Seduta nel cocchio sotto il baldacchino, muovendo
ininterrottamente il suo ventaglio, l’alkati chiedeva il parere del dottore,
nel tentativo di poter valutare in qualche modo la situazione ancor prima di
arrivare alla Polenta Verde.
«Dottore, voi che siete una persona così colta…. pensate di
poter valutare il valore di questo presunto tempio sotterraneo?».
«Non sono un esperto di oggetti antichi, signora Kaper, ma
penso di poter dire che, se è vero tutto quello che Maxtran dice, e penso che
sia sincero, ci troviamo di fronte forse al più grande ritrovamento dei tempi
antidiluviani che siano mai stati scoperti in tutto il Veltyan».
«Significa dunque che potremmo diventare una delle località
più famose e rinomate di tutto il Regno Verde?».
«Decisamente sì, se
è vero quello che ci ha raccontato Maxtran».
L’alkati si sentì temporaneamente soddisfatta. Si rilassò
sul suo sedile e cominciò a meditare e progettare il futuro, domandandosi se
sarebbe stato possibile espropriare la famiglia Akapri e farne una proprietà
dello Stato che, naturalmente, sarebbe stata amministrata da lei.
Dentro di sé, Velthur invece pensava a come fare per metterle
i bastoni tra le ruote, dato che sapeva benissimo cosa stava meditando la
vecchia arraffona.
Quando arrivarono alla fattoria degli Akapri, trovarono i
coniugi Kalpur che stavano seduti nel portico di fronte al cortile, conversando
con Larthi che aveva servito loro acqua, cibo e vino.
«Finalmente siete arrivata, alkati!» la salutò il sacerdote
Atar, alzando faticosamente il suo grosso e grasso corpo dalla sedia del
portico.
«Reverendo Padre, quando succede qualcosa nei villaggi, i
sacerdoti sono i primi a saperlo e gli alkati gli ultimi. Se fossi stata la
prima ad essere avvertita, potreste giurarci che sarei già stata qui da
parecchio tempo!».
«Suvvia, mia cara signora Kaper, sappiate che non siamo
neanche andati a vedere da soli questo tempio favoloso di cui parlano i qui
presenti Akapri, solo per aspettare la vostra venuta».
«E come mai? Non avevate fretta di sapere se si trattava
davvero di un luogo sacro, da onorare degnamente per non attirare l’ira della
divinità che lo possiede?».
Atar allargò le braccia, con un sorriso pacioso e paciere
sulla lunga barba sale e pepe.
«Ma perché si tratta di una cosa così eccezionale che
dovremo pure decidere assieme che cosa fare di questa grande scoperta!».
Poi si voltò reverente verso Larthi.
«Intendo… con l’accordo e il permesso dei qui presenti
proprietari della scoperta, beninteso!».
«Bene, allora non perdiamo altro tempo. Sono molto ansiosa
di vedere questo luogo favoloso!».
Maxtran, che aveva preceduto il cocchio dell’alkati a cavallo, era già giunto
all’entrata del tempio, dove il figlio minore di sedici anni, Haral,
sorvegliava il luogo.
Quando si trovarono tutti là, la sacerdotessa Alixi disse:
«Dovremo davvero entrare in quel buco oscuro in fondo a quelle scale? Sembra
l’entrata all’Orkhun! Non c’è pericolo di crolli?».
«Reverenda Madre, facciamo così. Prima scenderà Maxtran
Akapri con i gendarmi, seguiti da me e dal dottore, e voi e il vostro augusto
consorte ci seguirete quando vi avremo assicurato che non sembrano esserci
pericoli…. o se preferite, restate pure qui voi e lasciate andare il Reverendo
Padre, ché tanto basta un solo sacerdote per officiare il rito di benedizione».
Il tono canzonatorio dell’alkati indispettì e offese la
sacerdotessa quel tanto che bastava per far sì che il suo orgoglio battesse i
suoi timori.
«No, procedo io e mio marito con i gendarmi, e voi, alkati,
procedetemi dietro! Come avete detto voi stessa, siamo stati noi i primi a
venire avvertiti, come era giusto che fosse!».
Maxtran bisbigliò nell’orecchio di Velthur.
«Non sapevo che ci fosse così poca amicizia fra l’alkati e i
sacerdoti….».
«Mio caro amico, credo che i Kalpur detestino l’alkati più
di quanto detestano me, anzi sicuramente. Io sono solo seguace di un’altra
religione, in fin dei conti, ma l’alkati ha il triplo dei soldi e dei beni che
hanno loro….».
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