giovedì 3 marzo 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 52° pagina.


E, d’altra parte, anche i Kalpur avevano bisogno di un medico, a volte.

La figlia minore, Holeisi, aveva uno strano male, una forma di debilitazione inspiegabile. Si sentiva debole, perennemente ansiosa, angosciata, aveva attacchi di panico, e la notte era tormentata dagli incubi.

Velthur trovò la ragazzina stesa nel suo letto, pallidissima, ansimante, con il cuore molto accelerato.

Parlò con la governante, dato che i genitori erano impegnati in una funzione religiosa.

«Prima era sempre stata una bambina serena, vivace, fin troppo vivace».

«Sì, me la ricordo bene». 

«Poi, circa due mesi fa, ha cominciato a cambiare. Un cambiamento di carattere inspiegabile. Non è successo niente per cui dovesse cambiare così. Improvvisamente, abbiamo notato che appariva triste, angosciata, taciturna. All’inizio abbiamo pensato che fossero solo i turbamenti dell’età, ma a un certo punto abbiamo cominciato a spaventarci. La notte si svegliava urlando dopo aver fatto spaventosi incubi, aveva sempre più paura del buio. Ha cominciato a volere che ci fosse sempre una lampada perenne accesa nella sua camera, mentre prima non aveva mai avuto particolari problemi con il buio.

E poi un paio di giorni fa questa debolezza improvvisa…. non riesce neanche a stare in piedi. È spaventatissima, e non sa neanche dire lei da cosa».

Un caso di isteria, pensò Velthur.

La medicina del Veltyan aveva cominciato da poco ad esplorare i misteri della psiche in modo sistematico. Certo, già l’introduzione dell’alchimia nel regno settecento anni prima, con lo studio dell’interazione fra mente e materia, aveva dischiuso per la prima volta la porta su quei misteri, ma l’esplorazione vera e propria di tali misteri era ancora agli inizi. Si aveva una vaga nozione dell’inconscio, ma ancora si sapeva pochissimo sulle malattie mentali.

Osservando Holeisi, e facendole delle domande, fu portato a pensare che la sua malattia avesse un’origine soprattutto mentale.

Le prescrisse un calmante, da prendere ogni sera prima di andare a dormire.

Ma prima di andarsene, le chiese che razza di incubi avesse.

«Sempre lo stesso, tutte le notti. Per questo ho tanta paura quando cala la notte, e devo andare a dormire. Perché so che lo farò ancora, e ancora….. e io non ne posso più, non ne posso più….».

«Cosa sogni, esattamente?»

«Sogno di essere nella mia camera, stesa nel mio letto, e di svegliarmi all’improvviso, sentendomi osservata. Poi guardo fuori, alla finestra, e vedo due occhi che mi guardano, due occhi luminosi, rossi, rotondi, enormi…. spaventosi. Due grandi occhi che mi guardano dal buio.

E allora io mi alzo, non vorrei, ma qualcosa mi costringe ad alzarmi dal letto e andare verso la finestra….  mi avvicino sempre più, e non posso farci niente… finché vedo la cosa che mi sta guardando con quegli occhi rossi…. e vedo che sta per entrare dalla finestra, per venirmi a prendere…. e allora urlo e mi sveglio!».

«E questa…. cosa, che aspetto ha?».

«Non lo so…. un’enorme figura nera, che se ne sta oltre la finestra, qualcosa che assomiglia vagamente a un uomo gigantesco…. Mi sembra che abbia delle grandi ali nere ripiegate sulla schiena, come un Demone dell’Oltretomba….».

La governante strinse in mano la croce ansata che portava al collo, simbolo del culto di Sil, e mormorò un’invocazione alla divinità celeste.

Una giovane isterica, si ripeté Velthur. Una forma di isteria forse dovuta a una femminilità che stava sbocciando tumultuosamente. Essere figlia di due sacerdoti non doveva essere una cosa semplice. Essere allevata con l’idea costante di dover diventare una custode della vera fede come i suoi genitori, venire magari ossessionata dal fanatismo di chi vede i Demoni delle Tenebre in ogni più piccola distrazione dal proponimento religioso, portavano a quegli incubi ossessivi che tormentavano certe donne ipersensibili. Demoni che apparivano nelle camere da letto delle donne, e le tormentavano, spesso le molestavano sessualmente.

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