domenica 30 aprile 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 376° pagina.


Ma a dire il vero Loraisan era pieno di paure anche quando andava in giro sotto la luce del sole in mezzo alla strada. Aveva paura di incontrare qualche cane rabbioso o anche solo ostile, o di incontrare bambini più grandi di lui, che potessero fare i prepotenti e picchiarlo, o anche solo prenderlo in giro perché era così gracile e timido.

Ma mentre il sole calava sulla pianura, sulla strada non incontrò quasi nessuno, a parte qualche contadino che tornava dal lavoro. Una volta sola fece un incontro che lo colpì.

Incontrò un uomo dall’aspetto strano e un ragazzo che andavano a piedi in direzione contraria, verso Aminthaisan.

L’uomo aveva lunghi capelli rosso carota, dello stesso acceso colore del pelo di Menkhu, e sulle robuste braccia nude spiccavano degli strani tatuaggi bluastri, a forma di spirali e svastiche dagli uncini a falce di luna, o a ruote di carro. La barba caprina, composta in una lunga e sottile treccia, era di un rosso ancora pù fiammante, dalla tinta d’ambra.

Un nordico.  Era la prima volta che Loraisan ne vedeva uno in vita sua, ma sapeva che nel Veltyan ne vivevano parecchi, immigrati dalle boscose terre oltre le Montagne Albine, attirati dalle calde terre del Veltyan e dall’opulcenza della civiltà, o prigionieri di guerra ridotti in schiavitù.

Loraisan si chiese a quale delle due categorie appartenesse, poi notò il cerchio d’oro alchemico alla caviglia sinistra dell’uomo, e capì che era uno schiavo di qualche nobile famiglia.

E chi gli camminava al fianco, un ragazzo dell’apparente età di dodici o tredici anni, doveva essere il figlio dei nobili padroni che glielo avevano affidato. Forse stavano andando o tornando da una visita ad un’altra famiglia patrizia. Ovviamente non si poteva lasciar andare il figlio di un nobile da solo. Loraisan provò invidia per il ragazzo, che aveva sempre accanto la presenza di un adulto a proteggerlo.

Strano però che non andassero a cavallo, ma a piedi come dei comuni plebei.

L’uomo sorrise a Loraisan e alzò la mano sinistra, e il bambino si sentì sollevato, dopo essersi spaventato alquanto nel momento in cui aveva visto lo strano aspetto del nordico.

Parte della sua paura era dovuta ai pregiudizi dei Thyrsenna nei confronti dei nordici. Dopo aver sentito spesso racconti di invasioni di tribù dai capelli rossi, selvagge e spietate, era naturale che vedere poi dal vivo un membro di queste genti quasi mitiche potesse suscitare timore.

Poi successe qualcosa che sconcertò Loraisan. Quando l’uomo fu più vicino, il sorriso gli si spense improvvisamente sulle labbra.

La sua espressione si mutò da cordiale a spaventata, prese subito per mano il ragazzo che accompagnava e gli fece cenno di affrettarsi, poi senza più guardare Loraisan passò sull’altro lato della strada, e solo una volta superatolo si voltò di nuovo a guardarlo con espressione spaventata.

Loraisan rimase sconcertato. Quell’uomo straniero, grande e grosso, dall’aspetto temibile, l’aveva guardato con paura. Gli pareva assurdo. Non riusciva a immaginare cosa potava avere visto in lui per spaventarsi a tal punto da affrettare il passo per allontanarsi.

Mentre guardava le due figure con i loro mantelli rossi che si allontanavano, Loraisan formulò una catena di pensieri in base a quello che gli avevano raccontato degli Uomini del Nord, ed ebbe un’intuizione. Forse, quell’uomo straniero, quel selvaggio che veniva da regni oscuri e freddi, dominati da riti belluini e violenti, da terre di foreste e belve feroci, di sacrifici umani e lotte sanguinose, di stregonerie blasfeme e orrende, di costumi di vita bestiali e crudeli, aveva visto in lui qualcosa di demoniaco che in qualche modo conosceva bene. Forse aveva avvertito la presenza di una forza oscura, con il suo istinto subumano, tipico di una razza degenerata al limite fra l’uomo e la bestia. Forse aveva sentito la presenza del suo corrotto farthankar, quello che inavvertitamente Loraisan aveva evocato di fronte alla statua di Sethlan, manifestando l’orrendo mostro con l’occhio bianco nella mano nera.

Mentre si avviava di nuovo verso casa, si sentì i brividi correre lungo la schiena e il cuore in gola, pensando che le Presenze dell’Ignoto erano legate invincibilmente alla sua persona, e che non solo lo sentiva lui, ma che lo sentivano anche alcuni esseri, come i gatti valgiglini, o i selvaggi nordici.

Si ripromise di parlarne alla Reverenda Madre Ravinthi non appena fosse tornato all’eremo.

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