martedì 21 febbraio 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 334° pagina.


Ankhaymon era l’ultimogenito, e quando fu il momento di trovargli un dominio che fosse suo, il padre vide che non era rimasto niente nel suo vasto regno da potergli affidare.

Ankhaymon allora disse al padre: «Non voglio valere meno dei miei fratelli, non è giusto che solo io resti senza alcun dominio, senza una città da fondare. Ti prego quindi di darmi tre navi, con dei marinai, e lascia che io riunisca quelli del nostro popolo che vogliano venire con me. Andremo all’ovest, oltre il mare, alla ricerca di una terra dove fondare una nuova città, perché io spero che anche là ci siano vaste terre dove la stirpe degli Uomini si può stabilire e ripopolare la Madre Terra».

Allora il padre lo scongiurò di non tentare l’impresa, perché a quel tempo non si sapeva cosa ci fosse ad occidente oltre il mare, e il Diluvio aveva devastato la Madre Terra intera, non si sapeva se le antiche mappe che mostravano grandi terre ad occidente della grande isola di Edan Synair potessero ancora dire la verità, o se invece le acque dell’oceano le avessero sommerse.

Ma il figlio insistette, dicendo così: «Un giorno qualcuno dovrà scoprire cosa è rimasto di questo nostro mondo devastato, e se ci sono delle terre ad ovest da ripopolare, lascia che sia io il primo a farlo».

E il figlio continuò a insistere così tanto, che alla fine il padre Khaam-Azar gli dette tre navi e marinai sufficienti a fare la traversata, e lasciò che quelli del suo popolo seguissero il figlio alla ricerca di una nuova terra da abitare.

Trecento furono i seguaci di Ankhaymon, uomini, donne e bambini, con i quali avrebbe varcato il mare che divide l’isola di Edan Synair dalla vasta terra del Veltyan.

Le navi di Ankhaymon andarono verso occidente, fino a quando videro un grande uccello bianco, dal becco e dagli artigli d’oro, e dalla lunghissima coda che sembrava una scia di fiamme rosse e dorate, dai molti occhi neri, simili a quelli nelle code dei pavoni, discendere dal cielo e volare sulle navi come a guidarle. L’uccello cantava con una voce che ricordava un coro, e sembrava chiamare i naviganti.

Ankhaymon, avendo intuito di trovarsi di fronte ad un segno divino, seguì l’uccello, che aveva capito essere la Fenice, l’Uccello di Fuoco che visita da tempo immemorabile l’isola di Edan Synair, provenendo dal Regno degli Dei.

Dove la Fenice si fosse fermata, là sarebbe stata la sede del suo nuovo dominio.

Finché alla fine videro una terra comparire all’orizzonte, dove incontrarono le foci del grande fiume Podu, e lì si fermarono.

Trovarono una terra fertile nel delta del grande fiume, e il principe di Khaam si stabilì con la sua gente sull’isola di una laguna. Attorno gli alberi stavano ricrescendo dopo la devastazione del Diluvio, avvenuta ottanta anni prima.

Sull’isola del delta fondarono la città di Phenexi, la prima città del Veltyan, così chiamata in onore della Fenice, l’Uccello della Rinascita.

E quando il principe Ankhaymon e la sua gente ebbero costruito le case di legno della loro città, le tre navi tornarono indietro, per raccontare che ora esisteva il regno di Phenexi aldilà del mare, nella terra del Veltyan.

E nel centro della città Ankhaymon fece costruire un santuario a Sin, con una statua in forma di vitello d’argento, e per questo la terra che aveva scoperto e conquistato fu chiamata Veltyan, la Terra del Vitello.

Lunghi anni regnò Ankhaymon, prima di lasciare il trono di Phenexi a suo figlio Anthaymon, il quale non ebbe eredi maschi, ma solo sette figlie, a cui pensò di dare a ciascuna un dominio diverso, poiché il popolo continuava ad aumentare, e la città si era ingrandita, e le terre del Veltyan erano vaste e deserte.

Allora Anthaymon fondò altre sei città nella grande valle del Podu, in modo che ognuna delle figlie potesse avere un proprio dominio, proprio come aveva fatto suo nonno Khaam-Azar con i suoi figli maschi.

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