martedì 28 febbraio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 340° pagina.


E poi qua non ho mai visto nessun Nano, a parte uno per il quale ho firmato il permesso l’anno scorso…. A cosa serve proibire qualcosa a qualcuno che non sembra neanche avere l’intenzione di farlo?

E i Sileni? Qua chi non ama i Sileni? Sono considerati dei portafortuna, tutti i contadini sono amici loro, e guai a toccarli! Sarebbe stato un altro sistema per rendersi odiosi alla gente del posto, dalla quale invece voglio avere il massimo di collaborazione nel mantenere l’ordine.

L’unico divieto che abbia un qualche senso è nei confronti degli Avennarna. Non stanno particolarmente simpatici a nessuno…. Ma guarda caso l’unico Avennar qui è anche l’unico medico del paese, ed è anche un ottimo professionista. Quando ho saputo chi era, ho deciso di concedergli un permesso illimitato perché so che è benvoluto, e anche lui può aiutarmi a mantenere l’ordine in questa bolgia che si infittisce ogni anno di più.

Vedete, Reverendo Padre Maxtran, Veyan e Anxur sono grandi città piene di cultura e di una grande varietà di gente, ma là non sanno niente di come funzionano le cose qui, e soprattutto non sanno niente delle altre stirpi, perché là non ce ne sono, almeno ufficialmente. Niente Fate, né Nani, né Sileni, né Tritoni. Io sapevo che il decreto di mia sorella era un errore. Anche le Regine sbagliano, anche se sono le intermediarie di Sil sulla Madre Terra. Per questo le avevo chiesto di lasciare il Santuario sotto la mia diretta giurisdizione. Io conosco queste regioni molto meglio di lei. Qua ci voleva una persona che fosse vicina alla Regina, ma nello stesso tempo vicina a questa terra».

Maxtran non aveva potuto fare altro che dargli ragione. Mezenthis aveva una particolare capacità di convincere chiunque.  Era un uomo strano, stravagante, ma indubbiamente intelligente e capace. Dalla logica ineccepibile, sottile e pragmatica, che quasi cozzava aspramente con la sua stravaganza e i suoi modi un po’ misteriosi.

All’inizio Maxtran aveva provato una profonda diffidenza per lui. C’erano molte cose che non capiva di quel personaggio così aristocratico che di fronte a lui anche tutti i più importanti athumna della provincia parevano dei bifolchi. E difatti,  rispetto a lui lo erano. Non semplicemente per il suo grado nella gerarchia del Veltyan, ma perché tutto in lui trasudava ricercatezza, ricerca della bellezza e dello stile, stravagante passione del bello.

Era un uomo senz’altro amante dei piaceri, delle cose belle e raffinate, e sembrava che gli piacesse impressionare la gente del posto con gli straordinari oggetti con cui aveva riempito la sua villa, portati dalla lontana Anxur o comprati in altre grandi città del regno. Cose che in quella regione neanche i più ricchi e colti conoscevano.

Collezionava oggetti preziosi, ottenuti da sostanze pregiate provenienti da terre lontane, come il lapislazzuli delle lontane montagne perse nelle barbare terre d’oriente, o la giada di terre ancora più lontane, sempre ad oriente. Sostanze foggiate in statue, mosaici, recipienti e monili.

Le pareti delle sale e dei corridoi della villa erano interamente rivestite di specchi, specchi alchemici che riflettevano le immagini alterate, circonfuse di sfumature iridate. Quanto potessero costare quegli specchi, non se ne aveva la più pallida idea. Alcuni dicevano che li avesse prodotti lui, nel suo palazzo di Anxur.

Infatti, Mezenthis aveva una particolare passione per l’alchimia. Sembrava che fosse quello, il motivo per cui aveva chiesto alla sorella di potersi occupare direttamente del Santuario d’Ambra.

Nella sua villa, aveva dato già un ricevimento per inaugurarla, invitando tutti i nobili della zona e le autorità dei villaggi circostanti. Tutti ne erano rimasti enormemente impressionati, aldilà del fatto che si trattasse del fratello della Regina.

Alla sua tavola c’erano sempre cibi esotici, provenienti da paesi lontani. Tramite lui, la gente del posto aveva imparato che esistevano degli strani frutti provenienti dalle lontane isole d’Occidente, che avevano la forma di grosse pigne, ma che dentro avevano una polpa gialla, succosa e dolce che nell’aspetto ricordava gli agrumi. Li chiamavano ananassi. E con essi c’erano anche i datteri e il caffè di Edan Synair, i manghi di Lankar ancora più a oriente, le banane dei Mari del Sud e persino il cacao del lontano continente di Anthyli, oltre il grande mare d’occidente.

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