lunedì 18 aprile 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 76° pagina.


del Veltyan aveva sempre prevalso con la loro spietata concretezza su ogni oscuro segreto che i guerrieri thyrsen avevano incontrato, e Maxtran non sopportava che le invocazioni a oscuri malefici gettassero quella stessa ombra sulla sua tranquilla vecchiaia, che lui aveva conquistato così duramente.

Sua moglie invece si spaventava per ogni più piccolo fatto strano che succedeva in casa o nei dintorni, e questo lo irritava enormemente. Quasi malediceva il momento in cui lui e Larsin avevano parlato di quello che aveva visto dal cortile di casa sua  in quella notte di plenilunio, e l’amico gli aveva chiesto di venire con lui in cima a Monte Leccio.

Ma quando le ombre della sera erano ormai calate, anche la sua irritazione si era sbollita, e decise di rientrare in casa quando ormai la sua famiglia aveva già cenato.

Sua moglie gli aveva lasciato qualcosa in tavola, sapendo che lui, come altre volte quando litigavano, avrebbe mangiato più tardi, da solo.

Si vedevano ancora i chiarori del crepuscolo ad occidente, mentre Maxtran mangiava da solo la sua zuppa di legumi e cereali , e il suo pane di segale con il formaggio fresco di capra, i piatti più comuni sulla tavola dei contadini del Veltyan, alla luce azzurrina di una fredda lampada perenne, mentre all’esterno, alla luce di altre lampade perenni, Larthi e i suoi figli svolgevano gli ultimi compiti della fattoria prima di andare a riposare.

Per i Thyrsenna contadini, il giorno finiva quando il sole tramontava, e quindi il riposo dell’usiltin, il giorno del sole, era da considerarsi anch’esso finito. Si poteva lavorare nelle ore serali senza tema di offendere i comandamenti di Sil.

Sedute sulle panchine del cortile di fronte all’entrata, alla luce della lampada perenne appesa sopra la porta, Larthi e le due figlie sgranavano le pannocchie di mais appena raccolte, e la madre raccontava alla figlia più piccola l’antica leggenda che narrava che i primi semi di mais erano stati portati dai Giganti, venuti a bordo di una grande nave dalle lontane terre d’occidente di là dal Grande Oceano, molti secoli prima. E che quegli stessi Giganti erano gli ultimi resti degli antichi Giganti che dominavano tutta Kellur, la Madre Terra, prima del Diluvio.

Sempre secondo l’antica leggenda, la Kyrenni, la Grande Regina del Veltyan, li aveva accolti benevolmente e aveva concesso loro di vivere sulla montagna di Tituan, un antico vulcano spento, che d’allora in poi fu chiamata Montagna dei Giganti, ai confini orientali del Veltyan, ai cui piedi avevano piantato grandi campi di mais.

E ancora adesso i Giganti vivevano là, coltivando il mais e rimanendo fedeli cittadini del Regno Verde.

Quella storia Larthi l’aveva raccontata innumerevoli volte a sua figlia, la quale ogni sera pretendeva infatti che la madre gliela raccontasse di nuovo. E ogni volta la bambina diceva che un giorno, quando fosse diventata grande, sarebbe partita per la montagna di Tituan, per incontrare i Giganti.

Nel frattempo, i due figli maschi si occupavano del bestiame, e controllavano che le bestie fossero ben protette nei loro recinti e nella stalla, aggirandosi con le loro lampade perenni in mano.

Che fortuna che erano le lampade perenni, soprattutto per chi viveva in luoghi isolati. Da quando erano state introdotte più di cinque secoli prima dagli alchimisti, avevano portato un immenso beneficio a tutto il Regno Verde.

Le lampade perenni non bruciavano nessun carburante, e splendevano per secoli e secoli, anzi per millenni, senza mai esaurirsi. Infatti, pareva che nessuna lampada perenne si fosse ancora spenta, da quando erano state fabbricate le prime.

E la fonte di quella luce azzurrina e costante era semplicemente una lamina di piombo avvolta attorno a un cilindro di vetro e rame alchemici, che trasformavano la sostanza del piombo in parte in pura luce, mentre ciò che ne restava diventava particelle d’oro, con un processo lentissimo che sarebbe durato appunto millenni, finché alla fine tutte le lampade perenni si sarebbero spente non appena il piombo fosse diventato tutto oro. In quei giorni, l’oro non sarebbe costato più niente. In compenso, anche i più poveracci avrebbero potuto possedere ornamenti d’oro, perché ormai erano state prodotte così tante lampade perenni che anche la più misera fattoria nell’angolo più depresso e solitario del regno, aveva le sue lampade perenni, magari vecchie di secoli.

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