Nel pomeriggio, Loraisan aiutava le Spose di Sin nei loro
lavori, in genere in cucina oppure negli orti, nei frutteti e nei vigneti.
Dopo la cena, le monache si ritiravano di nuovo nelle loro
stanze, e così doveva fare anche Loraisan, che prima di addormentarsi leggeva
qualcosa.
Il bambino scoprì che era un bel vantaggio dormire da solo.
Avere una camera solo per sé, tutta per sé, lo faceva sentire bene, anche se il
buio e il silenzio della notte erano ancora più spaventosi per lui.
A una certa ora passava una delle consorelle a dirgli che
era ora di dormire, e per lui quello era il momento più brutto della giornata,
quella in cui tutti i terrori senza nome lo assalivano.
La monaca richiudeva gli sportellini della lampada perenne,
e solo una sottile linea di luce azzurra rischiarava debolmente la piccola
stanza, perché anche le ante della finestra venivano chiuse.
Se non si addormentava prima e se aveva il coraggio di
muoversi, si alzava dal letto e apriva un poco gli sportellini della lampada
perenne, quel tanto che bastava perché la luce azzurrina scacciasse le ombre e
mostrasse che nella stanza non c’erano spiriti, né esseri mostruosi. Così
poteva addormentarsi più facilmente.
La stanza di Loraisan era al primo piano, così come lo era
nella fattoria dei Ferstran.
In qualche modo, lo aiutava a sentirsi più sicuro. Ma il
pensiero di ciò che si poteva annidare fuori, nel buio della notte, funestava
comunque i suoi momenti prima di addormentarsi, o le ore di insonnia che a
volte trascorreva paralizzato dal terrore nel suo letto.
Fuori, era sicuro, si annidavano le Presenze dell’Ignoto.
Senza nome, senza volto, ma terrificanti.
Perché il suo primo terrore era che potessero svelarsi. Il
secondo, che potessero raggiungerlo.
E il pensiero di dove si trovasse, aumentava il suo terrore.
La finestra della sua stanza non dava sul cortile interno, ma sull’esterno
dell’eremo, verso nord-ovest, dove l’arco delle Montagne della Luna tendeva
verso la grande catena delle altissime Montagne Albine e confinava con la
grande pianura dove scorreva l’Eydin. A poca distanza, sotto la finestra,
cominciava il bosco di lecci. Il bosco di alberi scuri, dove la luce del sole
sembrava non riuscire a illuminare le ombre del sottobosco, per quanto fosse
sfolgorante. Se era inquietante di giorno, di notte per Loraisan doveva essere
la porta stessa degli Inferi.
Lì, nel bosco, sicuramente si nascondevano chissà quali
orrori notturni. Spiriti maligni, demoni della notte e degli inferi, vomitati
dall’Orkhun, streghe e stregoni che compivano malefici, spiriti dell’aldilà,
che non avevano potuto varcare l’infero fiume Styx perché incapaci di
allontanarsi dal mondo della carne, e perciò di notte vagavano sulla Madre
Terra, tormentate ed inquiete, desiderose di bere il sangue dei viventi, per
assumere una parvenza di vita terrena.
Alla loro testa, avanzavano divinità spaventose, gli “Dei
avvolti dalle tenebre” di cui parlavano con reverente timore i sacerdoti
aruspici.
Divinità oscure come il Grande Capro Nero, l’ebbro Fuflun,
con i loro cortei di esseri demoniaci e Sileni ubriachi, di streghe invase
dalle droghe e impazzite per il desiderio di sangue, mostri orribili come i
Basilischi Bianchi dei Nani, i Sagusei delle profondità risaliti dai fiumi, e
il terribile Cthuchulcha dalla chioma di tentacoli e dal becco ricurvo e dalle
grandi ali membranose, e per finire i Demoni dalle Ali Nere, che le vecchie
contadine in paese dicevano essere comparsi anni prima nella notte proprio là,
dalle parti di Monte Leccio.
Una volta Loraisan aveva chiesto al vecchio Prukhu che
aspetto avessero quei demoni senza nome, ma lui l’aveva guardato con improvviso
spavento, e poi arrabbiandosi gli aveva detto di non nominarli più, e di non
chiedere mai niente di loro, per non evocare la loro maledetta presenza.
Da allora, Loraisan ebbe il terrore persino di pensarli.
Credeva che immaginandoseli anche solo fuggevolmente, in qualche modo li
avrebbe evocati, e se li sarebbe trovati davanti.
Steso nel suo letto ad attendere il sonno, se gli venivano
in mente Quelli dalle Ali Nere serrava gli occhi e quasi tratteneva il respiro
nel tentativo di non pensare a loro, ma il terrore ovviamente lo spingeva a
rivedere la loro immagine scolpita nella mente, così come gli erano stati
descritti.
Esseri giganteschi, completamente neri, senza volto, senza collo, con un
corpo simile a quello umano, ma enorme, massiccio, peloso come quello di un
Sileno, le grandi ali membranose a
Nessun commento:
Posta un commento