«Ma…. non molto. Però la montagna non appariva come
nell’illustrazione del suo libro. Aveva una forma diversa. Era come una delle
piramidi a gradini che ci sono in quell’altra illustrazione che mi avete fatto
vedere tempo fa…. quella con le rovine di Iubar. Aveva i fianchi obliqui, e la
cima piatta. Era immensa, sembrava
proprio toccare il cielo, ed era di un colore verde scuro. Credo che fosse
tutta coperta di muschio. Infatti attorno c’era come una pianura di muschio ed
erba, e all’orizzonte c’era una catena di montagne che la circondavano,
montagne di ghiaccio. E in distanza mi sembrava di vedere una città, oltre il
Kadatlas. Una città dal colore strano… sembrava di un blu chiaro. Appena l’ho
vista, mi sono detto: “quella è la città di Norbred”.
Ma non sembrava in rovina. Mi sembrava di vedere dei grandi
palazzi, e mi parevano interi, non spezzati o crollati».
«E tu cosa facevi, in quella pianura? Non c’era nessuno
accanto a te?».
«Oh sì, c’era qualcuno. Un Sileno, ma non somigliava per
niente a Menkhu o Prukhu. Era tutto coperto di pelo bianco, bianchissimo, con
una barba molto più lunga della loro, anch’essa bianchissima. E i suoi occhi
erano azzurrissimi, di un azzurro chiarissimo, che non ho mai visto. Quasi
bianchi. Facevano impressione, da tanto erano chiari. Portava una pelliccia
scura sulle spalle, e in mano aveva un bastone stranissimo…. era d’argento, e
la punta sembrava di un vetro che splendeva di luce blu…. Mi stava di fronte e
mi parlava. Mi ha raccontato una storia strana.
Ha impugnato il bastone e mi ha detto: “vedi questo bastone?
È con questo che gli operai dei Giganti hanno scolpito la montagna. Guarda cosa
faccio a questo sasso!” Allora il Sileno bianco ha toccato un sasso per terra
con la punta luminosa del bastone e questo è diventato polvere! Polvere che è
stata dispersa dal vento! Infatti, mi ero chiesto come avessero fatto, a
scolpire la montagna. Trecento anni mi sembravano troppo pochi, per riuscirci.
Poi il Sileno mi ha detto che quei bastoni si chiamavano Scalpelli di Luce Divina. Ha detto proprio così. Sono
rimasto stupito, perché non ho mai sentito parlare di quei cosi. Io non credo
di essermelo inventato da solo».
Velthur rimase impietrito dallo stupore. Temeva, a quel
punto, di fare un passo falso con Loraisan. Quel bambino era un terreno minato.
Avrebbe voluto chiedergli maggiori particolari sul suo sogno, ma sicuramente
avrebbe mangiato la foglia. Avrebbe intuito che nel suo sogno c’era qualcosa
che interessava troppo il medico, e avrebbe ricominciato a fare domande che non
doveva fare, a porre sospetti che sarebbe stato meglio non avesse.
Il bambino non doveva sapere che anni prima lui aveva avuto
una visione simile, o meglio un’allucinazione dovuta ad un vino drogato dalle
Fate. Ma era sconcertante il fatto che avessero visto la stessa cosa: la
tradizione rappresentava la Montagna dalle Sette Balze con la forma di una
torre a cono tronco, con sette gradini a strapiombo. La si era immaginata così
perché il Tinsina Entinaga non descriveva l’esatta forma che aveva. Invece, sia lui che
Loraisan l’avevano vista a forma di piramide tronca, con gradini obliqui. E
così dicevano di vederla anche le Tre Madri del Fato.
Prima di quel giorno, Velthur aveva sempre pensato che il
Kadatlas fosse una leggenda, che magari esisteva, però senza essere affatto una
montagna scolpita, ma semplicemente un rilievo naturale che aveva assunto una
forma bizzarra e che perciò era passata alla leggenda come luogo sacro.
Dopo quella visione di sette anni fa, aveva cominciato ad
insinuarsi in lui il sospetto che ci fosse qualcosa di vero, e adesso quel sospetto
rischiava di divenire un’ossessione. E poi c’era un’altra cosa, che Loraisan
non poteva sapere, a meno che non l’avesse sentita da qualcuno che la sapesse
molto lunga…. Prukhu? Avrebbe dovuto indagare.
Si ripromise di fare la solita ricerca nei suoi libri.
Intanto, era meglio pensare solo alla lezione, se ci riusciva.
La lettura di quella mattina riguardava la nascita del
popolo dei Thyrsenna.
Avvenne che il re
Khaam-Azar, figlio del re Khaam, figlio
secondogenito del re Manowa, avesse tredici figli maschi, e che volesse dare a
ciascuno di essi un dominio nel suo regno di Ael Khaam, affinché vi fondassero
una città e contribuissero a popolare la Madre Terra rimasta deserta dopo il
Diluvio.
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