mercoledì 19 aprile 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 371° pagina.


Nel pomeriggio, Loraisan aiutava le Spose di Sin nei loro lavori, in genere in cucina oppure negli orti, nei frutteti e nei vigneti.

Dopo la cena, le monache si ritiravano di nuovo nelle loro stanze, e così doveva fare anche Loraisan, che prima di addormentarsi leggeva qualcosa.

Il bambino scoprì che era un bel vantaggio dormire da solo. Avere una camera solo per sé, tutta per sé, lo faceva sentire bene, anche se il buio e il silenzio della notte erano ancora più spaventosi per lui.

A una certa ora passava una delle consorelle a dirgli che era ora di dormire, e per lui quello era il momento più brutto della giornata, quella in cui tutti i terrori senza nome lo assalivano.

La monaca richiudeva gli sportellini della lampada perenne, e solo una sottile linea di luce azzurra rischiarava debolmente la piccola stanza, perché anche le ante della finestra venivano chiuse.

Se non si addormentava prima e se aveva il coraggio di muoversi, si alzava dal letto e apriva un poco gli sportellini della lampada perenne, quel tanto che bastava perché la luce azzurrina scacciasse le ombre e mostrasse che nella stanza non c’erano spiriti, né esseri mostruosi. Così poteva addormentarsi più facilmente.

La stanza di Loraisan era al primo piano, così come lo era nella fattoria dei Ferstran.

In qualche modo, lo aiutava a sentirsi più sicuro. Ma il pensiero di ciò che si poteva annidare fuori, nel buio della notte, funestava comunque i suoi momenti prima di addormentarsi, o le ore di insonnia che a volte trascorreva paralizzato dal terrore nel suo letto.

Fuori, era sicuro, si annidavano le Presenze dell’Ignoto. Senza nome, senza volto, ma terrificanti.

Perché il suo primo terrore era che potessero svelarsi. Il secondo, che potessero raggiungerlo.

E il pensiero di dove si trovasse, aumentava il suo terrore. La finestra della sua stanza non dava sul cortile interno, ma sull’esterno dell’eremo, verso nord-ovest, dove l’arco delle Montagne della Luna tendeva verso la grande catena delle altissime Montagne Albine e confinava con la grande pianura dove scorreva l’Eydin. A poca distanza, sotto la finestra, cominciava il bosco di lecci. Il bosco di alberi scuri, dove la luce del sole sembrava non riuscire a illuminare le ombre del sottobosco, per quanto fosse sfolgorante. Se era inquietante di giorno, di notte per Loraisan doveva essere la porta stessa degli Inferi.

Lì, nel bosco, sicuramente si nascondevano chissà quali orrori notturni. Spiriti maligni, demoni della notte e degli inferi, vomitati dall’Orkhun, streghe e stregoni che compivano malefici, spiriti dell’aldilà, che non avevano potuto varcare l’infero fiume Styx perché incapaci di allontanarsi dal mondo della carne, e perciò di notte vagavano sulla Madre Terra, tormentate ed inquiete, desiderose di bere il sangue dei viventi, per assumere una parvenza di vita terrena.

Alla loro testa, avanzavano divinità spaventose, gli “Dei avvolti dalle tenebre” di cui parlavano con reverente timore i sacerdoti aruspici.

Divinità oscure come il Grande Capro Nero, l’ebbro Fuflun, con i loro cortei di esseri demoniaci e Sileni ubriachi, di streghe invase dalle droghe e impazzite per il desiderio di sangue, mostri orribili come i Basilischi Bianchi dei Nani, i Sagusei delle profondità risaliti dai fiumi, e il terribile Cthuchulcha dalla chioma di tentacoli e dal becco ricurvo e dalle grandi ali membranose, e per finire i Demoni dalle Ali Nere, che le vecchie contadine in paese dicevano essere comparsi anni prima nella notte proprio là, dalle parti di Monte Leccio.

Una volta Loraisan aveva chiesto al vecchio Prukhu che aspetto avessero quei demoni senza nome, ma lui l’aveva guardato con improvviso spavento, e poi arrabbiandosi gli aveva detto di non nominarli più, e di non chiedere mai niente di loro, per non evocare la loro maledetta presenza.

Da allora, Loraisan ebbe il terrore persino di pensarli. Credeva che immaginandoseli anche solo fuggevolmente, in qualche modo li avrebbe evocati, e se li sarebbe trovati davanti.

Steso nel suo letto ad attendere il sonno, se gli venivano in mente Quelli dalle Ali Nere serrava gli occhi e quasi tratteneva il respiro nel tentativo di non pensare a loro, ma il terrore ovviamente lo spingeva a rivedere la loro immagine scolpita nella mente, così come gli erano stati descritti.
Esseri giganteschi, completamente neri, senza volto, senza collo, con un corpo simile a quello umano, ma enorme, massiccio, peloso come quello di un Sileno, le grandi ali membranose a

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