venerdì 29 aprile 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 85° pagina.


Non c’era niente e nessuno là attorno, c’era solo il gatto che se ne stava seduto sulla lastra a guardarlo. Sembrava che la pesantissima pietra si fosse alzata e rovesciata nella notte, spinta da una forza invisibile.

Cautamente, si avvicinò all’orlo della cavità, e vide alla luce della sua lampada che c’erano dei gradini di pietra che scendevano verso quella che pareva essere una galleria sotterranea, che si spingeva sotto la Polenta Verde.

Tornò indietro, non poteva affrontare da solo quella cosa. A dire il vero, non era sicuro che potesse affrontarla neanche in compagnia.

Nel tornare lungo il sentiero che conduceva dalla Polenta Verde alla sua casa, incontrò suo padre con la spada sguainata e sua madre che reggeva un’altra lampada perenne.

«Hanno aperto la lastra!».

«Perun, sei impazzito? Perché sei corso fuori da solo?».

«Madre, quel maledetto gatto mi ha condotto alla lastra e l’ho trovata aperta! C’è un grande buco, sotto!».

«E chi è stato, ad aprirla?»

«E chi lo sa? Non c’è nessuno, là! O almeno, non ho visto nessuno. Non avete sentito anche voi quel rumore spaventoso?».

«No, nessun rumore. Tuo fratello Haral ci ha tirati giù dal letto dicendoci che tu eri scappato fuori perché avevi visto qualcosa… cosa ti è successo?».

«Ho sentito un rumore spaventoso, come se tutte le sedi dell’Orkhun venissero scoperchiate in un colpo solo. E forse è stato proprio così. Venite! Venite a vedere cosa è successo!».

Li condusse correndo alle pendici della Polenta Verde, e lì Larthi non potè trattenere un gemito di terrore, mentre a Maxtran gli cadde la spada di mano dallo stupore e non riuscì a lanciare neanche un’imprecazione.

Rimase paralizzato mentre la moglie lanciava un’invocazione a Sil, chiedendole protezione dalle divinità infere, dagli spiriti che dimoravano nelle buie profondità dell’Orkhun, la triste dimora delle anime maledette e dei Demoni Oscuri.

Perché per lei solo loro potevano essere stati gli autori di quel prodigio.

«Ho visto quella bestia, quel gatto che accompagnava la Fata ieri sera. È stato lui a condurmi qui, come per mostrarmi quello che è successo. Adesso il gatto non c’è più, ma se ne stava seduto sulla lastra, come se aspettasse che io mi avvicinassi a quella scala…..Io credo che sia stata la fata a fare questo. Ha voluto completare il suo dono, risparmiandoci la fatica di aprirlo».

«Chiunque sia stato, dobbiamo approfittare subito del favore che ci ha fatto. Andiamo a vedere!».

«Maxtran! Vuoi scendere giù adesso?».

«E quando vuoi che vada a vedere? Domani mattina? Quando magari scopriamo che hanno portato già via tutto? Come possiamo essere sicuri di cosa potrebbe succedere ancora, dopo tutto quello che è già successo?».

«Ma vuoi andare là dentro di notte? Non vuoi aspettare di poter chiamare qualcuno, domani mattina? Io non vi lascio, tu e i nostri figli, andare là sotto da soli in piena notte!».

«Allora aspetterò il giorno qui, se vuoi. Veglierò fino a quando sarà sorto il sole e poi scenderò io da solo, se necessario! Non voglio che qualcuno entri là dentro prima di me. Devo sapere io per primo cosa abbiamo trovato».

«Sei ostinato e avido! Non te ne verrà nulla di buono!».

«Puoi dire quello che vuoi! Ho più paura di chi potrebbe rubarci ciò che ci appartiene, di qualsiasi spirito!».

Con un gesto di rabbia, le strappò la lampada perenne e prese a scendere i gradini della scala di pietra.

La moglie gli urlò dietro, in preda a una scenata isterica in cui invocava la protezione divina contro gli spiriti dei defunti.

«Sta zitta! Voglio solo vedere dove arriva la scala! Rimango qua in vista, accidenti a te!».

Perun si sporse sui gradini per tenere d’occhio il padre, mentre la madre lo tratteneva per la tunica.

Nessun commento:

Posta un commento