del sapere, votata alla memoria del suo maestro defunto,
l’unico uomo che aveva mai veramente amato e ammirato.
Più tardi, dopo il pranzo consumato nella sala da pranzo
dell’eremo, Harali e Syndrieli parlarono insieme sedute su una panchina di
pietra del cortile coperto d’erba dell’eremo, decidendo delle modalità con cui
Loraisan sarebbe stato ospitato ed istruito dalle Spose di Sin, mentre Eukeni
faceva vedere al fratello il resto dell’eremo.
La cosa che affascinava di più Loraisan dopo il laboratorio
alchemico, erano i gatti. Chiese di poterne avvicinare qualcuno per poterlo
accarezzare. Ma fu molto difficile per lui poterli toccare. Quando si
avvicinava, si acquattavano per terra, osservandolo con i loro chiarissimi
occhi azzurri, per poi scattare lontano da lui. Poi restavano a guardarlo da
lontano, come per sorvegliare le sue mosse. Lo evitavano, ma nello stesso tempo
sembravano osservarlo in continuazione, non fuggivano mai del tutto da lui, gli
stavano lontano, ma lo seguivano con lo sguardo in continuazione, dovunque
andasse.
Lui cercava di essere più cauto possibile, ed Eukeni cercava
di aiutarlo a conquistare la fiducia delle strane bestiole, ma non c’era niente
da fare.
«È strano. Loro sanno sempre distinguere gli estranei dagli
ospiti. Quando vengo qui da sola, ti vengono vicino e si lasciano accarezzare,
e anzi fanno un sacco di moine a tutte noi, rotolandosi per terra e
strusciandosi, e seguendoci come dei cani. Invece oggi… non so. Sembrano tutti
nervosi, guardinghi…. Forse hanno sentito l’odore di qualcosa, o qualcuno, che
non gli piace….».
«O magari è colpa mia! Sentono che sono diverso, e non si
fidano!».
«Non dire sciocchezze! Tu non sei diverso da nessuno!».
«Un giorno vedrai che ho ragione io. Sono diverso e loro lo
sanno».
Eukeni brontolò qualcosa in risposta, ma anche lei era
rimasta colpita dallo strano comportamento degli animali.
E quando ritornarono nel cortile, dove le due donne stavano
ancora parlando, notarono una cosa ancora più strana. I gatti si erano riuniti
poco per volta in cortile, e si erano raccolti proprio attorno ad Harali, la
quale, parlando con Syndrieli, non si era minimamente accorta che ora erano
circondate da tutti i gatti dell’eremo.
Sembrava quasi che stessero attendendo un ordine da lei,
come l’intero corpo della guardia personale di una regina o di una nobildonna,
che si fosse riunito là per sapere cosa dovevano fare.
E quando Loraisan entrò nel cortile, decine e decine di
occhi azzurri e verdazzurri si volsero verso di lui.
«Vedi, Eukeni? Vogliono chiedere alla loro signora e padrona
cosa devono fare con me. Sono animali magici, per questo Harali è la loro
Regina. Perché lei è una maga. Lei è la magica Signora dei Gatti».
Da quel giorno, Harali si conquistò, mezzo per scherzo e
mezzo seriamente, il titolo di “Signora dei Gatti”, e tale gli rimase.
CAPITOLO XXIX: L’ORRORE SULLE
CIME
Harali avrebbe voluto che Loraisan venisse a vivere
nell’eremo già dal giorno della visita. Ma Syndrieli chiese e ottenne di poter
dare a lui e a tutta la famiglia qualche giorno di tempo per prepararsi.
Non che ci fosse molto da preparare: a parte un’altra tunica
di ricambio, e un paio di libri che il dottor Laran gli aveva regalato per
esercitarsi a leggere, non aveva nient’altro da portarsi dietro. Nemmeno un
altro paio di sandali. I Ferstran non erano certo poveri per la media dei
plebei contadini della regione, ma non erano neanche particolarmente
benestanti.
La verità era che per Syndrieli e Larsin l’idea di poter vedere l’amato
ultimogenito solo ad ogni usiltin, il fatto di non poterlo vedere ogni giorno,
li faceva star troppo male. Gli altri membri della
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