minuscoli chicchi bruciati? Ho visto altre volte le ceneri
del belk, ed erano proprio così!
Nemmeno io ho la più pallida idea di cosa ci mettano, sulle fiamme, per rendere
così le ceneri…».
«Bene, -commentò Hermen – o forse male. Ma questo non spiega
ancora niente. Non spiega cosa abbiamo visto e sentito io e Knevin. Non spiega
perché le Fate siano venute a fare qui il rito del belk. E non spiega Quello, quella cosa».
«No, infatti. E io mica ho detto che mi accontento di
questo. Diamo un’occhiata intorno, e vediamo se troviamo qualcosa di strano».
«E cosa dovremmo trovare?».
«Non lo so. Qualsiasi cosa che non sia normale».
«Come se ci fosse qualcosa di normale in tutta questa
faccenda….»
Si divisero tutti e quattro in giro per la radura e il bosco
circostante, battendo palmo a palmo il prato rado.
Larsin trovò subito qualcosa di interessante. Una coppa di
legno intagliato, dalla foggia strana e dall’ancor più strano colore.
Su tutto il calice erano intagliati degli arabeschi e delle
spirali, alcuni fiori e quello che sembrava un muso di gatto stilizzato. Il
legno chiaro, che sembrava di betulla, e che sembrava emanare lo stesso profumo
della corteccia di betulla, era tutto colorato all’interno del calice, e lungo
il bordo, di un colore blu-indaco intenso, che sbordava all’esterno del calice
con una serie di righe, come se avesse contenuto un liquido colorato che aveva
intriso il legno.
«Guardate, dottore! Non so se è abbastanza strano, ma io non
ho mai visto un calice come questo!».
Maxtran raggiunse Larsin per primo e afferrò il calice.
«Questo è fatato, senz’altro. Ne ho visti altri, di oggetti
così. Sulle montagne ai confini settentrionali un mio commilitone mi mostrò un
bastone che era inciso nello stesso identico modo di questo calice. Lo teneva
come portafortuna, e mi diceva che l’aveva ottenuto in regalo da un Sileno, che
a sua volta lo aveva ottenuto dalle Fate. Da quelle parti ci sono molte più
Fate che da noi, e quindi oggetti del genere li si vede spesso».
«Sì, ma questo colore…. cosa c’hanno messo dentro? Un colore
per tingere i vestiti?».
«No, è il colore del vino delle Fate, lo fanno con i frutti
di bosco: fragole, lamponi e mirtilli…. Più certe droghe ottenute da erbe. In
particolar modo l’assenzio».
«Siete molto ben informato sui loro usi e costumi,
dottore!».
«Sono un medico, Maxtran. Sapete quante volte ho dovuto
curare contadini o pastori che si sono beccati una bella intossicazione da vino
fatato?».
«Qui da noi? Ma a parte quello che è successo qua sul Monte
Leccio, non ci sono mai state feste del belk!».
«Anni fa, all’inizio della mia professione medica, vivevo in
un posto dove queste cose succedevano abbastanza spesso».
«In città??? Le feste del belk? In ogni caso, non è che ci dica di più di quello che sapevamo
già dalle ceneri del falò. Le Fate hanno fatto baldoria qua la notte del
plenilunio, e questo è quanto. Chissà che faccia farà l’eremita! Comunque, mi
piace questo calice. Siccome è in buono stato me lo porto a casa, farà una
bella figura nella nostra cucina».
«Non ne sono sicuro, Larsin, che non abbia niente da dirci.
A quanto ne so, è molto strano che abbiamo potuto trovarlo. Le Fate sono molto
scrupolose, nei loro riti. Non lasciano niente di loro, dopo le feste del belk. Niente che possa finire in mano
agli Uomini senza che loro lo permettano, a parte le ceneri dei falò.
Hermen, hai detto che mentre tu e Knevin salivate, avete
sentito all’improvviso la musica cessare, e avete cominciato a sentire non più
canti e risa, ma urla di terrore. Forse è per questo che questo calice è stato
lasciato per terra: perché chi lo stringeva in mano l’ha gettato per terra
fuggendo dal terrore».
«Cos’è che può spaventare le Fate? Non molte cose, a quanto
ho sentito dire….».
«La cosa che le spaventa di più, è che qualcuno scopra i loro segreti.
Non sarebbero più in grado di rendersi invisibili agli Uomini, loro e tutto
quello che gli appartiene. Ma se fosse venuto qua un
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