E, d’altra parte, anche i Kalpur avevano bisogno di un
medico, a volte.
La figlia minore, Holeisi, aveva uno strano male, una forma
di debilitazione inspiegabile. Si sentiva debole, perennemente ansiosa,
angosciata, aveva attacchi di panico, e la notte era tormentata dagli incubi.
Velthur trovò la ragazzina stesa nel suo letto,
pallidissima, ansimante, con il cuore molto accelerato.
Parlò con la governante, dato che i genitori erano impegnati
in una funzione religiosa.
«Prima era sempre stata una bambina serena, vivace, fin
troppo vivace».
«Sì, me la ricordo bene».
«Poi, circa due mesi fa, ha cominciato a cambiare. Un
cambiamento di carattere inspiegabile. Non è successo niente per cui dovesse
cambiare così. Improvvisamente, abbiamo notato che appariva triste, angosciata,
taciturna. All’inizio abbiamo pensato che fossero solo i turbamenti dell’età,
ma a un certo punto abbiamo cominciato a spaventarci. La notte si svegliava
urlando dopo aver fatto spaventosi incubi, aveva sempre più paura del buio. Ha
cominciato a volere che ci fosse sempre una lampada perenne accesa nella sua
camera, mentre prima non aveva mai avuto particolari problemi con il buio.
E poi un paio di giorni fa questa debolezza improvvisa…. non
riesce neanche a stare in piedi. È spaventatissima, e non sa neanche dire lei
da cosa».
Un caso di isteria, pensò Velthur.
La medicina del Veltyan aveva cominciato da poco ad
esplorare i misteri della psiche in modo sistematico. Certo, già l’introduzione
dell’alchimia nel regno settecento anni prima, con lo studio dell’interazione
fra mente e materia, aveva dischiuso per la prima volta la porta su quei
misteri, ma l’esplorazione vera e propria di tali misteri era ancora agli
inizi. Si aveva una vaga nozione dell’inconscio, ma ancora si sapeva pochissimo
sulle malattie mentali.
Osservando Holeisi, e facendole delle domande, fu portato a
pensare che la sua malattia avesse un’origine soprattutto mentale.
Le prescrisse un calmante, da prendere ogni sera prima di
andare a dormire.
Ma prima di andarsene, le chiese che razza di incubi avesse.
«Sempre lo stesso, tutte le notti. Per questo ho tanta paura
quando cala la notte, e devo andare a dormire. Perché so che lo farò ancora, e
ancora….. e io non ne posso più, non ne posso più….».
«Cosa sogni, esattamente?»
«Sogno di essere nella mia camera, stesa nel mio letto, e di
svegliarmi all’improvviso, sentendomi osservata. Poi guardo fuori, alla
finestra, e vedo due occhi che mi guardano, due occhi luminosi, rossi, rotondi,
enormi…. spaventosi. Due grandi occhi che mi guardano dal buio.
E allora io mi alzo, non vorrei, ma qualcosa mi costringe ad
alzarmi dal letto e andare verso la finestra….
mi avvicino sempre più, e non posso farci niente… finché vedo la cosa che mi sta guardando con quegli
occhi rossi…. e vedo che sta per entrare dalla finestra, per venirmi a
prendere…. e allora urlo e mi sveglio!».
«E questa…. cosa, che aspetto ha?».
«Non lo so…. un’enorme figura nera, che se ne sta oltre la
finestra, qualcosa che assomiglia vagamente a un uomo gigantesco…. Mi sembra
che abbia delle grandi ali nere ripiegate sulla schiena, come un Demone
dell’Oltretomba….».
La governante strinse in mano la croce ansata che portava al
collo, simbolo del culto di Sil, e mormorò un’invocazione alla divinità
celeste.
Una giovane isterica, si ripeté Velthur. Una forma di
isteria forse dovuta a una femminilità che stava sbocciando tumultuosamente.
Essere figlia di due sacerdoti non doveva essere una cosa semplice. Essere
allevata con l’idea costante di dover diventare una custode della vera fede
come i suoi genitori, venire magari ossessionata dal fanatismo di chi vede i
Demoni delle Tenebre in ogni più piccola distrazione dal proponimento
religioso, portavano a quegli incubi ossessivi che tormentavano certe donne
ipersensibili. Demoni che apparivano nelle camere da letto delle donne, e le
tormentavano, spesso le molestavano sessualmente.
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