Ankhaymon era
l’ultimogenito, e quando fu il momento di trovargli un dominio che fosse suo,
il padre vide che non era rimasto niente nel suo vasto regno da potergli
affidare.
Ankhaymon allora disse
al padre: «Non voglio valere meno dei miei fratelli, non è giusto che solo io
resti senza alcun dominio, senza una città da fondare. Ti prego quindi di darmi
tre navi, con dei marinai, e lascia che io riunisca quelli del nostro popolo
che vogliano venire con me. Andremo all’ovest, oltre il mare, alla ricerca di
una terra dove fondare una nuova città, perché io spero che anche là ci siano
vaste terre dove la stirpe degli Uomini si può stabilire e ripopolare la Madre
Terra».
Allora il padre lo
scongiurò di non tentare l’impresa, perché a quel tempo non si sapeva cosa ci
fosse ad occidente oltre il mare, e il Diluvio aveva devastato la Madre Terra
intera, non si sapeva se le antiche mappe che mostravano grandi terre ad occidente
della grande isola di Edan Synair potessero ancora dire la verità, o se invece
le acque dell’oceano le avessero sommerse.
Ma il figlio
insistette, dicendo così: «Un giorno qualcuno dovrà scoprire cosa è rimasto di
questo nostro mondo devastato, e se ci sono delle terre ad ovest da ripopolare,
lascia che sia io il primo a farlo».
E il figlio continuò a
insistere così tanto, che alla fine il padre Khaam-Azar gli dette tre navi e
marinai sufficienti a fare la traversata, e lasciò che quelli del suo popolo
seguissero il figlio alla ricerca di una nuova terra da abitare.
Trecento furono i
seguaci di Ankhaymon, uomini, donne e bambini, con i quali avrebbe varcato il
mare che divide l’isola di Edan Synair dalla vasta terra del Veltyan.
Le navi di Ankhaymon andarono
verso occidente, fino a quando videro un grande uccello bianco, dal becco e
dagli artigli d’oro, e dalla lunghissima coda che sembrava una scia di fiamme
rosse e dorate, dai molti occhi neri, simili a quelli nelle code dei pavoni,
discendere dal cielo e volare sulle navi come a guidarle. L’uccello cantava con
una voce che ricordava un coro, e sembrava chiamare i naviganti.
Ankhaymon, avendo
intuito di trovarsi di fronte ad un segno divino, seguì l’uccello, che aveva
capito essere la Fenice, l’Uccello di Fuoco che visita da tempo immemorabile
l’isola di Edan Synair, provenendo dal Regno degli Dei.
Dove la Fenice si
fosse fermata, là sarebbe stata la sede del suo nuovo dominio.
Finché alla fine
videro una terra comparire all’orizzonte, dove incontrarono le foci del grande
fiume Podu, e lì si fermarono.
Trovarono una terra
fertile nel delta del grande fiume, e il principe di Khaam si stabilì con la
sua gente sull’isola di una laguna. Attorno gli alberi stavano ricrescendo dopo
la devastazione del Diluvio, avvenuta ottanta anni prima.
Sull’isola del delta
fondarono la città di Phenexi, la prima città del Veltyan, così chiamata in
onore della Fenice, l’Uccello della Rinascita.
E quando il principe
Ankhaymon e la sua gente ebbero costruito le case di legno della loro città, le
tre navi tornarono indietro, per raccontare che ora esisteva il regno di
Phenexi aldilà del mare, nella terra del Veltyan.
E nel centro della
città Ankhaymon fece costruire un santuario a Sin, con una statua in forma di
vitello d’argento, e per questo la terra che aveva scoperto e conquistato fu
chiamata Veltyan, la Terra del Vitello.
Lunghi anni regnò
Ankhaymon, prima di lasciare il trono di Phenexi a suo figlio Anthaymon, il
quale non ebbe eredi maschi, ma solo sette figlie, a cui pensò di dare a
ciascuna un dominio diverso, poiché il popolo continuava ad aumentare, e la
città si era ingrandita, e le terre del Veltyan erano vaste e deserte.
Allora Anthaymon fondò
altre sei città nella grande valle del Podu, in modo che ognuna delle figlie
potesse avere un proprio dominio, proprio come aveva fatto suo nonno Khaam-Azar
con i suoi figli maschi.
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