domenica 16 aprile 2017

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 369° pagina.


famiglia, non facevano altro che ripetere: «È la cosa migliore per lui. Avrà tante persone buone che lo seguono, avrà una persona sapiente ed importante che lo istruirà ad un futuro migliore per lui e anche per tutti noi. E inoltre imparerà a non stare troppo attaccato alle tuniche di sua madre. E poi ci sarà accanto sua sorella maggiore, che è già una ragazza adulta. Sarà in un ambiente sicuro e protetto e soprattutto lontano da cattive compagnie. È la sistemazione perfetta per lui».

Syndrieli e Larsin ogni volta rispondevano: «Sì, sì, certo, come no. È la scelta migliore. Bisogna essere contenti». Ma il tono della loro voce, il loro sguardo dicevano qualcosa d’altro.

D’altra parte, glielo avevano sempre detto tutti, che erano troppo attaccati a quel bambino.

Forse, dopo tre o quattro anni sarebbe tornato a casa. O forse sarebbe andato a studiare in quell’altro ordine monastico maschile che Harali diceva di voler fondare. E allora forse non lo avrebbero visto fino alla maggiore età, cioè a sedici anni. E dopo forse sarebbe andato a studiare alle Alte Scuole di Enkar, a meno che ad Harali non fosse venuto in mente di fondare un’Alta Scuola anche ad Arethyan. Capacissima di farlo, in fin dei conti. Pareva che l’ordine delle Spose di Sin, grazie alle corde d’ambra, stesse diventando ricca sfondata.

E allora sarebbe stato ancora più lontano, e per tutto il corso di studi non l’avrebbero visto quasi mai, e magari dopo avrebbe anche deciso di rimanerci, in città, come capitava a tanti giovani studenti. E allora l’avrebbero visto solo nelle feste annuali.

Il guaio delle famiglie rigidamente matriarcali delle campagne dei Thyrsenna era che i figli vivevano tutta la loro vita assieme alle madri, e l’idea stessa di un figlio che si separava permanentemente dalla madre suonava come qualcosa di innaturale, come una sorta di tradimento.

Questo, comunque, se tutto fosse andato per il verso giusto. Perché se invece Loraisan non si fosse dimostrato un bravo studente, ma veramente bravo, allora sarebbe tornato a vivere in casa di sua madre e il suo destino non sarebbe stato diverso da quello di qualsiasi altro ragazzo di campagna del Veltyan, vivendo tutta la sua vita con la madre, i fratelli e le sorelle, gli zii, le zie e i cugini.

Una parte di Syndrieli quindi sperava che Loraisan non si dimostrasse quel bambino straordinariamente intelligente che sembrava essere.

Inoltre, c’era una punta di gelosia nei suoi contrastanti sentimenti. Era inevitabile che si chiedesse perché la Reverenda Madre Harali Frontiakh fosse così interessata a suo figlio. Certo, lei le aveva spiegato che quando Eukeni le aveva detto che il suo fratellino era l’allievo dell’infedele Velthur Laran, lei si era sentita in dovere di dargli un’istruzione che fosse più consona alle tradizioni religiose. E sul momento, Syndrieli aveva pensato che la sua generosa sollecitudine per un famigliare di una delle sue adepte nascondesse degli intenti vendicativi contro il medico, perché da molto tempo circolavano storie su una segreta acredine fra i due rinomati personaggi. Un’acredine che, si diceva, risaliva alla morte del misterioso Aralar Alpan.

Ma poi, osservando come Harali guardava Loraisan, Syndrieli aveva intuìto qualcos’altro, come una segreta passione. Gli sembrava che quella donna senza figli, che aveva rinunciato ad essere madre per dedicarsi solo a Sin, volesse compensare questo vuoto adottando Loraisan, tenendolo per sé, allontanandolo dalla sua famiglia.

Syndrieli era una donna semplice, ma astuta. Intuiva troppo bene la natura umana per non capire quali erano le motivazioni più elementari, più istintive delle persone. Perlomeno di quelle umane.

Ma questo sospetto non unfluì sulla sua decisione. Bene o male, il bene di Loraisan e di tutta la famiglia veniva prima di tutto.

Così Loraisan, dopo qualche giorno dalla prima visita all’eremo delle Spose di Sin, vi ritornò accompagnato dalla sorella Eukeni.

Il bambino non aveva più così paura di doversene andare via di casa. Era quello che aveva visto nel laboratorio alchemico dell’eremo, che aveva fatto nascere in lui un entusiasmo che era riuscito a ricacciare indietro, almeno in parte, il timore per il mondo fuori della casa in cui era nato.

Lui stesso si sorprese che non ebbe difficoltà ad adeguarsi alla vita dell’eremo e alle sue regole. E dopo un po’ cominciò anche a provarci gusto.

L’iniziale diffidenza dei gatti si dissolse a poco a poco.

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