lunedì 28 marzo 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 59° pagina.


Ma mentre Velthur lasciava Hermen, Knevin stava parlando con la sacerdotessa Anixi Kalpur, e implorava da lei l’invocazione della benedizione di Sil su di lui e su tutto il villaggio, per proteggerli dal Demone Oscuro che si era manifestato a loro nella notte.

Piangendo e gemendo, continuava a ripetere alla sacerdotessa che quella era stata la punizione degli Dei per la sua ubriachezza.

Alla fiera di Aminthaisan aveva un po’ alzato il gomito, contravvenendo alla promessa che aveva fatto a Sil di non bere più, al massimo un bicchiere di vino al giorno (perché il medico gli aveva detto che un bicchiere di vino rosso al giorno fa bene alla salute). Così quello doveva essere un monito a non trasgredire, ed era stata davvero una punizione spaventosa, perché l’aveva convinto a non toccare più bevande alcooliche per il resto della vita.

Si era convinto che non toccando più una goccia di alcool, avrebbe tenuto lontano l’orrendo demone.

La sacerdotessa gli chiese perché non fosse venuto anche Hermen a chiedere la benedizione, se il Demone Oscuro l’avevano visto entrambi e se davvero era un Demone Oscuro o non piuttosto un effetto dei fumi dell’alcool.

Knevin le rispose che Hermen sembrava meno spaventato, e che forse sarebbe venuto più tardi.

La Reverenda Madre tirò fuori il suo libro di preghiere, la croce ansata e l’acqua della purificazione, e procedette al rito di benedizione sulla figura inginocchiata di Knevin.

Dopo, lo lasciò andare con la raccomandazione di sollecitare Hermen a venire a farsi benedire anche lui prima possibile, da lei o da suo marito.

Cosa che invece Hermen non fece mai. In qualche modo, il fabbro non era sicuro di avere visto uno spirito dell’oscurità. L’aver parlato con il medico aveva avuto su di lui una notevole influenza, dato che non l’aveva trattato da pazzo o da visionario, ma semplicemente aveva dubitato che quello che avevano visto lui e Knevin fosse davvero un essere demoniaco e non piuttosto una strana anomalia della natura.

Glielo faceva pensare anche il fatto che quello che aveva visto era ben lontano dalle rappresentazioni solite dei Demoni Oscuri della religione dei Thyrsenna. Questi venivano in genere rappresentati come esseri giallastri o verdastri, di forma umana ma con chiome simili a grovigli di serpenti, con dei lunghi rostri gialli e con mani e piedi artigliati, simili a zampe d’uccello, o con molteplici teste di cane, o con corpi di leone e mostruose teste umane e cornute, e mille altri particolari fantasiosi nati dal mescolare parti anatomiche di diverse specie.

In più, tutte le storie popolari sui Demoni Oscuri dicevano che questi spiriti parlavano, urlavano, ringhiavano, e avevano sempre un messaggio di sventura o di accusa per il malcapitato che li incontrava.

Quell’essere invece era stato quasi del tutto silenzioso, a parte il battito delle sue ali e ogni tanto quello strano squittio. Quindi, l’atteggiamento più giusto era quello del dottore: andare a vedere su Monte Leccio se c’era qualche cosa di strano, là dove gli pareva di aver visto i fuochi del belk delle Fate e udito la musica e i canti fatati. Ma se davvero quell’essere si annidava là, era il caso di andarci bene armati.

Il giorno dopo, infatti, arrivò da Hermen il dottore, che gli disse che Larsin e un altro uomo sarebbero venuti con lui in cima al Monte Leccio, per fare un sopralluogo.

«Devi venire, Hermen. Ho bisogno che qualcuno mi descriva esattamente cosa è successo quella sera mentre siamo là. Se non vorrà venire anche Knevin, pazienza. Anzi, è meglio così perché mi sembra un po’ troppo impressionabile, ma tu devi venire».

«Knevin non verrà in ogni caso. Se ne è andato via di casa, è tornato ad Enkar, proprio stamattina».

«Così spaventato, era?».

«No, non così. Di più! Più ci pensava a questa cosa, e più si spaventava, e siccome non riusciva a toglierselo dalla mente, alla fine è scappato via, senza tanti complimenti. Forse è stato meglio così».

«Forse sì. Se era ancora nello stesso stato in cui l’ho visto io, l’altra sera, è stato meglio che cambiasse aria. Comunque, te la senti di venire?».

«Sì, me la sento. Sono abbastanza calmo, adesso. Quando vorreste che ci andassimo?».

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