notevole ulteriore fonte di guadagno.

Si supponeva che lo Shepen sarebbe tornato ad Anxur alla fine dell’estate, ma Maxtran ne dubitava.

Da come parlava della sua residenza, sembrava quasi che volesse stabilirsi là. Veniva quasi il sospetto che non gliene importasse niente di essere lo Shepen di una delle principali città del regno, e che fosse sul punto di chiedere alla Regina di poter rinunciare alla sua carica per dedicarsi spirito, anima e corpo al Santuario d’Ambra.

Pochi giorni dopo il Tinsi Kerris, Maxtran osò chiedergli perché fosse così di manica larga nel concedere i permessi di visita al Santuario.

«Abbiamo bisogno dei soldi di tutti, Reverendo Padre. Sono i gendarmi la vera sicurezza del Santuario, non certo il fatto di proibire a certe categorie di entrarci. Mantenere tutti quegli uomini e quelle donne non è uno scherzo. E poi anche i sistemi di protezione alchemica, i vetri urlanti, le reti viventi…. costano l’iradegliddei, non lo sapete? E poi il decreto della Regina non è applicabile….».

«Come? Scusate, Eminente Pontefice… cosa intendete dire?».

«Quello che dico! Non è applicabile e lo sapete anche voi! Mia sorella non è una stupida, ma non sa niente della vita qui vicino al confine….  e non sa nulla delle Fate e dei Sileni! Lo sapete anche voi che le Fate se ne infischiano dei divieti, perché possono assumere l’aspetto che vogliono! Per quello che ne so, anche uno dei miei gendarmi potrebbe essere una Fata! È del tutto inutile fare un decreto in cui si proibisce a una Fata di fare una qualsiasi cosa. È come proibire alla pioggia di cadere! E poi anche il resto…. proibire l’entrata al Santuario a tutti quelli che praticano la stregoneria… proprio qua, dove almeno una persona su cinque ha partecipato al belk almeno una volta nella sua vita. Il sistema migliore per inimicarsi gran parte della popolazione e renderla poco collaborativa con l’autorità. No, grazie…. non è il caso!

E i Nani? Proibire a loro di entrare nel Santuario è proprio andarsela a cercare! Potrebbero benissimo leggerlo come un affronto, una sfida! Lo sappiamo benissimo tutti quanti che gran parte del Veltyan è percorso dai loro cunicoli sotterranei di cui non sappiamo quasi nulla. Nessuno può scoprire fin dove si estendono, e per quello che ne sappiamo potrebbero essercene anche qua vicino. Anzi, è probabile, dato che le cime dello Zerennal Baras non sono molto lontane da qui. Non ci metterebbero niente a scavare una delle loro gallerie fin sotto il Santuario e fare un’incursione disabilitando tutte le nostre difese. Troppo astuti, troppo sapienti per noi.

Il fatto che il governo del Veltyan non ha mai avuto contrasti con loro da molti secoli è dovuto proprio al fatto che non abbiamo mai sfidato il loro potere, molto maggiore del nostro.

LOVECRAFT 354: SI AVVICINA L'ATTO FINALE DE "L'ABITATORE DEL BUIO".

domenica 26 febbraio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 338° pagina.


commesso un crimine, perché per le tradizioni più antiche dei Thyrsenna non era neanche previsto che i figli si allontanassero mai dalla madre e dalla famiglia d’origine in tutta la loro vita.

Quello era il motivo principale per cui Maxtran non era completamente felice della sua ricchezza, ma ce n’erano altri.

Uno di quelli risaliva anch’esso al Giorno del Prodigio del Sole Scarlatto, e ne era stata la causa la stessa Regina. Infatti, sembrava che nessuno sapesse bene cosa era saltato in testa alla sovrana in quel giorno ormai lontano. Anche lei aveva visto qualcosa dall’alto del tumulo, mentre dava la benedizione a tutto il popolo riunito nella piana circostante. Qualcosa che aveva spaventato moltissimo anche lei, a tal punto che non ne aveva mai voluto parlare, neanche alle persone più vicine.

Si era molto chiacchierato, sia fra il popolino che nella nobiltà e nel clero, su cosa avesse visto. Qualcuno aveva affermato che avesse visto un futuro pauroso per il Veltyan, e che avesse affidato la sua visione a una lettera segreta che avrebbe dovuto essere aperta solo dopo la sua morte.

Ma erano chiacchiere, di concreto non c’era niente.

L’unico fatto certo era lo strano decreto che aveva emesso dalla grande villa dei Tezanfalas per la gente di Arethyan, secondo cui nessuna Fata, nessun Nano, nessun Sileno, nessuna strega o stregone, nessun Avennar, nessuno straniero avrebbe potuto entrare nel Santuario d’Ambra se non con uno speciale permesso concesso dalle autorità sacerdotali. E per meglio assicurare questo fatto aveva affidato tutta la questione al fratello Mezenthis, lo Shepen di Anxur.

Poi si era apparentemente disinteressata di quel luogo, e non si era mai più fatta vedere da quelle parti, al contrario del fratello.

Figura strana, quella di Mezenthis Vipsul. Il fatto di essere il fratello minore della Regina gli aveva permesso di diventare lo Shepen della città di Anxur, una delle più grandi città del Veltyan, ma posta nelle regioni occidentali come la capitale Veyan, cioè a circa millecinquecento chilometri di distanza ad ovest di Arethyan. Si pensava quindi che comunque non lo si sarebbe visto più di tanto dalle parti del Santuario, e che avrebbe mandato degli ispettori e gendarmi della sua guardia personale per controllare che la volontà della Regina venisse assolta.

Invece Mezenthis, che aveva accompagnato la sorella in quel viaggio ai confini del regno, si era innamorato subito del Santuario d’Ambra e, sembrava, anche delle colline e le piane dell’Enkarvian e ancora di più delle candide Montagne della Luna.

Si era fatto costruire una villa nelle vicinanze, in mezzo a un’ampia isola che divideva il corso del fiume in due. Era una villa stupenda, tutta in blocchi di pietra bianca assieme ad altri di pietra rossa,

disposti a formare i bordi del tetto, delle porte, delle finestre, o per ornare le terrazze e i capitelli dei colonnati. La composizione di bianco e rosso la rendeva la più magnificente e spettacolare fra tutte le ville della regione, e lo Shepen di Anxur aveva deciso di passarvi tutte le estati, da quando era stata completata un anno prima.

I gendarmi dello Shepen di Anxur erano sempre stati tra i piedi, ma da quando la villa era stata completata, sembravano essere aumentati di numero, e i loro controlli essere diventati più frequenti. Dovunque si andasse, li si vedeva. Non solo nel Santuario, di giorno e di notte, o attorno al tumulo, ma anche sulla strada lastricata, ad Arethyan e persino ad Aminthaisan. Portavano tutti lo stemma di Anxur sul petto, incastonato sopra la cotta di scaglie di acciaio alchemico, così brillante e lucido che li si poteva riconoscere da lontano.

Ma c’era qualcosa di strano nel modo in cui lo Shepen conduceva tutta la faccenda. In pratica, sembrava andare contro lo stesso decreto della Regina. Con lui, veri e propri divieti non ce n’erano.

Era stata una cosa progressiva. Nei primi due anni dopo la visita della Regina, in effetti il Santuario d’Ambra era stato sottoposto a una sorveglianza stretta e nessuna delle categorie discriminate aveva potuto accedervi in alcun modo. Velthur, e così Menkhu e Prukhu se l’erano messa via, di poterci entrare.
Poi le cose erano gradatamente cambiate. Mentre lo Shepen Mezenthis si faceva vedere sempre più spesso da quelle parti, si cominciò a vedere che era disponibile a concedere permessi perlomeno ai

LOVECRAFT 353: ROBERT BLAKE INCONTRA L'ABITATORE DEL BUIO

sabato 25 febbraio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 337° pagina.


CAP. XXVII: DIETRO L’ALTARE



Maxtran Akapri avrebbe dovuto essere felice e soddisfatto della sua vita. Bene o male, era diventato l’uomo più ricco di Arethyan e, sembrava, anche dei dintorni.

Era riuscito ad ampliare la sua fattoria con le offerte dei pellegrini, che arrivavano ormai a migliaia e migliaia ogni anno, e diverse regalìe da parte degli Shepenna di Enkar e di altri alti rappresentanti del clero della provincia, oltre che del fratello della Regina Exinedri II. Alla fine, il suo comune casale di campagna si era trasformato in un grande ostello per pellegrini, che ogni anno si ingrandiva sempre di più e gli fruttava sempre più proventi.

Essendo considerato dalla legge un “edificio a scopo religioso”, l’ostello era esentato dalle tasse, e questo aveva ulteriormente ingrassato le già notevoli sostanze degli Akapri. Certo, per ricevere i finanziamenti degli alti sacerdoti aveva dovuto concedere ampie percentuali sulle offerte dei pellegrini, ma dato che l’afflusso delle masse di fedeli e visitatori turistici aumentava sempre più di anno in anno, i suoi proventi aumentavano anch’essi costantemente.

Gli inizi comunque non erano stati per niente semplici. Lui e la sua famiglia si erano trovati gettati in una situazione incredibile, da un lato esaltante e dall’altra spaventosa, e non ne era uscita indenne. Erano successe troppe cose legate a quel luogo quasi incomprensibile, e per alcuni membri della famiglia era stato troppo.

In particolare, il figlio Haral non era più stato lo stesso dopo il Giorno del Prodigio del Sole Scarlatto. Era stato vittima anche lui di una delle spaventose visioni che avevano colpito quasi tutti i presenti in quel giorno maledetto, in cui persino la Regina era rimasta così terrorizzata da quello che aveva visto, che non aveva più voluto saperne del Santuario d’Ambra, affidando tutto al fratello.

Certo, anche gli altri membri della famiglia avevano visto cose strane ed inspiegabili, ma non così terrificanti come quello che aveva visto Haral, il quale si era messo a urlare e correre come un pazzo finché era stato ritrovato, parecchie ore dopo, perso lungo il corso del fiume, nascosto tra gli alberi, come se volesse cercare un rifugio da un pericolo incombente.

Quando era stato ritrovato da alcuni suoi amici, aveva balbettato confusamente senza poter spiegare che cosa aveva visto. Solo in seguito, quando si era ripreso, aveva raccontato di essersi trovato sull’orlo di un abisso che “si era spalancato nella terra” di fronte al tumulo del Santuario, e dove aveva visto “un oceano nero ma dalle onde splendenti” sul cui fondo splendevano però “innumerevoli stelle, così tante da formare vere e proprie nubi”. E in quell’oceano c’erano “delle cose viventi”, e “una cosa che l’aveva così spaventato che non aveva il coraggio di descriverla”.

Non aveva mai detto niente di più, e non era più tornato sull’argomento in tutti quegli anni, a differenza di altri che avevano continuato a raccontare la propria personale esperienza allucinatoria, magari ridendoci anche sopra, per attirare l’attenzione dei pellegrini e dei nuovi visitatori più curiosi, che volevano tutti farsi raccontare quante più storie possibile su quel giorno prodigioso, non importava se condite di particolari nuovi, o deformate dal fatto di essere diventate ormai leggenda.

Haral invece non aveva più voluto parlare di quel giorno, e neanche voleva sentirne parlare. Si infastidiva e cambiava discorso.

Eppure il suo carattere sembrava essere cambiato da allora. Era diventato scontroso, irritabile, spesso rissoso e beone, spendeva un sacco di soldi in vestiti, alcoolici, feste che organizzava con gli amici.

Sua madre Larthi diceva che era stata la ricchezza a rovinarlo, che quando un povero diventava improvvisamente molto ricco, finiva con il perdere la testa e col darsi a una vita dissoluta.

Col tempo, aveva finito per diventare un peso, piuttosto che un aiuto in casa. E di lavoro in casa gli Akapri ne avevano sempre tanto, troppo. Maxtran era arrivato al punto di pagarlo per restare fuori dai piedi. Non lo voleva neanche più vedere nel grande ostello, a infastidire le donne, sia serve che ospiti pellegrine, o litigare con ospiti, parenti e servitori per motivi stupidi.
L’unico motivo per cui non lo buttava fuori di casa, era perché Larthi non l’avrebbe mai permesso. Per le matriarche contadine i figli non si buttano fuori di casa, mai, a meno che non abbiano

LOVECRAFT 352: L'ORRORE AVANZA LENTAMENTE NE "L'ABITATORE DEL BUIO".

venerdì 24 febbraio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 336° pagina.


Subito dopo Loraisan se ne andò via, sognando un futuro in cui avrebbe potuto viaggiare in lungo e in largo per il grande Regno Aureo.

Velthur invece andò a cercare qualcosa in uno dei suoi immancabili libri di storia e segreti antichi. Trovò quello che voleva sapere in breve tempo, perché aveva una buona memoria per gli argomenti scritti. In un libro di storia dell’alchimia, c’era un capitolo chiamato Leggende sui segreti alchemici dei Giganti Antidiluviani.

Il brano che gli interessava raccontava questo:



I Nani dello Zerennal Baras, nelle viscere delle Montagne della Luna, hanno molte tradizioni sul conto dei Giganti Antidiluviani, poiche, per il fatto di essere passati indenni attraverso il cataclisma del Diluvio, essi hanno potuto ricordare la storia antidiluviana in modo molto più vasto e profondo di noi Uomini.

Essi affermano di aver condiviso con i Giganti parecchi dei segreti della loro alchimia, in particolar modo la fabbricazione e l’uso di quelli che chiamano gli sbriciolatori alchemici, che agli Uomini moderni sono pressoché sconosciuti, anche se certi ceselli alchemici per scultori si avvicinano per certi aspetti a questi straordinari strumenti.

Gli sbriciolatori sono delle aste metalliche di una lega di argento, argentovivo e argentolieve, con una punta conica di un cristallo particolare, simile al diamante alchemico, che si illumina di una luce blu non appena qualcuno prende in mano l’asta di metallo. Se mentre lo si impugna, si tocca una pietra o un qualsiasi altro oggetto solido, esso si sbriciola in polvere finissima, con la sola forza di volontà di chi lo imbraccia.

Essi lo usano per scavare le gallerie del loro regno in brevissimo tempo e con scarsa fatica.

I Nani non hanno mai voluto rivelare agli Uomini questo segreto alchemico, in nessun caso, perché gli sbriciolatori possono essere usati anche come arma. Se la punta toccasse un corpo vivente, lo ridurrebbe in poltiglia liquida in pochi istanti.

La potenza di questo strumento è proporzionale alla potenza del farthankar di chi lo impugna, come per tutti gli strumenti di lavoro che impiegano forze alchemiche.

I Nani raccontano inoltre che i Giganti, nel passato remoto prima del Diluvio, riuscirono a carpire loro il segreto degli sbriciolatori di pietre, ma non li impiegarono come arma, bensì per scavare le miniere, esattamente come fanno i Nani. Si ritiene che essi li abbiano usati anche per scolpire il Kadatlas negli ultimi secoli prima del Diluvio.

Questa idea è nata dal recente ritrovamento di un’antica iscrizione antidiluviana da parte di un navigatore che aveva dei commerci con le regioni interne della Terra di Khaam, proveniente presumibilmente dalla regione delle Grandi Piramidi, e in cui si parla, nell’antica lingua quiru, di strumenti chiamati Scalpelli di Luce Divina, la cui descrizione sembra corrispondere agli sbriciolatori alchemici.



Velthur, per la prima volta da che era cominciata quella storia sette anni prima, dopo tutto quello che era successo e che aveva visto, sentì una nuova fortissima emozione, ma ben diversa da quelle di prima.

Non più terrore, orrore, sconcerto, angoscia, rabbia, incertezza. Ma una gioia immensa. Inspiegabile. Come se avesse trovato finalmente il centro del mistero. E quel mistero fosse una cosa bellissima. Come se fosse sicuro che sarebbe stato Loraisan ad essere la chiave d’accesso a quel mistero. Non sapeva dire perché, ma in qualche modo, era Loraisan la chiave di tutto, il centro del mistero. Lui, e non Aralar e le sue pazzie.

Loraisan aveva delle facoltà davvero straordinarie, forse la facoltà di penetrare nel mistero con la sola forza della sua mente. Restava solo da stabilire se era il caso di farglielo capire subito, o solo quando fosse stato più grande. Sempre se ci fosse stato il tempo di aspettare che fosse stato più grande, prima che succedesse qualcosa di irreparabile.

LOVECRAFT 351: L'ABITATORE DEL BUIO CERCA DI USCIRE DALLA CHIESA.

mercoledì 22 febbraio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 335° pagina.


Le sette figlie divennero le prime sette regine del Veltyan e i loro sposi divennero sette re, ma  dopo la morte di Anthaymon, fra di loro cominciarono subito i contrasti, perché ognuno di loro voleva essere il Re Supremo del Veltyan, e alla fine si arrivò alla guerra fra le sette città.

E fu così che si arrivò a una grande battaglia, in cui morirono quasi tutti i combattenti, in un massacro spaventoso, tanto che le sette città si ritrovarono abitate per lo più solo da donne e bambini, perché gli uomini erano in gran parte morti, e per ogni uomo superstite c’erano molte donne. Anche i sette re erano tutti morti, e le sette regine sorelle erano rimaste vedove.

Fu allora che il popolo della città di Hennirmya, a settentrione di Phenexi,, conobbe un gruppo di Fate sopravvissute al Diluvio, discese fin là dalle lontane Montagne Albine a nord.

Quella tribù di Fate aveva visto, nelle loro visioni, che un popolo di Uomini si era stabilito nel lontano meridione, e perciò aveva disceso il corso del Podu, traversando le vaste pianure, per conoscerlo e unirsi ad esso, in quel mondo ormai deserto.

Le Fate iniziarono ad avere commercio con la gente di Hennirmya, alle cui donne insegnarono le arti della tessitura e delle erbe medicamentose, poiché a causa del Diluvio prima, e della Guerra delle Sette Città poi, molte conoscenze ed arti erano andate perdute.

E le Fate insegnarono alle donne di Hennirmya anche i loro usi e costumi di vita, poiché le donne non volevano dover mettere insieme le loro famiglie, sposando in molte lo stesso uomo. Così cominciarono a vivere secondo i costumi del matriarcato e del matrimonio notturno, e a imporre ai pochi uomini rimasti questo nuovo sistema di vita, che si trasmise poi alle altre sei città.

Le sette regine non si risposarono, e di comune accordo stabilirono che d’allora in poi sarebbero state le femmine a trasmettere l’eredità dei beni, della terra e il nome della famiglia, e non più i maschi, e che loro stesse avrebbero lasciato il trono alle figlie primogenite.

Così nacque il popolo dei Thyrsenna, e l’origine delle sue tradizioni.



«La città di Phenexi…. sarebbe Enexi? Una volta mio padre mi ha parlato di quella città. Dice che è bellissima, tutta costruita su isole in mezzo a una laguna alla foce del fiume Podu, con le strade che sono canali di acqua, anche se lui non l’ha mai vista».

«Sì, Phenexi è il nome antico di Enexi. La città più antica del Veltyan. E sì, è vero: è bellissima. Una volta ci sono stato, da giovane. C’è un grande porto dove approdano le navi che tornano da viaggi commerciali con l’Oriente e l’Occidente, portando mercanzie di ogni tipo. Una città grandissima, una delle più grandi dopo Veyan, la nostra capitale».

«Che strana coincidenza, che la prima città del Veltyan sia anche la prima città degli Uomini dove è rinata l’alchimia!».

«Non tanto strano. Quando Larth Turan imparò i principi dell’alchimia dai Nani, Enexi era già da molti secoli uno dei più importanti porti commerciali del regno. Turan aveva capito benissimo che era lì che doveva stabilirsi, per poter ottenere le sostanze necessarie al suo laboratorio alchemico, e poi anche per farsi conoscere. Inoltre Enexi era piena di artigiani, oltre che di commercianti. E gli alchimisti non sono altro che una particolare categoria di artigiani. Ed è per questo che è diventata anche la prima città alchemica del Veltyan».

«Come mi piacerebbe poterla vedere, almeno una volta nella mia vita….».

«Forse potrai. Se diventerai bravo, se diventerai un uomo sapiente, allora potrai anche viaggiare, vedere città importanti come Enexi, Artheni, Spertagon, Havenrieni, Anxur, Ermonei, Lubyan, Miran, Thauris, Sirakh, Loriens e la grande capitale, Veyan».

«Voglio andare ad Enexi, un giorno. E quando ci sarò, penserò alla storia che ho letto oggi. Penserò: ecco, qui migliaia di anni fa arrivò il principe Ankhaymon e fondò questa città, e fece nascere il nostro popolo, con sole trecento persone».

«Ti dirò, quando ci andai io, non pensai neanche una volta a questo fatto. Pensavo solo a visitare la città e divertirmi, scoprire cose nuove…. ero uno studente che aveva appena conseguito il titolo di medico. Il viaggio avevo potuto pagarmelo con un premio da parte di mio zio, per essere riuscito nei miei studi».

LOVECRAFT 350: L'ORRORE RISVEGLIATO NE "L'ABITATORE DEL BUIO".

martedì 21 febbraio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 334° pagina.


Ankhaymon era l’ultimogenito, e quando fu il momento di trovargli un dominio che fosse suo, il padre vide che non era rimasto niente nel suo vasto regno da potergli affidare.

Ankhaymon allora disse al padre: «Non voglio valere meno dei miei fratelli, non è giusto che solo io resti senza alcun dominio, senza una città da fondare. Ti prego quindi di darmi tre navi, con dei marinai, e lascia che io riunisca quelli del nostro popolo che vogliano venire con me. Andremo all’ovest, oltre il mare, alla ricerca di una terra dove fondare una nuova città, perché io spero che anche là ci siano vaste terre dove la stirpe degli Uomini si può stabilire e ripopolare la Madre Terra».

Allora il padre lo scongiurò di non tentare l’impresa, perché a quel tempo non si sapeva cosa ci fosse ad occidente oltre il mare, e il Diluvio aveva devastato la Madre Terra intera, non si sapeva se le antiche mappe che mostravano grandi terre ad occidente della grande isola di Edan Synair potessero ancora dire la verità, o se invece le acque dell’oceano le avessero sommerse.

Ma il figlio insistette, dicendo così: «Un giorno qualcuno dovrà scoprire cosa è rimasto di questo nostro mondo devastato, e se ci sono delle terre ad ovest da ripopolare, lascia che sia io il primo a farlo».

E il figlio continuò a insistere così tanto, che alla fine il padre Khaam-Azar gli dette tre navi e marinai sufficienti a fare la traversata, e lasciò che quelli del suo popolo seguissero il figlio alla ricerca di una nuova terra da abitare.

Trecento furono i seguaci di Ankhaymon, uomini, donne e bambini, con i quali avrebbe varcato il mare che divide l’isola di Edan Synair dalla vasta terra del Veltyan.

Le navi di Ankhaymon andarono verso occidente, fino a quando videro un grande uccello bianco, dal becco e dagli artigli d’oro, e dalla lunghissima coda che sembrava una scia di fiamme rosse e dorate, dai molti occhi neri, simili a quelli nelle code dei pavoni, discendere dal cielo e volare sulle navi come a guidarle. L’uccello cantava con una voce che ricordava un coro, e sembrava chiamare i naviganti.

Ankhaymon, avendo intuito di trovarsi di fronte ad un segno divino, seguì l’uccello, che aveva capito essere la Fenice, l’Uccello di Fuoco che visita da tempo immemorabile l’isola di Edan Synair, provenendo dal Regno degli Dei.

Dove la Fenice si fosse fermata, là sarebbe stata la sede del suo nuovo dominio.

Finché alla fine videro una terra comparire all’orizzonte, dove incontrarono le foci del grande fiume Podu, e lì si fermarono.

Trovarono una terra fertile nel delta del grande fiume, e il principe di Khaam si stabilì con la sua gente sull’isola di una laguna. Attorno gli alberi stavano ricrescendo dopo la devastazione del Diluvio, avvenuta ottanta anni prima.

Sull’isola del delta fondarono la città di Phenexi, la prima città del Veltyan, così chiamata in onore della Fenice, l’Uccello della Rinascita.

E quando il principe Ankhaymon e la sua gente ebbero costruito le case di legno della loro città, le tre navi tornarono indietro, per raccontare che ora esisteva il regno di Phenexi aldilà del mare, nella terra del Veltyan.

E nel centro della città Ankhaymon fece costruire un santuario a Sin, con una statua in forma di vitello d’argento, e per questo la terra che aveva scoperto e conquistato fu chiamata Veltyan, la Terra del Vitello.

Lunghi anni regnò Ankhaymon, prima di lasciare il trono di Phenexi a suo figlio Anthaymon, il quale non ebbe eredi maschi, ma solo sette figlie, a cui pensò di dare a ciascuna un dominio diverso, poiché il popolo continuava ad aumentare, e la città si era ingrandita, e le terre del Veltyan erano vaste e deserte.

Allora Anthaymon fondò altre sei città nella grande valle del Podu, in modo che ognuna delle figlie potesse avere un proprio dominio, proprio come aveva fatto suo nonno Khaam-Azar con i suoi figli maschi.

LOVECRAFT 349: LA STORIA DEL TRAPEZOEDRO NE "L'ABITATORE DEL BUIO".

domenica 19 febbraio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 333°pagina.


«Ma…. non molto. Però la montagna non appariva come nell’illustrazione del suo libro. Aveva una forma diversa. Era come una delle piramidi a gradini che ci sono in quell’altra illustrazione che mi avete fatto vedere tempo fa…. quella con le rovine di Iubar. Aveva i fianchi obliqui, e la cima piatta.  Era immensa, sembrava proprio toccare il cielo, ed era di un colore verde scuro. Credo che fosse tutta coperta di muschio. Infatti attorno c’era come una pianura di muschio ed erba, e all’orizzonte c’era una catena di montagne che la circondavano, montagne di ghiaccio. E in distanza mi sembrava di vedere una città, oltre il Kadatlas. Una città dal colore strano… sembrava di un blu chiaro. Appena l’ho vista, mi sono detto: “quella è la città di Norbred”.

Ma non sembrava in rovina. Mi sembrava di vedere dei grandi palazzi, e mi parevano interi, non spezzati o crollati».

«E tu cosa facevi, in quella pianura? Non c’era nessuno accanto a te?».

«Oh sì, c’era qualcuno. Un Sileno, ma non somigliava per niente a Menkhu o Prukhu. Era tutto coperto di pelo bianco, bianchissimo, con una barba molto più lunga della loro, anch’essa bianchissima. E i suoi occhi erano azzurrissimi, di un azzurro chiarissimo, che non ho mai visto. Quasi bianchi. Facevano impressione, da tanto erano chiari. Portava una pelliccia scura sulle spalle, e in mano aveva un bastone stranissimo…. era d’argento, e la punta sembrava di un vetro che splendeva di luce blu…. Mi stava di fronte e mi parlava. Mi ha raccontato una storia strana.

Ha impugnato il bastone e mi ha detto: “vedi questo bastone? È con questo che gli operai dei Giganti hanno scolpito la montagna. Guarda cosa faccio a questo sasso!” Allora il Sileno bianco ha toccato un sasso per terra con la punta luminosa del bastone e questo è diventato polvere! Polvere che è stata dispersa dal vento! Infatti, mi ero chiesto come avessero fatto, a scolpire la montagna. Trecento anni mi sembravano troppo pochi, per riuscirci. Poi il Sileno mi ha detto che quei bastoni si chiamavano Scalpelli di  Luce Divina. Ha detto proprio così. Sono rimasto stupito, perché non ho mai sentito parlare di quei cosi. Io non credo di essermelo inventato da solo».

Velthur rimase impietrito dallo stupore. Temeva, a quel punto, di fare un passo falso con Loraisan. Quel bambino era un terreno minato. Avrebbe voluto chiedergli maggiori particolari sul suo sogno, ma sicuramente avrebbe mangiato la foglia. Avrebbe intuito che nel suo sogno c’era qualcosa che interessava troppo il medico, e avrebbe ricominciato a fare domande che non doveva fare, a porre sospetti che sarebbe stato meglio non avesse.

Il bambino non doveva sapere che anni prima lui aveva avuto una visione simile, o meglio un’allucinazione dovuta ad un vino drogato dalle Fate. Ma era sconcertante il fatto che avessero visto la stessa cosa: la tradizione rappresentava la Montagna dalle Sette Balze con la forma di una torre a cono tronco, con sette gradini a strapiombo. La si era immaginata così perché il Tinsina Entinaga non descriveva  l’esatta forma che aveva. Invece, sia lui che Loraisan l’avevano vista a forma di piramide tronca, con gradini obliqui. E così dicevano di vederla anche le Tre Madri del Fato.

Prima di quel giorno, Velthur aveva sempre pensato che il Kadatlas fosse una leggenda, che magari esisteva, però senza essere affatto una montagna scolpita, ma semplicemente un rilievo naturale che aveva assunto una forma bizzarra e che perciò era passata alla leggenda come luogo sacro.

Dopo quella visione di sette anni fa, aveva cominciato ad insinuarsi in lui il sospetto che ci fosse qualcosa di vero, e adesso quel sospetto rischiava di divenire un’ossessione. E poi c’era un’altra cosa, che Loraisan non poteva sapere, a meno che non l’avesse sentita da qualcuno che la sapesse molto lunga…. Prukhu? Avrebbe dovuto indagare.

Si ripromise di fare la solita ricerca nei suoi libri. Intanto, era meglio pensare solo alla lezione, se ci riusciva.

La lettura di quella mattina riguardava la nascita del popolo dei Thyrsenna.



Avvenne che il re Khaam-Azar,  figlio del re Khaam, figlio secondogenito del re Manowa, avesse tredici figli maschi, e che volesse dare a ciascuno di essi un dominio nel suo regno di Ael Khaam, affinché vi fondassero una città e contribuissero a popolare la Madre Terra rimasta deserta dopo il Diluvio.

LOVECRAFT 348: LE ORIGINI DEL TRAPEZOEDRO NE "L'ABITATORE DEL BUIO".

sabato 18 febbraio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 332° pagina.


grande civiltà dei Giganti, sopravvissero, così come animali e piante che altrimenti si sarebbero estinti se davvero il Diluvio avesse sommerso tutta la Madre Terra.

E quei piccoli gruppi di Uomini avevano lingua, usi e costumi molto diversi dagli Uomini che vivevano sotto il dominio dei Giganti.

Per esempio, i popoli del Nord sono così diversi perché, secondo le loro leggende, discendono da un Uomo che si salvò in cima a una montagna durante il Diluvio, una montagna posta nell’Estremo Settentrione, nel Mare Artico, in una terra chiamata Thyle o Thule. Secondo questa leggenda, quando le acque del Diluvio si ritirarono, questo Uomo discese assieme a sua moglie e ai suoi figli verso il mare, e i suoi discendenti andarono verso sud , e nel corso di molti secoli finirono per arrivare ai confini settentrionali del nostro regno.

I popoli dell’Oriente invece sono scuri perché sono rimasti scuri…. cioè, siamo noi che ci siamo schiariti in più di quattromila anni dal Diluvio. I nostri antenati erano scuri come gli abitanti attuali di Edan Synair, con i quali siamo imparentati. Ma poi, sarà stato l’ambiente diverso, saranno state le commistioni di sangue con gli invasori del Nord, la nostra pelle e i nostri occhi si sono schiariti. E poi anche la nostra lingua è cambiata, a contatto con gli altri popoli. Soprattutto con il popolo delle Fate, con cui abbiamo sempre avuto molti rapporti stretti, ma con il quale ne avevamo ancora di più all’inizio della nostra storia. Comunque, adesso riprendiamo a leggere. Sono tutte cose che scoprirai poco per volta».

«Ma scusate ancora, dottore…. Allora quello che c’è scritto nel Tinsina Entinaga non è del tutto vero. Dice che solo gli Uomini che erano nell’Arca sopravvissero, e invece voi mi dite che ce ne furono altri che si salvarono in cima alle montagne….».

«I nostri antenati non potevano saperlo, ancora. Chi scrisse il Tinsina Entinaga credeva che solo gli occupanti dell’Arca si fossero salvati, perché di fatto per loro era così. Gli antichi non potevano sapere ciò che abbiamo scoperto noi dopo molti secoli».

«Mia madre dice che quello che è scritto in questo libro è verità, e bisogna crederci in ogni sua parola. Voi invece mi dite di no».

«Mi accorgo di aver parlato troppo. Non intendevo certo contraddire tua madre».

Loraisan sospirò.

«Ci risiamo, eh? Oh, non vi preoccupate… me la sono già messa via».

La lettura continuò ancora per un po, su di un brano meno interessante, che parlava dell’elenco della discendenza di Manowa fino ad Ankhaymon, quel principe del regno di Khaam, che aveva voluto cercare ad occidente nuove terre da popolare, ed era partito con tre navi per approdare alle coste del Veltyan, alla foce del grande fiume Podu.

Ma quella era una storia che si sarebbe letta nella lezione successiva.

Quella notte, Loraisan sognò la Montagna dalle Sette Balze, in uno dei suoi sogni più lucidi. Fu un sogno bellissimo, che sarebbe rimasto vivo nel suo ricordo per sempre, vivido e intenso. Ma non la sognò come l’aveva vista raffigurata nell’illustrazione del libro del dottor Laran.

Dopo il sogno, si era svegliato nella notte, ma anziché provare paura per il buio e i suoi fantasmi oscuri, sentiva dentro di sé una gioia immensa, come se avesse ricevuto un bel regalo.

Gli pareva che quella visione notturna fosse stata un segno degli Dei, un messaggio segreto, sconosciuto, che gli era stato mandato per decifrarlo.

Cosa volesse dire non riusciva a capirlo, ma sapeva che era qualcosa di positivo, qualcosa di buono, un annuncio di verità e di speranza, perché era troppo bello per non essere anche buono.

Poi si era subito riaddormentato, e aveva fatto altri sogni prima dell’alba, ma di tutt’altro genere, e meno vividi.

Nella lezione successiva, la prima cosa che disse Loraisan nel momento in cui si sedette al tavolo dello studio di Velthur, fu di raccontare il sogno che aveva avuto.

«Sapete, dottore…. ho sognato il Kadatlas proprio la notte dopo la scorsa lezione. Ho avuto un sogno lucidissimo, vedevo le cose come se fossi sveglio. E ho visto la Montagna dalle Sette Balze come se vedessi una delle Montagne della Luna all’orizzonte. È stato bellissimo!».

«E cosa avveniva, nel tuo sogno?».

LOVECRAFT 347: LA TERRIFICANTE EVOCAZIONE DELL'ABITATORE DEL BUIO.

venerdì 17 febbraio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 331° pagina.


«Delle mogli e delle figlie non se ne parla, perché a quel tempo le famiglie erano patriarcali, non matriarcali come le nostre, capisci? I beni, le proprietà e il nome della discendenza si trasmettevano di padre in figlio, non di madre in figlia. Le donne non venivano minimamente considerate. Gli uomini sceglievano tutte le mogli che volevano, se erano ricchi potevano averne più di una, e queste dovevano rimanere legate ai loro mariti finché erano loro a volerlo. Come ti ho detto, il mondo prima del Diluvio era molto diverso. Si pensa che i Giganti fossero patriarcali perché avevano ereditato la loro natura divina dai loro padri celesti, e di conseguenza lo erano diventati anche gli Uomini sotto il loro dominio».

Quella rivelazione lasciò Loraisan sconcertato, quasi sconvolto.  La famigla e le sue regole sono fra le prime cose che una persona conosce nella sua vita. Venire a sapere che esistono altri popoli, o anche altre persone che seguono regole molto diverse nei rapporti tra parenti, nel modo di concepire l’unione tra uomo e donna e nel modo di vivere la sessualità, è in genere un’esperienza che sorprende molto, e in molti casi scandalizza e sconvolge.

«Ma scusate, dottore…. come facevano Manowa, e tutti i padri di famiglia della sua gente, a essere sicuri che i loro figli fossero veramente loro? Come potevano essere sicuri di lasciare in eredità i loro beni ai loro figli, e non a quelli di un altro? Nelle nostre famiglie c’è la sicurezza che l’eredità si trasmetti da consanguineo a consanguineo, da madre a figlia, da zio a nipote…. ma da padre a figlio come si fa a essere sicuri?».

«Certo. La madre è sempre certa, il padre è sempre opinabile, dice un antico proverbio. E appunto per questo gli antichi non potevano, ecco tutto! Pare che recludessero le loro donne in casa e sorvegliassero continuamente che non avessero contatti con altri maschi, per cercare di scongiurare l’aborrito pericolo di allevare in casa propria il figlio di altri…. una bella vita, vero? C’è chi crede che il mondo prima del Diluvio fosse una sorta di Regno degli Dei in terra, ma in realtà  chi lo crede non sa proprio un bel niente!».

«Oddei, poverette quelle donne! E se poi si scopriva che una donna aveva fatto un bambino con uno che non era suo marito?».

«Nel migliore dei casi, veniva ripudiata, veniva buttata fuori di casa senza tanti complimenti, sembra. E in altri casi, veniva uccisa dal marito geloso, con molta facilità!».

«Beh…. allora non c’è da stupirsi che Sin abbia mandato il Diluvio! La gente antidiluviana doveva essere parecchio cattiva! Non dovevano essere così civili e sapienti come mi hanno fatto credere!».

«Per quanto riguarda il trattamento delle donne, no di certo. Ma credo anche per altre cose, come potrai scoprire man mano che imparerai la storia. Pare che fosse un mondo dove  grandissime moltitudini erano ridotte in schiavitù. Alcuni pensano che gli Uomini schiavi fossero molto più numerosi di quelli liberi».

«E poi cosa è cambiato? Come mai noi viviamo in modo tanto diverso dai nostri antenati?».

«Quello lo vedremo nelle prossime lezioni, Loraisan. Intanto dimmi: hai altre domande, prima che ricominciamo a leggere?»

«Sì, una. Riguardo l’origine dei popoli dopo il Diluvio. Insomma,…. tutti gli Uomini discendono da Manowa e dal suo popolo, no? Quindi tutti i popoli sono fratelli. Dovremmo parlare tutti la stessa lingua, come la parlavano gli Uomini antidiluviani, avere tutti gli stessi usi e costumi, avere tutti lo stesso aspetto, no? E invece ho visto che a questo mondo ora esistono tante lingue, tanti popoli diversi, e gli altri popoli hanno anche un aspetto diverso…. mentre noi Thyrsenna siamo di pelle chiara, con i capelli scuri e gli occhi grigi, voi mi avete fatto vedere che le genti d’Oriente hanno la pelle scura, del colore rosso della terracotta, con i capelli e gli occhi neri, come ce li ho io, e invece i popoli del Settentrione sono ancora più pallidi di noi, con i capelli rossi come le carote e gli occhi azzurri o verdi, e sono più alti di noi. Come mai tutto questo, se discendiamo tutti da Manowa e dal suo popolo?».
«Perché in realtà non è così. Non tutti gli Uomini fuori dall’Arca perirono nel Diluvio. L’ondata del Diluvio colpì tutte le pianure e gli altipiani, e i fondi delle valli. Ma le cime delle montagne, certi altipiani e le valli più isolate si salvarono. Alcune piccole tribù di Uomini selvaggi, lontani dalla

LOVECRAFT 346: IL TRAPEZOEDRO LUCENTE DE "LABITATORE DEL BUIO".

mercoledì 15 febbraio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 330° pagina.


Loraisan chiese una pausa. Voleva fare delle altre domande, e Velthur glielo permise. Fintanto che non c’erano precisi divieti di mezzo, il medico non voleva frustrare nessuna sua curiosità. Anche se le domande del bambino potevano essere estenuanti.

«Se mi permettete, dottor Laran, c’è un’altra cosa che non capisco, ma immagino che anche là non potrete dirmi il perché… come hanno fatto Manowa e il suo popolo, e tutti i loro animali, a vivere nella terra di Edan Synair se tutto era coperto dal fango e non c’era più niente di vivo? Come faceva il bestiame a mangiare, se l’erba ha dovuto metterci chissà quanto tempo a ricrescere? Come faceva la gente a vivere se non aveva campi e frutteti da coltivare? Ci saranno voluti dei mesi, prima di poter di nuovo coltivare la terra e un anno intero prima di poter raccogliere le prime messi…..».

«In effetti è una domanda che si sono posti molti. Quando ero bambino, mia madre mi ha raccontato che mentre l’erba cresceva e le sementi germogliavano, Manowa, il suo popolo e il loro bestiame venivano nutriti dai Demoni Celesti inviati da Sil, che facevano piovere cibo commestibile dal cielo sotto forma di fiocchi bianchi…. magari tua nonna ti racconterà la stessa storia….».

«Ah, capisco…. e posso sapere che fine hanno fatto i tre grandi regni dell’Edan Synair? Voi mi avete raccontato che i nostri antenati vennero da lì, dal regno di Khaam, ma non mi avete raccontato cosa è successo poi in quella terra, come sono finiti i tre regni dei figli di Manowa, chi li ha distrutti, e chi ci vive adesso».

«I tre regni durarono ancora diversi secoli, ebbero grande fortuna per qualche tempo prima di decadere e scomparire, ma non furono distrutti da nessuno, anche perché nei primi secoli dopo il Diluvio la Madre Terra era completamente deserta. Non potevano esserci popoli invasori, e i nostri antenati non potevano avere nemici di nessun tipo.

Furono i cambiamenti del clima, a distruggere la civiltà dei Tre Regni. Quando l’Arca approdò alla terra di Edan Synair, essa era coperta di fertile fango, e all’inizio, dopo il cataclisma, divenne un grande, caldo giardino pieno di fiori e frutti, a parte nel Deserto Rosso. Una terra dove la gente prosperava, e le città crescevano.

Poi, il clima cambiò. Il mondo prima del Diluvio era diverso, non solo le forme dei continenti erano cambiate, ma anche la posizione di Kellur rispetto al Sole. Come dire….. la Madre Terra si inclinò su se stessa poco per volta, e i raggi del Sole non arrivavano più nello stesso modo di prima. Certi paesi che si trovavano presso i ghiacci eterni si ritrovarono sotto un sole caldo, e viceversa. E ci furono anche altri cambiamenti che avvennero dopo.

 Dove prima c’erano i ghiacci, spuntò l’erba, dove prima c’era l’erba, arrivarono le sabbie e le rocce del deserto. Dove c’erano le paludi, comparvero laghi, dove c’erano terre soleggiate, comparvero terre nebbiose e fredde, coperte di tundre e brughiere.

Thyrnis fu la prima a cadere, coperta dal deserto, e i suoi eredi sono le tribù nomadi del Deserto Rosso, che si stende per quasi tutta l’isola, a parte un po’ di verde lungo le coste del sud e dell’ovest. Iubar, la più grande e gloriosa, fu la seconda: pare che prima una diga sulle montagne cedette e inondò la città, lasciandola mezza spopolata, poi un gran vento dal deserto la seppellì, e ancora adesso le sabbie la ricoprono. I pochi superstiti fuggirono, e i loro discendenti vivono nei poveri villaggi lungo la costa.

La gente del posto dice che l’alluvione, che per loro fu come un piccolo Diluvio, fu una punizione di Sin, perché gli Iubariti erano diventati troppo orgogliosi come i Giganti antidiluviani.

L’ultima a decadere fu Midian, che a dire il vero non è mai stata abbandonata del tutto. È divenuta una piccola cittadina arretrata e povera, che di recente ha ripreso a crescere grazie ai nostri navigatori che commerciano nei suoi porti, importando da noi molte spezie e materiali che servono alle nostre industrie alchemiche. Ma dell’antica civiltà di quei luoghi non è rimasto praticamente più niente. Come ti ho già detto, non ci sono altre civiltà umane su Kellur, oltre alla nostra. Altre domande?».

«Sì, volevo sapere…. un’altra cosa che non capisco, e che spero che vogliate spiegarmi, stavolta…. come mai nel racconto del Diluvio non si parla mai delle mogli e delle figlie dei vari Re? Voglio dire: come mai non si parla della moglie di Manowa, e non si parla neanche delle sue figlie? Era perché non aveva figlie, e allora l’eredità è andata tutta ai maschi?».

LOVECRAFT 345: LO SCHELETRO CORROSO DALL'ACIDO NE "L'ABITATORE DEL BUIO".

domenica 12 febbraio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 329° pagina.


«Questo chiedilo a un sacerdote…. Magari alla sacerdotessa Thanxiel, la prossima volta che viene in visita da voi….».

Chissà che non la faccia andare in crisi, si disse Velthur. Sarebbe stato proprio contento di sapere che Loraisan tormentava la sua ex-compagna notturna subissandola di domande imbarazzanti sulle contraddizioni della sua religione. E se quella donna avesse cercato di dare la colpa a Velthur per l’intraprendenza intellettuale del bambino, lui sarebbe stato pronto a replicare che si era limitato a far leggere a Loraisan i sacri testi dell’antica tradizione, senza alcun commento.

Sarebbe stata una grande soddisfazione per lui.

Durante la lezione successiva, Loraisan lesse l’ultima parte del racconto del Diluvio.



La Madre Terra intera fu sommersa, e la sua forma e il suo aspetto cambiarono. Della stirpe degli Uomini nessuno si salvò, se non coloro che erano nell’Arca.

Aisdan, la grande isola dei Giganti fu sommersa per sempre, e mai più riapparve alla luce del sole.

Ma Tituan, l’ultimo Gran Re dei Giganti, quando la stella Bal cadde giù dal cielo, si trovava a salire la Montagna dalle Sette Balze assieme alla sua famiglia e alla sua corte, e quando raggiunsero la cima, contemplò le acque del Diluvio che sommergevano le terre sotto di loro.

Allora fu preso da una grande furia, e inveì contro il cielo, maledicendo Sin e tutti gli Dei che avevano maledetto la Madre Terra.

Così prese il suo grande arco d’argento, simile a una falce di luna, e scagliò una magica freccia d’argento verso il cielo, che con una scia di fuoco raggiunse il firmamento, come estremo atto di ostilità al Padre degli Dei e di tutte le creature.

E allora Sin punì il Gran Re dei Giganti trasformandolo in pietra, i familiari e i seguaci del Gran Re fuggirono e si nascosero nelle cavità del monte Kadatlas, e lì attesero che le acque si ritirassero, per poi scendere dai fianchi della montagna.

In questo modo la stirpe dei Giganti non si estinse del tutto.

E i discendenti di Tituan vivono ancora presso il monte Kadatlas, custondendo i segreti del mondo antico.

Dopo quaranta giorni e quaranta notti di pioggia, le nuvole si dispersero, e il sole tornò a splendere. Manowa uscì sul tetto dell’Arca, ma non vedeva terra in alcun punto. Allora liberò una delle sue colombe, nella speranza che trovasse terra. Ma la colomba tornò all’Arca, perché non aveva trovato terra dove posarsi. Per altri due giorni inviò la colomba sopra il mare, e il terzo giorno finalmente essa non tornò.

Allora Manowa discese dentro l’Arca e cominciò a risvegliare il suo popolo dal grande sonno, mentre i Figli dell’Abisso sospingevano l’Arca verso la terra vicina.

Alla fine, l’Arca approdò alle coste della terra di Edan Synair, ai piedi dei Monti di Ad.

Il fango ricopriva ogni cosa, ma col passare del tempo la vita ritornò sulla Madre Terra.

Nel luogo d’approdo, sulla costa meridionale della grande isola di Edan Synair, Manowa si stabilì con la sua famiglia e il suo popolo, che si sparpagliò in quella terra.

Quando i suoi tre figli maschi divennero adulti, egli divise la grande isola di Edan Synair in tre regni distinti. Il figlio maggiore, Shem, ebbe la costa occidentale, dove fondò la città di Midian. La regione settentrionale fu data a Khaam, il secondogenito, che vi fondò la città di Thyrnis, e la regione prese il nome del suo primo re.

Manowa tenne per sé la costa meridionale, e la lasciò in eredità all’ultimogenito Iasabat, che fondò la città di Iubar, che divenne la più grande e potente delle tre. Il regno di Iubar poi venne chiamato Sabat, dal nome del suo primo re.

Questa fu l’opera del re Manowa dopo il Diluvio, e con questi tre regni la storia degli Uomini ricominciò.

L’interno della grande isola non lo prese nessuno, perché era occupato dal Deserto Rosso, che era sede solo di lucertole, scorpioni, serpenti e infestato dai demoni. Tanto che nessuno voleva attraversarlo, né tantomeno reclamarne il possesso.

LOVECRAFT 344: LA SETTA "SAGGEZZA STELLARE" NE "L'ABITATORE DEL BUIO"

sabato 11 febbraio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 328° pagina.


«Sì, bravo! Sono proprio loro. I Sagusei, che nelle province del Sud vengono chiamati anche Sogarei, o Tritoni, o Telchini. Il loro Dio è infatti Sogar, il Serpente Antico, di cui sono fatti a immagine e somiglianza, almeno secondo le loro tradizioni….».

«Mi piacerebbe tanto saperne di più anche sui Sagusei! Di loro non ho sentito parlare spesso, le uniche cose che so, è che  sono spaventosi, bruttissimi, e che sono in parte Uomini, in parte pesci, e in parte serpenti….. è vero che voi, mio padre e il Sileno Menkhu ne avete visto uno nel fiume? Mia madre dice che non ci sono Sagusei dalle nostre parti, perché loro preferiscono stare nei fiumi vicini al mare o alle paludi, e che sono tutte fandonie nate da troppe bevute di birra e vino, ma a me piacerebbe moltissimo vederne uno! Ma davvero sono così brutti che non si riesce neanche a guardarli in faccia?».

«Sì, un paio di volte, anni fa, ne vidi uno nel fiume, una volta assieme a tuo padre, un’altra assieme a Menkhu. E sì, hanno un aspetto spaventoso, ma sono creature benevole, in genere. Basta non andare a disturbarli, solo allora possono essere pericolosi. Sono esseri molto antichi e saggi, ma anche riservati… e piuttosto misteriosi. Per caso, hai paura anche di loro?».

«No, anzi! Mi interessano molto. Mi piace l’idea di creature che siano in grado di vivere nell’acqua, ma anche di aggirarsi sulla terraferma. Piacerebbe anche a me poter vivere e respirare sott’acqua come loro. Prukhu mi ha raccontato che quando escono dall’acqua, assumono l’aspetto di Uomini, e si aggirano fra di noi senza che ce ne accorgiamo, a tal punto che arrivano a unirsi a quelli della nostra specie, maschi e femmine, e generare dei figli mezzosangue che poi, una volta adulti, possono tornare all’acqua, se lo vogliono, oppure restare in mezzo agli Uomini, senza che nessuno si accorga della loro vera natura.

Mi ha raccontato delle Acquane, le Fate dell’Acqua, che sono le donne dei Sagusei, che spesso assumono l’aspetto di donne umane e sposano Uomini ignari di chi hanno sposato… è vera questa storia?».

«Penso che sia solo una leggenda. Certo, i Sagusei possono camminare fuori dall’acqua, perché hanno gambe e piedi come noi, anche se palmati, ma non possono restare a lungo all’asciutto, altrimenti muoiono soffocati.

A quanto ne so, non possono restare più di un giorno sulla terraferma, poi devono tornare in acqua. L’unico modo per poter vivere a lungo sulla terraferma, sarebbe di tenersi una piscina in casa, o nel giardino. Ho sentito dire che alcuni athumna del Sud tengono nelle loro ville delle piscine apposta per ospitare i Sagusei, e fare colpo sulle altre famiglie patrizie….. ma forse anche quelle sono storie»

«Anche la storia della Montagna dalle Sette Balze non la conoscevo…. Cioè, mia nonna mi aveva raccontato sì del Kadatlas, dove furono creati i primi Uomini, ma non mi aveva raccontato questa faccenda che i Giganti poi l’avevano scolpita a forma di torre. Ma allora, se si andasse verso quella montagna, la si vedrebbe ancora scolpita a forma di torre con sette gradini? E dove si trova, il Kadatlas? E si può davvero salire in cima al monte, per vedere il Giardino degli Dei e poterli incontrare? ».

«Nessuno sa più dove sia quel monte. Si dice che sia nell’Estremo Meridione della Madre Terra, ai confini dei ghiacci antartici, o addirittura in mezzo ad essi. Molti esploratori, da diversi secoli fino a oggi, sono partiti per le lontane terre dell’Estremo Meridione, alla ricerca delle vestigia del mondo antidiluviano, ma finora non hanno trovato né il monte Kadatlas né alcuno dei luoghi citati dal Tinsina Entinaga».

«Allora forse il monte Kadatlas non esiste più? O forse non lo si può raggiungere? Mi piacerebbe, un giorno, andare alla ricerca di quel posto. In fin dei conti, se è vero che Sin ha imposto ai nostri antenati di andarci almeno una volta nella vita, allora avremmo il dovere anche noi di trovare quel posto, no?».

«Infatti alcuni navigatori hanno cercato il monte Kadatlas perché credevano di assolvere il volere degli Dei. Però credo che i nostri sacerdoti non incoraggino questa ricerca…..».

«E perché?».

LOVECRAFT 343: IL CRISTALLO E LO SCHELETRO NE "L'ABITATORE DEL BUIO".

venerdì 10 febbraio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 327° pagina.


«Signore e Padre dell’Universo Mondo, non farlo. Non sterminare la vita della Madre Terra, solo per distruggere la stirpe dei Giganti. Non lasciare che venga sterminata anche la stirpe degli Uomini, poiché essi sono stati trascinati al male dal potere dei Giganti, ed essendo sotto il loro dominio, non si possono ribellare ai loro errori».

Ma Sin fu irremovibile, e allora Sogar cercò di fare in modo che la stirpe degli Uomini non venisse sterminata del tutto.

Egli inviò i suoi messaggeri, i Figli di Sogar, i Figli dell’Abisso, dalle profondità delle acque per avvertire colui che era destinato a salvare la stirpe degli Uomini.

Viveva e governava nella città di Shurtenokh, sulle rive meridionali del Grande Oceano, un Re degli Uomini di nome Manowa, che era un uomo giusto.

Egli, come tutti gli Uomini, doveva ubbidire al dominio dei Giganti, ma non volle partecipare ai loro crimini e alla loro superbia.

I Figli degli Abissi gli dissero: «Il Dio dell’Abisso ti comanda di costruire una grande arca di legno e bronzo, ma non costruirla sulla rive dell’oceano, bensì in cima alla montagna, poiché la grande ondata che travolgerà la terra arriverà fino a lì.

Essa dovrà essere alta dieci stature di Gigante, larga cinquanta e lunga duecentocinquanta. Dovrai mettervi dentro tutta la tua famiglia e tutto il tuo popolo, uomini, donne e bambini, e tutto il bestiame e le sementi dei tuoi campi e dei tuoi frutteti, e dovrai farlo quando te lo diremo noi. In quel giorno, tu vedrai scendere dal cielo una stella con una grande fiammata, e precipitare nell’oceano, oltre l’orizzonte. Quello sarà il giorno della fine di tutto.

Tu e il tuo popolo e tutto il bestiame cadrete nel grande sonno di Sogar dopo essere entrati nell’Arca, e vi risveglierete solo quando sarà tempo di tornare alla vita».

Così Manowa ubbidì al volere di Sogar e costruì l’Arca del Diluvio secondo i dettami dei Figli dell’Abisso, in cima a un monte vicino alla città di Shurtenokh.

Quando Sin fu sul punto di scagliare la stella Bal su Kellur, i Figli dell’Abisso avvertirono Manowa e i suoi di recarsi dentro l’Arca, e quando tutto il popolo di Shurtenokh e tutto il suo bestiame furono entrati, e furono caduti nel grande sonno dell’Abisso, Manowa vide una stella rossa precipitare dal cielo oltre l’orizzonte sull’oceano.

Terribile fu la caduta della stella Bal. L’acqua dell’oceano evaporò, toccata dalla grande fiamma celeste, e formò fitte nuvole che coprirono l’intera Madre Terra, cosìcché la tempesta colpì ogni luogo, e una pioggia furiosa cadde ovunque per quaranta giorni e quaranta notti.

La caduta della stella Bal provocò anche una grande ondata, un’immensa marea che travolse tutto quello che trovò di fronte a sé. Dilagò per le pianure di tutta Kellur, e si fermò solo alle cime delle montagne.

Le acque dell’Abisso strapparono l’Arca dalla cima del monte, e la trascinarono con sé nell’oceano, e per quaranta giorni e quaranta notti essa galleggiò sulle acque, alla deriva…..



Velthur gli disse di smettere, anche questa volta Loraisan era molto stanco. Ma dimostrava sempre un grande impegno.

«Proprio adesso che ero quasi arrivato alla fine della storia!».

«Ma tu lo sai come è andata a finire, no? Chissà quante volte tua madre o tua nonna te l’hanno raccontata, la storia del Diluvio».

«Sì, ma leggerla è una cosa completamente diversa. Nel libro ci sono altre cose che nessuno mi aveva mai raccontato. Per esempio, il nome della città di Manowa non me l’aveva ancora detto nessuno».

«È un po’ difficile da ricordare, in effetti, dato che è un nome antico, che appartiene alla lingua antidiluviana. Comunque, come ti ho già detto, devi avere pazienza. La prossima volta finiremo il capitolo del Diluvio».

«Non sapevo neanche che fossero stati questi Figli dell’Abisso ad avvertire Manowa. Mi avevano raccontato che era stato Sogar in persona a farlo. Chi sono i Figli dell’Abisso? Sono i Sagusei, vero?».

LOVECRAFT 342: I "MOAI" COME SIMBOLI ALIENI NE "L'ABITATORE DEL BUIO".

mercoledì 8 febbraio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 326° pagina.


Quando Loraisan tornò per la lezione successiva, in una mattina piovosa, il medico gli fece leggere il capitolo successivo a quello della nascita e del dominio dei Giganti.



Il regno dei Giganti durò ottomilaquattrocento anni, dal tempo in cui le navi di Aisdan partirono dalle sue coste per raggiungere tutte le terre del mondo, fino al giorno del Grande Diluvio. In quel tempo molte grandi città furono edificate ovunque sulla Madre Terra, e molte navi gigantesche solcavano gli oceani, portando mercanzie di ogni tipo nell’immenso porto della grande capitale Thyuram.

La potenza dei Giganti cresceva di secolo in secolo, e così la loro superbia. I loro eserciti erano immensi, le legioni di Uomini loro schiavi erano innumerevoli. Le loro città erano piene di opere magnificenti e gloriose, così che cominciarono a creare templi sempre più grandi in onore a Sin, fino a toccare il cielo.

In quel tempo furono edificate le Grandi Piramidi e le Grandi Torri a Gradini, a forma di piramide tronca, e sul finire dell’Era dei Giganti, uno dei loro Grandi Re, chiamato Norbred, decise di compiere la più grande impresa di tutti i tempi, per mostrare all’universo intero che i Giganti erano simili agli Dei, poiché erano del loro stesso sangue.

Egli comandò di foggiare il monte Kadatlas a forma di torre a gradini, affinché venisse chiamato la Montagna dalle Sette Balze. Norbred voleva infatti che ogni gradino rappresentasse uno dei sette pianeti del firmamento. Ogni gradino avrebbe rappresentato una fase di ascesa al regno celeste, fino al settimo gradino, che avrebbe rappresentato il cielo di Satras, l’ultimo dei pianeti, prima del Cielo delle Stelle Fisse, l’ultimo cielo, che è il luogo del Regno degli Dei. Infatti era là che il Grande Re sognava di arrivare un giorno.

Norbred fondò una città ai piedi del Monte Kadatlas, che ospitava le legioni di operai necessari per compiere l’impresa, e le dette il proprio nome.

Ma non poté vedere la fine della sua impresa, perché durò troppo tempo.

La grande opera impegnò ben trecento anni , prima che si riuscisse a scolpire l’intera montagna, sotto il regno del Grande Re Tituan, che proclamò a tutti gli Uomini suoi sudditi che i Giganti erano simili agli Dei, poiché avevano foggiato a proprio piacimento la montagna dove Sin aveva creato i primi Padri e le prime Madri dell’umanità intera, e dove tutti i loro discendenti dovevano andare in pellegrinaggio almeno una volta nella loro vita.

E gli Uomini volsero il loro sguardo e le loro preghiere dagli Dei ai Giganti, e proclamarono che era meglio adorare degli Dei che si vedevano, piuttosto che quelli che non si vedevano.

E gli Uomini dimenticarono Sin, il loro Creatore.

E Sin guardò dall’alto dei cieli le moltitudini della Madre Terra e parlò al consesso degli Dei.

«Mi pento di aver creato gli Uomini e mi pento di aver lasciato che i Giganti venissero generati da quelli del mio sangue e dai grembi delle figlie degli Uomini.

Ecco, i Giganti e gli Uomini si sono moltiplicati a dismisura su Kellur, e i propositi che si sono posti essi li realizzeranno, se noi non vi porremo alcun ostacolo. I Giganti raggiungeranno il più alto dei cieli e ci smuoveranno dai nostri troni.

Così io smuoverò il cielo sopra di loro e smuoverò le acque dell’Abisso sotto di loro, e li sterminerò, affinché di loro non resti nessuno, a meno che qualcuno di loro riesca a salvarsi in cima alle montagne, così che Kellur conosca un nuovo inizio».

Allora Sin disse che avrebbe fatto cadere una delle stelle del cielo, la stella Bal, che sarebbe sprofondata nelle acque dell’oceano e avrebbe creato una marea che avrebbe devastato e sommerso tutta la Madre Terra, fino alla cima delle montagne. Avrebbe fatto evaporare l’acqua del mare con la sua fiamma e avrebbe così creato una coltre di nubi che avrebbe avvolto tutta Kellur e rovesciato piogge ovunque.

E Sin, Signore dell’Universo, disse a Sogar, che in Edan Synair è chiamato Enkean, il Dio dell’Abisso, il Serpente Antico, di non trattenere le acque dell’oceano, poiché questa era la sua volontà.

Ma Sogar allora supplicò Sin di non lanciare la stella Bal nell’oceano.

LOVECRAFT 341: E ADESSO I BIGLINISTI SE LA PRENDONO ANCHE CON LOVECRAFT!

domenica 5 febbraio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 325° pagina.


Il medico sentì un tuffo al cuore. Si sentì impotente di fronte alla verità smascherata.

«Non parlare mai di quella storia! Aralar è stato ucciso e non si sa da chi, ma non è stato ucciso da alcuna forza misteriosa! Pare che avesse delle amicizie losche, e una di loro l’ha ucciso, forse. Dì a Eukeni che non ti racconti mai più di queste storie, altrimenti dovrò dire io ai tuoi di tapparle la bocca! Cosa c’entra poi quella storia con quello che devi imparare tu? Vuoi conoscere tutte le cattiverie che succedono a questo mondo? Non è per quello che sei qui!».

Loraisan soffocò le lacrime. Era un bambino che piangeva troppo facilmente.

«No, è che…. A me sembra che nascondano troppe cose. Quando faccio delle domande, capita troppe volte che mi dicono che certe cose non le devo sapere, o che non le posso capire…. ».

«Loraisan, ti sei mai chiesto se per caso sei tu che fai troppe domande? Voler conoscere le cose è un bene, ma tu esageri! Ogni cosa ha il suo tempo, e tu vuoi bruciare le tappe. Per imparare tante cose, ci vogliono anni, e per imparare tutto non ti basterebbero cento vite! Hai tutta la vita davanti, hai tutto il tempo per imparare. Tu devi pensare solo ad apprendere ciò che ti insegno, poi un giorno sarai capace di studiare per conto tuo, senza dover fare domande a tutti quanti. Allora nessuno ti potrà nascondere niente, perlomeno di ciò che è importante sapere…».

«Non mi potranno nascondere neanche il perché in questo libro ci sono delle cose che non capisco?».

«Neanche quello. Le uniche cose che non capirai, saranno quelle che nessuno capisce».

«Ci sono delle cose in questo libro che nessuno capisce?».

«Oh, ci sono tanti libri a questo mondo che dicono cose che nessuno capisce. Non è che perché impari a leggere, poi impari a comprendere tutto».

«Ma se ci sono libri che dicono cose che nessuno capisce, a cosa servono?».

«Chi li ha scritti, credeva di scrivere cose che sarebbero state capìte. Ma si sbagliava…. capita».

«Capita spesso?».

«Direi di no. Ma quando comincerai a leggere un libro, dovrai sempre tenere conto che forse ci saranno delle cose che non capirai, o che capirai con molta difficoltà, e che magari potrai capire solo dopo molto tempo. Io certi libri ho dovuto rileggermeli parecchie volte, prima di capirli veramente. E alcuni all’inizio mi sembrava che dicessero delle cose molto interessanti, quando ero giovane, ma quando li ho riletti anni dopo, divenuto ormai un uomo maturo, mi sono reso conto che dicevano parecchie sciocchezze, o cose inesatte. Così capiterà anche a te. Quindi non ti devi preoccupare del fatto che ci sono cose che non capisci, al momento. Devi avere pazienza, tutto qua».

La discussione terminò là. Apparentemente, Loraisan si era rassegnato a non investigare più la questione. Ma a Velthur la lezione di quel giorno rimase particolarmente impressa. Sentiva una profonda soddisfazione, perché aveva intuito che un giorno Loraisan avrebbe dato del bel filo da torcere a sua madre e ai suoi amici sacerdoti, con le sue domande e le sue perplessità.

Lui, il medico apostata, non aveva potuto spiegargli che le contraddizioni che aveva letto nel Tinsina Entinaga erano dovute al fatto che in tutti quei millenni la religione e le sue credenze erano cambiate. Erano cambiati gli Dei e il loro culto, e le dottrine che insegnava il Nunarsha Silal, il culto nazionale di Sil, erano assai diverse dall’antica religione di Sin, ancora seguita dagli sconosciuti autori del Tinsina Entinaga, nei primi secoli dopo il Diluvio.

Non aveva potuto spiegargli che il Tinsina Entinaga nonostante parlasse di credenze e culti ormai abbandonati veniva considerato un libro sacro, solo perché la tradizione voleva così, e i sacerdoti non potevano ammettere che gli Dei cambiavano con il tempo, così come il modo di pregarli e di concepirli, e del pari anche le norme di vita ad essi legate.

Non aveva potuto spiegarglielo, a causa della promessa che aveva fatto a Syndrieli, ma a lungo andare Loraisan l’avrebbe capito da solo, se avesse continuato a studiare assieme a lui.

Forse un giorno anche lui avrebbe chiesto di diventare un Avennar, un seguace della dottrina della Legge Universale che regge tutte le cose.

Sarebbe stata la sua rivalsa contro quella comunità bigotta e arretrata, nella quale bene o male non aveva mai potuto uscire del tutto dal suo isolamento.

LOVECRAFT 340: TENEBROSI INDIZI NELLA CHIESA DE "L'ABITATORE DEL BUIO".

sabato 4 febbraio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 324° pagina.


relegati negli Inferi, nell’Orkhun, dove sorvegliano le anime dei malvagi, per impedire che sfuggano al loro castigo. Non ha parlato della costellazione del Vegliante.

Insomma, mi ha raccontato una storia tutta diversa! Forse non si ricordava bene, o gliel’hanno raccontata sbagliata anche a lei!».

«Ti ripeto: tua nonna non si è sbagliata. Ti ha raccontato la storia come l’hanno raccontata a lei, come l’hanno raccontata anche a me quando ero bambino. Come la raccontano tutti i sacerdoti del Veltyan alla gente che non sa leggere. Non devi dire assolutamente a tua nonna che si sbaglia, perché non è vero!».

«Ma qui è scritto così!!! E questo libro è il Tinsina Entinaga! Voi mi avete detto, e me l’hanno detto anche mio padre e mia madre, che è il libro più antico dei nostri antenati. Mia madre mi ha detto che è il libro che custodisce la verità delle origini del mondo e del nostro popolo! La verità degli Dei! Io non capisco! O è vero quello che ho letto, o è vero quello che mi ha raccontato la nonna! Le storie non possono essere vere tutte e due!».

«Non alzare la voce con me, Loraisan! Io devo insegnarti ciò che la tua famiglia mi ha chiesto di insegnarti. E perciò non devo permetterti di considerare bugiardi i tuoi parenti! A tua nonna devi solo rispetto, come a tutti gli anziani, e non hai nessun diritto di dirle che si sbaglia! Tu devi leggere e imparare, e io devo decidere a quali delle tue domande devo rispondere e come, devo rispondere! Se certe cose non le capisci, non importa! Le capirai quando sarai più grande!».

I grandi occhi neri di Loraisan brillarono. Le lacrime stavano per traboccare.

«Quando sarò più grande! Quando sarò più grande! Bisogna sempre aspettare per sapere! Ma aspettare cosa? Devo aspettare di diventare grande per riuscire a capirci qualcosa? Sono troppe le cose che non capisco!».

Velthur si sentì in conflitto. La reazione di Loraisan non se la aspettava. Non aveva mai trovato in nessuno, neanche in un adulto, una tale volontà di sapere. Come se dalla conoscenza dipendesse la sua stessa vita, come se fosse una necessità vitale, come il respirare, o il bere. Una necessità inderogabile, imperativa. Capiva che doveva calmare il bambino, se non voleva perderlo, scoraggiandolo.

«Ascolta, Loraisan. Imparare non è una cosa semplice, te ne sei accorto anche tu. Ma tu stai imparando a una velocità notevole, almeno secondo me. È stato difficile anche per me imparare, andare a scuola, e ho avuto anche degli insegnanti che non erano per niente pazienti con me. E ho dovuto imparare subito che un albero non cresce in un giorno. È naturale che tu adesso non capisca molte cose, perché sono troppo complicate per essere imparate in una volta sola.

Se dico che non posso spiegarti tutto subito, non è perché ti considero stupido, è perché ho paura che insegnandoti troppe cose alla volta finirei per confonderti le idee, capisci?».

«Ho già le idee confuse! Se due persone mi raccontano una stessa cosa in due modi diversi, io mi confondo! Chi dei due ha ragione? Proprio non me lo potete dire?».

«No, non te lo posso dire! È troppo complicato da spiegarti….».

«Voi mi state nascondendo qualcosa, ecco la verità!».

A quel punto Velthur perse la calma. Sentiva che il bambino stava sfuggendo al suo controllo.

«E che cosa dovrei nasconderti? Sono qui per insegnarti, non per nasconderti le cose! Io voglio che tu impari, ma che lo fai seguendo le mie regole, non seguendo quelle che t’inventi tu!».

«La verità è che voi grandi nascondete un sacco di cose a noi bambini perché avete paura! Per tutte le cose che succedono di notte!».

«Cosa….. cosa c’entra questo?».

«Per quello che è successo nel nostro paese sette anni fa, quando sono nato io, e che sta succedendo di nuovo adesso! Mia sorella Eukeni mi ha raccontato molte cose, oltre alla storia del Giorno del Sole Scarlatto, che tutti conoscono…. mi ha detto che c’ero anche io quel giorno, in braccio alla mamma…. mi ha raccontato di come è stato scoperto il Santuario d’Ambra, e poi anche di quell’eremita….. quello che voi avete trovato nel bosco d’inverno fatto a pezzi da una forza misteriosa! Mi ha detto che l’eremita era uno stregone ed era colpa sua se qui succedevano cose strane… che sono stati gli spiriti a ucciderlo!».

LOVECRAFT 339: ALL'INTERNO DELLA CHIESA DE "L'ABITATORE DEL BUIO"

giovedì 2 febbraio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 323° pagina.


piccoli Uomini le arti del vivere civile, sottraendoli alla vita dei boschi, portandoli a vivere nelle città e nei villaggi, sotto il loro governo.

Da loro vennero l’arte dell’agricoltura, della pastorizia, dell’architettura, della medicina e della scrittura. Essi diffusero la loro lingua e i loro costumi su tutta la Madre Terra, e tutti gli Uomini sotto il loro dominio parlavano una sola lingua in tutto il mondo.

Non c’era differenza fra i popoli, né esistevano nazioni diverse, perché esisteva solo l’impero dei Giganti, che anche se erano molto meno numerosi degli Uomini, dominavano con scettro di ferro e man mano che il loro potere cresceva, guardavano con sempre maggior disprezzo alla stirpe delle loro antiche madri.

Ottomila anni durò il loro immenso impero, prima che arrivassero le acque del Diluvio. Quella fu la lunga epoca in cui vissero i grandi eroi e i re condottieri dell’antichità, famosi per la loro potenza e la loro sapienza.

All’inizio essi vissero sotto la guida dei loro padri divini, che li trattenevano dal diventare troppo orgogliosi, e a non voler scalare il cielo verso la sede di Sin e degli altri Dei.

Ma un giorno il Grande Toro dei Cieli si accorse di ciò che avevano fatto i Veglianti, gli splendenti Querna Aisan avvolti di luce come le stelle, e li convocò nell’alto dei cieli, oltre il firmamento.

«Perché avete voluto discendere su Kellur e prendere come mogli le figlie degli Uomini? Perché avete voluto generare dei figli da esse? Ecco, essi sono per metà divini e per metà mortali, hanno in essi il sangue di entrrambi, e partecipano di entrambe le nature, che sono diverse, perché le cose del cielo non sono come le cose della terra.

Io non vi avevo concesso di mescolare il vostro sangue con quello degli Uomini, e non vi avevo concesso di cambiare la mia creazione a vostro piacimento. Andate dunque via da Kellur, nella prigione celeste in cui rimarrete fino a quando non avrete estinto il vostro debito alla giustizia! Là rimarrete soli a compiere grandi fatiche, fino a quando la colpa del vostro orgoglio non sarà stata estinta!».

E i Veglianti, i Querna Aisan splendenti di luce, dovettero andarsene dalla Madre Terra e dimorare in una regione del cielo che porta il loro nome: la costellazione del Vegliante.



A quel punto, Velthur disse a Loraisan che poteva smettere. Si vedeva che era stanchissimo. Era un brano parecchio lungo da leggere per un bambino che aveva appena imparato a farlo.

«Ti è piaciuta la storia?».

«Sì, molto. La storia che mi aveva raccontato  la nonna Aranthi era molto più breve. E poi era anche diversa. Diceva che era Sil ad aver creato gli Uomini, e non Sin. Ma scusate, dottor Laran. Sin sarebbe Silen, il Dio del Santuario d’Ambra? O non potete dirmi neanche questo?».

«No, no. Queste cose te le posso dire. Non ti posso parlare di dottrine religiose, ma di storia della religione sì. E la risposta è: sì. Silen è Sin. Il nome antico del Dio della Luna è Sin, quello che si usava secoli e secoli fa, poi il nome è diventato Silen, a volte anche Selen, o Selun, nelle regioni del sud. I Sileni prendono il nome da lui, perché essi adorano la luna».

«I Sileni adorano Silen? Non lo sapevo….».

«No, a dire il vero non lo adorano affatto. Loro adorano la luna, ma per loro è una Dea, non un Dio. Però i Thyrsenna, vedendo appunto che pregavano la luna, gli hanno dato il nome del Dio della Luna».

«Ah, adesso capisco. E ora potrò andare a casa a dire alla nonna che si è sbagliata a raccontarmi la storia della creazione degli Uomini….».

«No, Loraisan. Ti prego di non farlo. Tua nonna non si è sbagliata».

«Come sarebbe a dire, dottore? C’è scritto qui che è stato Sin a creare gli Uomini. E tra l’altro è stato lui a mettere la guarnigione dei Veglianti a sorvegliare Kellur. Ed è stato anche lui ad arrabbiarsi perché i Veglianti avevano fatto l’amore con le figlie degli Uomini…. Anche quella parte della storia la nonna me l’ha raccontata diversa. Ma tanto diversa, anche.
Mi ha detto che i Querna Aisan si erano ribellati a Sil, e tra l’altro lei li ha chiamati con un altro nome, li ha chiamati Demoni Splendenti, e mi ha anche detto che Sil per questo motivo li aveva

LOVECRAFT 338: ROBERT BLAKE ENTRA NELLA CHIESA DE "L'ABITATORE DEL BUIO"

mercoledì 1 febbraio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 322° pagina.


narrava, oltre a quella degli Uomini, era quella dei Giganti, perché erano nati dopo gli Uomini, e non prima, come per le altre cinque stirpi.

La storia dei Giganti antidiluviani Loraisan la conosceva già, perché gliel’aveva narrata una volta la nonna Aranthi; era una delle leggende che per prime venivano raccontate ai bambini del Veltyan.

Ma la vicenda scritta era diversa da quella narrata, perché più ricca di particolari. E quindi, a Loraisan non apparve meno interessante di altre storie ancora da conoscere.

Quando il Grande Padre Celeste, il Toro dei Cieli, Sin l’Originario, ebbe finito di organizzare il mondo assegnando ad ognuno degli Dei suoi figli il rispettivo dominio, desiderò che Kellur, la Madre Terra, venisse popolata da creature in grado di pensare, parlare e agire in modo simile agli Dei. Egli dunque scese sul monte Kadatlas, ai confini meridionali di Kellur, e dai piedi del monte

prese dell’argilla, del fieno e delle foglie secche, e vi gettò sopra il proprio seme, che era come acqua piovana, mescolò il tutto e da ciò che ottenne, in cima al Kadatlas creò sette coppie di Uomini, maschi e femmine, che sarebbero divenuti i progenitori dell’intera umanità. Li formò nel giardino che aveva creato in cima al monte Kadatlas, e disse loro di andare ovunque sulla Madre Terra e moltiplicarsi.

E disse loro che tutti i discendenti della stirpe umana, dovunque avessero vissuto, avrebbero dovuto recarsi almeno una volta nella loro vita in pellegrinaggio al monte Kadatlas e salirne la cima, per onorare i loro antenati e il loro Creatore.

E le sette coppie di Uomini scesero dal monte e andarono a vivere nell’altipiano ai piedi del monte, e lì si moltiplicarono, e da lì si diffusero su Kellur, e da loro discesero molte tribù.

I primi Uomini però non conoscevano l’agricoltura né l’allevamento del bestiame, né le arti, e non costruivano case e città, non conoscevano la scrittura e non avevano re né capi di alcun tipo. Vivevano nei boschi cacciando e pescando, e vagavano nudi sulla Madre Terra.

In quel tempo lontano Sin aveva posto una guarnigione di Veglianti a guardia di Kellur, affinché nessuna potenza oscura ne turbasse la vita, poiché gli Uomini erano fragili ed indifesi.

Potenti erano i Veglianti. Essi erano gli splendenti Figli degli Dei, i Santi Divini, i Querna Aisan che dimoravano in cielo, giovani e ardimentosi, ed erano pieni di sé e arroganti, poiché sapevano di essere di sangue divino, superiori a tutte le creature di Kellur. Avvolti di luce e potenza come stelle risplendenti, osservavano dall’alto la vita di Kellur, e si interrogavano sul suo destino.

I Querna Aisan videro gli Uomini su Kellur che si erano moltiplicati in gran numero, e vedevano la loro vita miserabile e selvaggia, non molto diversa da quella degli animali che cacciavano.

Così, vedendo che dopo tante generazioni la vita degli Uomini non era cambiata, in loro nacque brama e desiderio di compiere una grande opera.

Essi videro che le figlie degli Uomini erano belle e feconde, e le desiderarono, e del pari desiderarono avere figli da esse, e con esse costituire un nuovo regno sulla Madre Terra, che fosse bello e glorioso e desse pace e grandezza agli Uomini mortali.

Così i trecento Querna Aisan discesero su Kellur, su Aisdan, l’Isola Bianca nel Grande Mare Australe, discesero con il loro carro celeste avvolto di fiamme, e lì posero la loro sede, poi presero in moglie le figlie degli Uomini, tutte quelle che volevano, in gran numero, per generare molti figli da ognuna di loro.

E dai Figli degli Dei e dalle figlie degli Uomini nacquero in gran numero i Giganti, a centinaia, il cui aspetto era simile agli Uomini, ma portavano il segno della grandezza dei loro padri celesti.

Alti essi erano, quasi il doppio degli Uomini, e sei dita avevano nelle mani e nei piedi, come i loro padri. Bianca era la loro pelle, e candidi come la neve i loro capelli. Brillanti come stelle d’oro erano i loro occhi, e la loro forza era smisurata, così come la loro sapienza.

E quando essi crebbero e diventarono adulti, si resero conto di essere senza pari nel mondo dei mortali, e sentendosi superiori a tutti, ambirono di conquistare il mondo e soggiogarlo sotto il loro dominio.
I  primi Giganti fondarono la grande città di Thyuram in riva al mare, e dal suo grande porto partirono le loro immense navi per raggiungere tutte le terre abitate e anche quelle deserte, per porvi il loro dominio. Ovunque giungessero, essi fondavano i loro avamposti, e insegnavano ai