martedì 1 marzo 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 50° pagina.


«Ci vado io a chiamarli. Devo tornare in ogni caso in paese, ho un’altra persona da visitare. Non so dire perché, ma oggi si sono accavallati un sacco di impegni…. e di guai. Una persona morta, un’altra ferita, e diverse altre che stanno male. Il caldo, sembra. Insolazioni, e strani malesseri, strane infezioni. Una delle persone che stanno male, è proprio una delle figlie dei sacerdoti».

«Questa è un’estate davvero strana….».

«Sì, molto….».

Tu non sai quanto, pensò Velthur.

Prima di andarsene, Velthur gli dette una medicina per il bambino, un palliativo, ma che poteva essergli utile. Era un’essenza vegetale trattata alchemicamente da diluire in un po’ di acqua calda e mettere in un profumatore a candela, fatta apposta per aiutare la respirazione.

Mentre si avviava dalla fattoria al paese, fu assalito da uno dei suoi soliti rimuginamenti meditativi. La nascita del bambino gli aveva fatto tornare in mente tutti i pensieri che l’avevano tormentato dopo l’esperimento di ipnosi su Thymrel.

Era riuscito a recitare bene la parte del razionalista scettico, che non credeva alle storie di fantasmi e malefici, ma quello che Thymrel aveva raccontato durante l’ipnosi l’aveva intimamente segnato e sconvolto.

Aveva cercato di ripetersi molte volte che l’unica spiegazione possibile fosse che la ragazza avesse letto da qualche parte la narrazione della storia della Valle dei Gigli, e che dopo aver subìto un trauma sconosciuto e senz’altro gravissimo, si fosse inventata un’esistenza irreale in quel luogo e in quel tempo, credendo che fosse il suo vero passato.

Eppure non era riuscito a convincersene. Una parte di lui era inevitabilmente portata a credere che quello che aveva raccontato potesse essere reale, e questo lo terrorizzava.

Forse davvero Thymrel veniva da un passato lontano tre secoli, e aveva assistito alla scomparsa degli abitanti della Valle dei Gigli, e aveva visto davvero il misterioso essere incantato che in qualche modo era legato a quell’antica tragedia, il grande cervo bianco dalle corna, dagli occhi e dagli zoccoli scarlatti come il sangue.

Forse davvero conservava dentro di sé, nel suo inconscio, il segreto della Valle dei Gigli, un segreto così spaventoso che l’aveva rimosso.

Era quella parte di sé che non riusciva a far tacere, quella parte che gli diceva che forse davvero certi luoghi del mondo erano segretamente infestati da forze ignote ed invisibili. E quello che gli faceva più rabbia era che, se davvero lo scrigno di quel segreto era la mente di Thymrel, lui non aveva la chiave per aprirlo. Era come avere un forziere pieno di gioielli e non poterlo aprire neanche scassinandolo.

Solo quando arrivò al tempio di Sil in paese, riuscì a distrarsi dai suoi pensieri.

La loro giovane figlia di tredici anni, la più piccola, era a letto malata. L’abitazione dei sacerdoti di Arethyan era dietro il tempio, separata ma collegata ad esso da un cortile, secondo le tradizioni architettoniche dei Thyrsenna.

Fra lui e i sacerdoti del villaggio c’era una sorta di tregua carica di ostilità in sottotono che ormai proseguiva da parecchi anni. I motivi di questo stato di cose erano principalmente tre.

Uno era che Velthur era praticamente l’unico Avennar del villaggio di Arethyan.

Il secondo era che non aveva mai cercato di convertire nessuno alla sua religione.

Il terzo era che era un ottimo medico, ed era molto difficile trovare dei medici in gamba che potessero accettare di lavorare in un villaggio di una delle provincie più periferiche, depresse ed arretrate del regno.

Il dottore si era stabilito ad Arethyan quindici anni prima, con la giustificazione ufficiale di aver scelto quella residenza perché sua nonna era nata là, e perché non amava le città.

Appena lui era arrivato e si era saputo che era un convertito all’Aventry, i coniugi Kalpur,  la sacerdotessa Axili e suo marito Atar, avevano cominciato a predicare contro il pericolo di allontanarsi dal culto degli Dei tradizionali per volgersi a sette infedeli che predicavano dottrine empie e malvage.

Per tutta risposta, Velthur aveva adottato un’astuta e cauta strategia di opposizione.

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