Raccomandò alla governante di somministrare regolarmente il
calmante in gocce che le aveva dato, e se ne andò, dicendole di fargli sapere
fra qualche giorno se la ragazza si fosse un po’ ripresa.
Uscì dalla casa dei Kalpur che la luna splendeva gialla
sopra i tetti del paese. Gli venne voglia di farsi una breve passeggiata per le
strade lungo il fiume, che passava accanto al tempio di Sil.
Si era alzato un vento fresco, e voleva goderselo prima di
tornare a casa.
Passeggiando lungo il fiume nelle strade deserte, arrivò al
limitare delle case di Arethyan, dove la strada lastricata di pietra si perdeva
nei campi e nei boschetti d’ippocastani, di cipressi, di pioppi e di noci.
Era una notte luminosissima, straordinariamente luminosa, e
straordinariamente tersa. In quella stagione, il paesaggio delle campagne e
delle colline non poteva mai liberarsi di una sgradevole foschia che rendeva
torbido l’orizzonte e spesso rendeva quasi invisibili le montagne ad oriente.
Invece quella notte il vento, che sembrava spirare dalle
montagne, aveva portato non solo frescura, ma anche aveva ripulito l’aria,
tanto che si potevano scorgere le cime di bianca roccia calcarea sotto il disco
lunare che pareva più grande del solito.
Fu in quello straordinario panorama, che vide due figure
umane che venivano lungo la strada dalla campagna correndo a tutta velocità.
Correvano come se avessero un demone oscuro alle calcagna, e
forse era proprio così.
Velthur si fermò, aspettando che le due figure lo
raggiungessero sulla strada.
Erano due uomini, uno correva più veloce dell’altro, e il
primo ogni tanto si fermava un attimo per aspettare l’altro e incitarlo a continuare.
«A questi due gli verrà un colpo al cuore!».
Mentre si avvicinavano, si accorse di conoscere uno dei due.
Era Hermen Vanth, il fabbro del paese, un uomo di cinquant’anni, grosso e
pesante persino più del ben stazzato Larsin, che in quel frangente correva con
una velocità che non si sarebbe aspettato da lui, anche se era il secondo nella
corsa.
In ogni caso, erano spompati entrambi. Arrivati di fronte a
Velthur, si fermarono ansimando, Hermen piegandosi in due per riprendersi dallo
sforzo, l’altro agitando le mani e blaterando qualcosa come se dovesse dare
l’ultimo respiro.
«I demoni…. i demoni del belk!».
A quel punto Velthur rimase paralizzato.
«Per tutti i Santi dell’Aventry…. ma cosa sta succedendo
alla gente, qui? Stanno impazzendo tutti?».
Hermen, rimanendo piegato in due con le mani sulle ginocchia
per sostenersi, ansimò a sua volta qualcosa.
«Te l’avevo detto, Knevin, che non ci avrebbero creduto! Il
dottore, poi…. ci ha presi per matti ancora prima di sentire la nostra
storia!».
«Non lo so se siete matti, ma immagino che anche voi mi
racconterete di aver visto qualche demone spaventoso!»
«Noi non lo sappiamo cosa abbiamo visto, dottore! Ma
speriamo di non rivederlo più!»
Knevin, da parte sua, continuava a balbettare frasi senza
senso.
Velthur temette che avrebbe dovuto dar fondo alle sue
riserve di pozioni calmanti.
Hermen, ripreso un po’ di fiato, afferrò il braccio del
dottore e lo implorò di avviarsi immediatamente in un luogo chiuso. Non voleva
rimanere all’aperto un minuto di più.
«Se no quello
potrebbe comparire di nuovo!»
Vedendo che erano veramente sconvolti, il dottore pensò bene
di accontentarli e portarli a casa sua. Mentre si avviavano verso la casa del
dottore, continuavano tutti e due a voltarsi e a guardare in aria, come se si
aspettassero che quello dovesse
venire dal cielo.
Una volta entrati, li fece accomodare nel suo soggiorno e
andò a preparare due tisane calmanti. La signora Mendibur era ormai andata a
dormire, e non voleva disturbarla.
Per Knevin, raddoppiò la dose. Sembrava in preda a un
tracollo nervoso: adesso non balbettava più, semplicemente tremava e guardava
nel vuoto.
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