«Ma quelle sono solo leggende!» rispondevano tutte, anche se
i loro occhi tradivano che anche loro temevano che fossero storie vere.
Loraisan chiedeva loro perché se non erano leggende i Demoni
Oscuri dell’Orkhun, allora non lo fossero neanche i mostri delle leggende
popolari.
«Perché i Demoni Oscuri sono opera di Nostra Signora della
Luce, e i mostri delle leggende no». Questa era la semplice e diretta risposta
di tutte quante. La risposta che sicuramente anche loro si ripetevano, ogni
volta che dovevano affrontare il buio della notte.
Una spiegazione che per Loraisan non significava niente.
Forse che i Basilischi Bianchi non esistevano solo perché la
dottrina del Nunarsha Silal non ne parlava? Eppure i Nani esistevano realmente,
anche se non adoravano Sil. Fu quella la prima vera occasione per Loraisan di
rendersi conto che la dottrina della religione in cui veniva allevato non aveva
risposte sufficienti per lui. E in effetti, come la tradizione religiosa poteva
dimostrare da sola l’esistenza di una cosa oppure no? Lui voleva certezze,
voleva qualcosa che lo rassicurasse totalmente, che fugasse da lui ogni
possibile dubbio. La fede, per sua natura, non poteva che esporlo al dubbio.
Perché la fede non è conoscenza, e solo essa dà certezze.
Questo pensiero non appariva ancora chiaramente nella sua
mente, ma sarebbe divenuto imperante molti anni dopo, quando sarebbe divenuto
adulto.
Però Loraisan non demordeva, voleva che almeno una delle
monache sacerdotesse riuscisse in qualche modo a rassicurarlo, che magari gli
insegnasse un modo efficace per scacciare per sempre gli esseri misteriosi di
cui sentiva sempre la presenza senza mai vederli. Lui non aveva mai visto né
sentito niente, eppure sentiva che c’erano, che ogni volta che si trovava da
solo rimanevano in agguato in un angolo nascosto, che lo osservavano
continuamente e aspettavano solo di apparirgli di fronte e a saltargli addosso,
forse a portarlo via, o ad ucciderlo. Oppure semplicemente l’avrebbero fatto
morire di spavento apparendogli di fronte, in tutto il loro orrore. Perché, ne
era sicuro, dovevano essere davvero spaventosi. Insopportabili allo sguardo.
Per quanto si sforzasse di pensare che potevano essere solo
una sua immaginazione, non poteva non sentirne la presenza. Non riusciva in
nessun modo a convincersi che non c’erano. Loro
c’erano, lo sentiva. Sempre.
Finché un giorno si trovò a parlare con una monaca un po’
particolare, la più vecchia di tutte. La maggior parte delle kametheina dell’eremo erano della stessa
giovane età di Harali, o ancora più giovani, come Eukeni. Molte erano lì solo
per il triennio monastico, poche avevano preso la decisione di viverci per
sempre, altre erano ancora indecise.
Ma Ravinthi Thesanzamatiakh era molto più vecchia delle
altre, aveva più di cinquant’anni. Era una donna che aveva vissuto la maggior
parte della sua vita come quella di una qualsiasi contadina, sorella minore di
una matriarca di una fattoria vicino ad Aminthaisan. Ma era stata una vita piuttosto
infelice. I suoi figli erano tutti nati morti o erano mancati ancora bambini, e
alla fine, superata l’età feconda, aveva deciso di entrare in quel nuovo ordine
monastico per compensare in qualche modo il vuoto lasciatogli dalla sua
maternità mancata, che la faceva guardare dai parenti e dalla gente di paese
con un misto di pietà e di disprezzo. Perché una donna che aveva visto morire
tutti i suoi figli in tenera età o alla nascita, doveva essere una donna
maledetta dagli Dei.
La mentalità matriarcale dei Thyrsenna, sotto questo punto
di vista, poteva essere anche peggiore di quella di una società patriarcale,
poiché una madre senza figli era vista come un arco senza frecce, un albero
senza frutti e foglie, una donna a metà, priva del suo potere più grande:
quello di dare la vita.
Per questo, certe lingue maligne in paese dicevano che era
stata lei stessa a far morire i suoi figli, sacrificandoli a qualche divinità
oscura per ottenerne in cambio favori e poteri magici. Perciò, su di lei pesava
la fama di essere una strega.
Forse, anche per quello aveva deciso alla fine di
rinchiudersi in un monastero, dimostrando la sua integrità e sottraendo la sua
persona al sospetto e al disprezzo.
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