altro, potevano illudersi di spingerlo a credere e vivere
secondo determinati princìpi e valori, ma alla fine avrebbe deciso tutto lui.
Avrebbe stabilito da solo cosa sarebbe stato vero per lui.
Era troppo indagatore, troppo fantasioso per legarsi a
un’idea, a una fede. Loraisan gli ricordava tanto un suo amico commilitone,
quando da ragazzo si era arruolato in una delle guarnigioni presso il confine
orientale. Un uomo strano che credeva in
tutto e in niente, che si interrogava su tutto e in particolare sulle domande
che non trovavano risposta. Uno che parlava con sacerdoti, streghe, sapienti di
dottrine misteriche, necromanti, viaggiatori, stranieri e gente di stirpi non
umane, alla forsennata ricerca di misteri e verità nascoste sugli Dei, il
mondo, i demoni della natura e degli Inferi, gli spiriti dei defunti e
l’aldilà.
In qualche modo, pensava che Loraisan sarebbe diventato come
quel suo amico, ma in compenso con un’intelligenza molto più grande. Larsin
avrebbe cercato di far capire a Velthur che ciò che contava era che Loraisan
imparasse, imparasse quante più cose possibile, per farsi valere un giorno.
E avrebbe dovuto fargli capire che convertirsi all’Aventry
non sarebbe stato un vantaggio per il futuro del bambino.
Così, pochi giorni dopo che in famiglia si era presa la decisione
sull’istruzione di Loraisan, Syndrieli andò a Monte Leccio con il figlio,
accompagnata da Eukeni, che a giorni sarebbe entrata nell’eremo.
Era una mattina di usiltin, all’inizio di primavera, nel
Mese dell’Ariete. Per Syndrieli, sembrò una mattina di buon augurio, vedendo
che il cielo era del tutto azzurro, senza nuvole. Il giorno precedente c’era
stato un forte temporale, ma ora il cielo non dava più segni di turbolenze, e
l’aria era stata ripulita di ogni foschia dall’acquazzone e dal forte vento. Le
cime innevate delle Montagne della Luna apparivano maestosamente come non mai,
con una nettezza di particolari che le facevano sembrare insolitamente vicine,
come una coorte di benevoli giganti. Bianchissime, la loro immagine per la donna era come un segno divino, come se Silen,
il Dio della Luna in persona, avesse voluto dire che benediva la trasferta di
Loraisan nell’eremo delle sue sacerdotesse.
Loraisan, invece, aveva solo paura. E il magnifico panorama
non gli era di nessun conforto. Anzi, lo infastidiva. Il mondo era bello, ma
non era per lui.
Quando i tre arrivarono ai piedi di Monte Leccio, Loraisan
si spaventò ancora di più. Non era mai stato così lontano da casa, e la salita
fino in cima al colle gli parve troppo lunga da percorrere, dato che cominciava
già a sentirsi stanco per la camminata lungo la strada lastricata.
Oltre a questo, il bosco di lecci aveva qualcosa di pauroso.
Non era come i boschi di castagni e betulle sulla collina dietro casa, così
luminosi e verdi. I lecci erano scuri, contorti, e anche dove la luce del sole
penetrava tra gli alberi, sembrava che non riuscisse a portare veramente luce,
come se le ombre contenessero i raggi dentro la loro traiettoria fra le foglie,
come lame di luce che tagliavano l’ombra, ma non la dissolvevano. Oltre le
macchie di luce sul terreno, tutto sembrava grigio e oscuro.
E poi, era un bosco stranamente silenzioso. Non si sentiva
il canto degli uccelli, o il frinire degli insetti. Il sentiero sassoso sembrava
procedere fra due muraglie di tenebre e silenzio. Solo il vento si faceva
sentire, ma anche la sua voce aveva qualcosa di strano, fra le fronde degli
alberi.
Lo spaventò anche qualcos’altro. Nascosto dietro uno dei
tronchi, vide qualcosa. Due rotondi occhi dal bagliore rosso rame lo
osservavano immobili, per poi scattare via e sparire tra le ombre.
Eukeni rise al suo spavento.
«Uno dei gatti selvatici di Monte Leccio. Ce ne sono tanti,
qui. Alcuni sono stati addomesticati dalla comunità monastica. Non ci
crederete, ma le Spose di Sin li usano non solo per cacciare i topi, ma anche
come cani da guardia! Sono più grandi dei gatti normali e sono fortissimi,
molto affezionati ai padroni. Vedrai, ti piaceranno!»
Loraisan era un bambino fragile e debole, dopo poco tempo
dovette fermarsi lungo la salita. Sua madre e sua sorella gli permisero di
riposare un poco, poi ripresero. Fecero altre due soste lungo la salita, per
lasciar dare fiato al bambino.
Riuscirono comunque ad arrivare all’eremo prima dell’ora di
pranzo.
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