venerdì 4 marzo 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" dI Pietro Trevisan: 53° pagina.


Raccomandò alla governante di somministrare regolarmente il calmante in gocce che le aveva dato, e se ne andò, dicendole di fargli sapere fra qualche giorno se la ragazza si fosse un po’ ripresa.

Uscì dalla casa dei Kalpur che la luna splendeva gialla sopra i tetti del paese. Gli venne voglia di farsi una breve passeggiata per le strade lungo il fiume, che passava accanto al tempio di Sil.

Si era alzato un vento fresco, e voleva goderselo prima di tornare a casa.

Passeggiando lungo il fiume nelle strade deserte, arrivò al limitare delle case di Arethyan, dove la strada lastricata di pietra si perdeva nei campi e nei boschetti d’ippocastani, di cipressi, di pioppi e di noci.

Era una notte luminosissima, straordinariamente luminosa, e straordinariamente tersa. In quella stagione, il paesaggio delle campagne e delle colline non poteva mai liberarsi di una sgradevole foschia che rendeva torbido l’orizzonte e spesso rendeva quasi invisibili le montagne ad oriente.

Invece quella notte il vento, che sembrava spirare dalle montagne, aveva portato non solo frescura, ma anche aveva ripulito l’aria, tanto che si potevano scorgere le cime di bianca roccia calcarea sotto il disco lunare che pareva più grande del solito.

Fu in quello straordinario panorama, che vide due figure umane che venivano lungo la strada dalla campagna correndo a tutta velocità.

Correvano come se avessero un demone oscuro alle calcagna, e forse era proprio così.

Velthur si fermò, aspettando che le due figure lo raggiungessero sulla strada.

Erano due uomini, uno correva più veloce dell’altro, e il primo ogni tanto si fermava un attimo per aspettare l’altro e incitarlo a continuare.

«A questi due gli verrà un colpo al cuore!».

Mentre si avvicinavano, si accorse di conoscere uno dei due. Era Hermen Vanth, il fabbro del paese, un uomo di cinquant’anni, grosso e pesante persino più del ben stazzato Larsin, che in quel frangente correva con una velocità che non si sarebbe aspettato da lui, anche se era il secondo nella corsa.

In ogni caso, erano spompati entrambi. Arrivati di fronte a Velthur, si fermarono ansimando, Hermen piegandosi in due per riprendersi dallo sforzo, l’altro agitando le mani e blaterando qualcosa come se dovesse dare l’ultimo respiro.

«I demoni…. i demoni del belk!».

A quel punto Velthur rimase paralizzato.

«Per tutti i Santi dell’Aventry…. ma cosa sta succedendo alla gente, qui? Stanno impazzendo tutti?».

Hermen, rimanendo piegato in due con le mani sulle ginocchia per sostenersi, ansimò a sua volta qualcosa.

«Te l’avevo detto, Knevin, che non ci avrebbero creduto! Il dottore, poi…. ci ha presi per matti ancora prima di sentire la nostra storia!».

«Non lo so se siete matti, ma immagino che anche voi mi racconterete di aver visto qualche demone spaventoso!»

«Noi non lo sappiamo cosa abbiamo visto, dottore! Ma speriamo di non rivederlo più!»

Knevin, da parte sua, continuava a balbettare frasi senza senso.

Velthur temette che avrebbe dovuto dar fondo alle sue riserve di pozioni calmanti.

Hermen, ripreso un po’ di fiato, afferrò il braccio del dottore e lo implorò di avviarsi immediatamente in un luogo chiuso. Non voleva rimanere all’aperto un minuto di più.

«Se no quello potrebbe comparire di nuovo!»

Vedendo che erano veramente sconvolti, il dottore pensò bene di accontentarli e portarli a casa sua. Mentre si avviavano verso la casa del dottore, continuavano tutti e due a voltarsi e a guardare in aria, come se si aspettassero che quello dovesse venire dal cielo.

Una volta entrati, li fece accomodare nel suo soggiorno e andò a preparare due tisane calmanti. La signora Mendibur era ormai andata a dormire, e non voleva disturbarla.

Per Knevin, raddoppiò la dose. Sembrava in preda a un tracollo nervoso: adesso non balbettava più, semplicemente tremava e guardava nel vuoto.

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