Polenta Verde e a chiamarla così. E neanche loro si erano
accorti di niente… fino a ieri! Ma ai tempi in cui fu costruita, non doveva
essere semplicemente una tomba che era stata sigillata subito dopo la sepoltura
del Gigante. Era un tempio, un santuario frequentato dalla gente che vi veniva
ad adorare Silen e il Gigante. Vedete le ultime scene dei bassorilievi?
Mostrano la gente in adorazione qui dentro.
La lastra di pietra che ha sigillato il luogo, deve essere
stata posta molto tempo dopo, forse un poco prima del Diluvio, proprio per
proteggerlo, forse».
«Il Tinsina Entinaga dice
che a quel tempo, prima del Diluvio, la gente non ebbe nessun sentore della
catastrofe. Vivevano, si sollazzavano, si godevano la vita e perpetravano il
male senza preoccuparsi dell’avvenire, sicuri di rimanere a lungo su Kellur.
Solo il saggio re Manowa, il nostro
Padre ancestrale, fu avvertito dal Dio dell’Abisso che sarebbero giunte le
acque del Diluvio, e perciò solo lui e la sua gente poterono prepararsi al
cataclisma e salvarsi, e i pochi pastori e montanari ignoranti che poterono
salvarsi in cima alle montagne».
«Chissà…. forse non c’era solo Manowa a saperlo, o forse è
stato lui stesso a far chiudere questo santuario!».
«Il Tinsina Entinaga dice anche il re Manowa venne,
con la sua Arca della Salvezza, dall’Estremo Meridione oltre il Grande Oceano,
dalla terra di Amentur. Non viveva qui, prima del Diluvio. Anzi, non venne qui
neanche dopo il Diluvio, fu suo nipote Ankhaymon a giungere per la prima volta
nel Veltyan e diventare il nostro antenato….».
Velthur sapeva che quella era anche l’occasione per lo
scontro con l’ottusità dei sacerdoti.
«Forse il Tinsina
Entinaga non dice tutta la verità…. forse qui scopriremo molte cose che non
sono state scritte in quel libro».
«Ve lo lascio dire, perché so che siete un infedele, un
miscredente irrecuperabile. Ma non pensiate che io sia disposto a credere che
qui troveremo qualcosa che vada contro i testi che i nostri antenati ci hanno
lasciato per volere degli Dei, in cui voi non credete».
«Oh, io non pretendo certo di convincervi di niente.
Semplicemente, spero che queste iscrizioni ci dicano cose che prima non
sapevamo. Staremo a vedere, sarà un lungo studio….».
«Invece di pensare a ciò che potrebbe succedere in futuro,
io penso a ciò che deve succedere fra poco. Domani mattina mi recherò io stesso
ad Enkar, e chiederò udienza agli Shepenna per informarli di ciò che è stato
scoperto qui. Chiederò che questo santuario venga dichiarato monumento storico e
luogo di culto, e mi occuperò personalmente di celebrare i riti per onorare
Silen…..».
«E cercherete di attirare pellegrini a man bassa per
guadagnare un bel po’ di soldi da spartire con gli Akapri, con i quali in ogni
caso dovrete fare i conti….».
«Sempre che non vogliano vendere la proprietà…..».
«Per che cifra, Reverendo Padre? Crede di poterli
imbrogliare? Avrebbero capito da soli l’importanza di quello che hanno, anche
se non glielo avessi detto io!».
«Ci potete giurare, dottore! E adesso posso dirlo: questo
posto ce lo terremo ben stretto, perché è un regalo che è stato fatto a noi, da
una Fata in persona!».
Il gruppo di autorità rimase in silenzio, mentre prima
parlavano fra di loro concitati ed emozionati. La voce di Maxtran aveva
sopravanzato tutte le altre, risonando nella cupola, e dando alle sue parole un
tono da decreto divino e sacro.
Inoltre, alle autorità del Veltyan, di qualsiasi tipo, non
faceva mai piacere sapere che in una qualsiasi questione vi entrassero le Fate.
La prima a rompere il silenzio fu l’alkati Kaper.
«… come, scusate? Questo posto vi è stato regalato da una Fata? In che senso, dato
che era già di vostra proprietà?».
A quel punto, Maxtran vuotò il sacco. Parlò dello scialle fatato che
aveva trovato in cima a Monte Leccio, della Fata che era venuta due notti prima
a chiedere indietro lo scialle in cambio di un regalo, cioè della rivelazione
dell’ubicazione di qualcosa di prezioso nascosto nel terreno, e di come li
aveva condotti proprio all’ingresso del santuario sotterraneo, dicendo loro di
scavare ma senza
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