sabato 5 marzo 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 54° pagina.


Naturalmente, Velthur non prese neanche in considerazione la possibilità di fargli delle domande, al momento, e interrogò solo Hermen.

«Oggi eravamo andati alla fiera di Aminthaisan , e abbiamo fatto tardi. Troppo tardi. Ma Aminthaisan non è tanto distante, e la strada è ben illuminata. Da noi lupi e briganti non ce ne sono, quindi abbiamo pensato che non correvamo rischi.

Siamo passati vicino al bosco di Monte Leccio che ormai era già notte. È stato là che abbiamo cominciato a vedere e sentire…. qualcosa di strano».

Hermen tracannò un sorso di tisana, e fece una lunga pausa.

«Dottore, non potreste darci qualcosa di più forte? Un bicchierino di grappa, per caso?».

«Siete già abbastanza poco lucidi, a mio parere…. casomai ve lo do dopo, il goccino di grappa, quando avrai finito di raccontare. Comunque state sicuri che la droga che vi ho messo dentro, anche se leggera, vi farà dormire stanotte».

«Va bene…. allora, dicevo che eravamo ai piedi di Monte Leccio, sempre sulla strada selciata che passa fra il colle e il fiume, le luci di Aminthaisan erano ormai lontane, non ci sono fattorie vicine in quel punto, e….».

Cominciò a stropicciarsi e quasi strapparsi nervosamente la folta barba grigio-rossiccia, nello sforzo di trovare le parole giuste. Si intuiva che aveva paura di dire delle cose che sarebbero sembrate assurde o ridicole.

«Beh, insomma…. abbiamo visto delle luci in cima al Monte Leccio, in mezzo agli alberi, vicino a quella che pareva una radura. Avevano un aspetto strano, erano di un colore verde-azzurro, ma più intenso di quello di una lampada perenne, e sbarluccivano come la luce di una fiamma. Una volta ho sentito dire che è quello l’aspetto dei fuochi delle Fate, quelli che loro accendono nelle notti di plenilunio durante la festa del belk…. Così abbiamo pensato subito che fosse proprio quella, la causa… e ci siamo incuriositi».

«Che io sappia, Hermen, non ci sono comunità di Fate nei paraggi, e non ho mai sentito che praticassero il belk nei nostri boschi. La comunità più vicina è sulle Colline di Leukun, a circa trenta chilometri da qui».

«Sì, lo so bene che non ci sono tribù del popolo fatato nei paraggi. E anche per questo ci siamo incuriositi. Non l’avessimo mai fatto!».

«Volete dire che siete saliti sul Monte Leccio? Di notte? Nel bosco?».

«Beh, non siamo saliti fino in cima, ma abbiamo visto che c’era un sentiero che dalla strada andava su per il monte, e siccome avevamo dietro una lampada perenne, abbiamo provato a salire per un tratto, tanto per ascoltare meglio i canti e la musica che si sentiva arrivare da lassù. Non avevamo mai visto delle Fate, e tantomeno avevamo mai visto una festa del belk. Lo so che si dice che bisogna stare lontani da quelle cose, ma noi…. come dire, eravamo affascinati…. era una musica bellissima, anche se strana, inquietante…».

«Quindi vi siete avvicinati alla cima del monte con la lampada perenne scoperta, in modo che la si potesse vedere da lontano? Come dire alle Fate: “ehi, siamo qua!”».

«Sì, lo so cosa dicono le vecchie comari attorno al fuoco…. O anche i vecchi Sileni come quel Prukhu, le ho ascoltate anche io le sue storie. Solo gli amici delle Fate possono partecipare alle loro feste, e se si avvicina un estraneo, esse lo seducono e lo portano a danzare con loro, fino a quando smarrisce la ragione per la musica, il vino drogato e altri incantesimi, poi perde la memoria e può rimanere demente per sempre….. ma noi non ci credevamo. Eravamo curiosi e basta!».

«E siete saliti verso la cima!».

«No, no! Alla cima non ci siamo mai arrivati. Credo che non siamo neanche arrivati a metà strada. Tra l’altro, credo sia una bella salita fino in cima. Abbiamo fatto tre tornanti del sentiero in mezzo al bosco, niente di più, poi è cominciato a succedere quello…. quello che ci ha terrorizzato».

Mentre Hermen arrivava finalmente al sodo, Knevin si gettò la faccia tra le mani, tremando sempre più.

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