Fu contento di aver trovato una scusa così buona per non
parlare di ciò che aveva visto e che non riusciva a confessare, da tanta paura
gli aveva fatto.
L’orgoglio del vecchio veterano combattente aveva avuto la
meglio, anche se probabilmente nessuno, né della sua famiglia né alcun abitante
dei dintorni l’avrebbe biasimato per questo.
Perun non volle tornare a casa con sua madre, ma rimase con
suo padre, appoggiato insieme a lui a uno dei noci che fiancheggiavano il
sentiero che andava dalla Polenta Verde alla fattoria.
Circa un’ora dopo cominciarono ad apparire i primi chiarori
sopra le montagne ad oriente. Le giornate erano ancora lunghe. Nelle altre
fattorie, i contadini cominciavano ad alzarsi per andare al lavoro nei campi.
Ma quella degli Akapri era una fattoria isolata, sicuramente nessuno poteva
essersi accorto di quello che era successo quella notte.
Maxtran era rimasto sveglio a fare la guardia, mentre Perun
era riuscito a dormire accucciato sull’erba.
Il padre lo svegliò però solo quando ormai il chiarore del
crepuscolo era molto avanzato.
«Padre, cosa facciamo adesso? Davvero vuoi che vada a chiamare
solo Larsin Arayan?».
«Non lo so cosa sia meglio fare. Larsin deve rendere conto
alla vecchia matriarca dei Ferstran, che non conosco molto bene. So solo che è
una donna forte e decisa, e se coinvolgiamo Larsin, lei vorrà sapere tutto
quello che succede».
«Ma di cosa hai paura, padre? Il terreno è nostro, la legge
ci riconosce la proprietà di tutto quello che possiamo trovare su di esso. Non
sappiamo neanche cosa abbiamo trovato. Magari riusciamo a nascondere questa
entrata fino a quando non abbiamo modo di decidere cosa fare».
Maxtran rimase a guardare l’entrata della galleria che aveva
sorvegliato nel buio della notte, quasi temendo che potesse uscirvi una
minaccia ignota, mentre il figlio gli parlava, poi si alzò di scatto.
«Vado dentro! Tu aspettami qui! Vado in fondo alla galleria,
do un’occhiata a quello che c’è, e poi torno. Se non mi vedi tornare dopo un
po’, chiama aiuto».
«Che cosa hai visto là dentro, padre? Dimmi la verità».
«Te lo dirò quando sarò tornato!».
Prese la lampada perenne e si fiondò di nuovo in fondo alla
gradinata. Aveva paura, come ne aveva avuto quando, nel freddo dei passi delle
montagne settentrionali aveva dovuto affrontare le bande di predoni barbari che
calavano dal nord per saccheggiare le più estreme province del Regno Verde.
Ma questa volta non affrontava le sue paure per salvarsi la
vita e salvarla alla sua gente, ora doveva farlo per il miraggio della
ricchezza, per lui e per la sua famiglia, che prima non aveva mai osato
inseguire.
Varcò la soglia con l’arco di pietra e di nuovo la testa di
toro o di bufalo lo salutò con il sinistro bagliore di rubino dei suoi occhi.
La galleria era ampia, alta più di quattro metri, e larga
almeno cinque. Non seppe dire quanto fosse lunga, ma aveva la convinzione che
arrivasse esattamente sotto la sommità dalla Polenta Verde.
Vide di nuovo il chiarore rosso-arancio e tremulo, uguale
identico a come lo aveva visto prima, e di nuovo ebbe la netta impressione che
si trattasse di una specie di fiamma. Non era certamente una lampada perenne, e
se lo era, non aveva nulla a che fare con quelle dei Thyrsenna.
Le leggende antiche sull’era antidiluviana non dicevano se
in quel tempo erano esistite le lampade perenni, ma lui non conosceva i testi
degli antichi, e si maledisse per questo.
Forse, se fosse stato una persona colta come il dottor
Laran, avrebbe saputo a cosa stava andando incontro, e se si trattava di
qualcosa di pericoloso o meno.
Mentre si avvicinava, si aspettava di vedere ancora quella
sagoma nera di gatto, che non aveva visto uscire dalla galleria, e quindi
doveva ancora trovarsi là dentro. Ma adesso non era più tanto sicuro di averlo
veramente visto, o se invece era stata un’ombra rifoggiata dal suo terrore per
l’ignoto.
Si trovava a pochi metri di distanza dalla fine della galleria,
quando la sua vista poté finalmente distinguere i particolari di quello che
stava aldilà. C’era una sorta di grande pietra geometrica, un parallelepipedo
largo e basso, ricoperto di iscrizioni simili a quelle che aveva visto sulla
lastra.
Quello che era singolare, però, era il suo colore simile
all’ambra. Infatti brillava di straordinari riflessi, perché era trasparente,
percorso da venature torbide.
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