La maggior parte dei sacerdoti monaci viveva nei
monasteri-santuari costruiti in cima alle colline o ai monti, vivendo dei
propri mezzi e nel quasi completo isolamento dal mondo esterno, ma alcuni
vivevano da soli. A volte restavano nella condizione eremitica per tutta la
vita, a volte qualche altro monaco si accompagnava loro e nascevano nuovi
monasteri.
Da quelle parti, comunque, non erano mai sorti monasteri, né
si erano mai visti dei monaci eremiti.
Il sacerdote monaco fece un ampio sorriso e salutò i
visitatori.
«Cercatori di funghi, per caso?».
«Sì! Scusateci, mio devoto Reverendo Padre, non sapevamo che
ci fosse un eremo, qui….».
«Da poco tempo, signori. Sono solo alcuni mesi che vivo qui,
da quando ho iniziato la mia vita monastica. Mi chiamo Aralar Alpan e vengo
dalla città di Prini, dove sono stato consacrato. Mi sono ritirato qui con il
permesso degli Shepenna di Enkar. Vivo da solo, almeno per il momento».
Mentre parlava, Velthur notò un odore che usciva dalla porta
o forse da una piccola finestra aperta sull’interno buio. Gli parve un odore
simile a quello di un laboratorio alchemico.
Spesso i sacerdoti monaci praticavano l’alchimia,
soprattutto per sostenersi senza dover chiedere la carità o farsi mantenere
dallo stato.
In genere, si specializzavano nell’alchimia erboristica e
farmaceutica, ma in quel caso, a Velthur non sembrava l’odore di un laboratorio
che avesse a che fare con erbe e medicinali. O meglio, lo era e non lo era.
Sembrava che all’odore delle essenze vegetali fosse mescolato qualcos’altro,
qualcosa di indefinibile, un sentore di qualcosa che il dottore non riusciva a
identificare, che forse non aveva mai sentito, e che pure riusciva a definire
come un olezzo alchemico. Un odore sgradevole, comunque. Chissà, forse era la
sporcizia. I monaci eremiti non erano famosi per la loro pulizia, in fin dei
conti.
La seconda cosa che Velthur notò fu lo sguardo di Aralar,
uno sguardo un po’ troppo fisso e sgranato, quello sguardo che tradiva un lampo
di follia o comunque una personalità non particolarmente equilibrata.
«Scusatemi se vi abbiamo disturbato, devoto Padre Reverendo
Alpan, ma volevamo parlare con una persona che vivesse qua. Qualcuno ha visto i
fuochi del belk qua in cima a Monte
Leccio la notte del plenilunio. Si sa, c’è gente che si preoccupa quando le
Fate fanno le loro feste nei boschi, e vorremmo sapere se voi ne sapete
qualcosa».
«Sia benedetta Nostra Signora Sil, spero proprio di no! Io
personalmente non ho visto né sentito nulla, né a questo plenilunio, né da
quando vivo qua!».
«Davvero? I nostri amici Hermen e Maxtran, qui presenti,
dicono di aver visto le luci dei fuochi fatui in cima al colle nella notte, e
Hermen in particolare di aver anche sentito la musica e i canti delle Fate, e
li hanno visti da luoghi distanti e differenti. Hermen era ai piedi del colle e
per questo ha sentito bene la musica.
Dicono poi entrambi che il colore del fuoco era di un
intenso verde-azzurro, come sono i fuochi fatui, come non avrebbe potuto essere
nessun normale falò umano. A meno che non fosse un fuoco alchemico….»
Nel momento in cui disse “alchemico”, si bloccò. Come un
lampo, gli venne l’idea che potesse essere stato lo stesso eremita ad accendere
il fuoco.
«Mi spiace signori, ma io sono un sacerdote monaco e mi alzo
prestissimo la mattina, e perciò mi addormento anche molto presto. Ho il sonno
di piombo, e neanche tuoni e fulmini riescono a svegliarmi di notte! Ma spero
proprio che le Fate non prendano l’abitudine di riunirsi su questo monte,
perché non voglio certo che pratichino proprio in questi boschi i loro culti a
Dei oscuri e blasfemi, che allontanano i fedeli dal culto della Signora della
Luce!».
«Allora vi ringrazio, devoto Padre Reverendo, e non vi
disturberemo oltre. Casomai, se ci tenete, vi faremo sapere se davvero ci sono Fate,
in questi boschi».
«Ma nessun disturbo! Non crediate che voglia sempre stare solo, quassù!
Vedete? Ho qui le arnie delle mie api, le mie capre, il mio orto nella radura
che ho disboscato io. Produco il miele e i medicinali con le erbe che raccolgo
nel bosco e nei campi attorno, vivo di quello che produco e lo
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