sabato 28 maggio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 102° pagina.


Ogni giorno prego che stia bene, che cresca sano. Ormai lo considero come un nipote mio. Voglio essere io il suo zio-tutore, anche se non c’è nessuna consanguineità. Ma avrà bisogno di qualcuno che gli faccia da zio, o da padre. Sono stato io a trovare sua madre in quella strana barca, e quindi penso di avere il diritto di poter provvedere al suo futuro. Tra l’altro, se devo raccontare in giro che Thymrel è una mia cugina, di fatto anche per la legge e per la tradizione sono il tutore del suo bambino».

Per i Thyrsenna di campagna, la figura dello zio materno era più importante di quella del padre, a causa delle tradizioni matriarcali che presso i contadini del Veltyan erano più forti che in città.

«Domani vengo a vederlo. Ci tengo anche io a quel bambino, come a sua madre. Thymrel ti sembra felice, serena?».

«Felicissima. Non fa altro che ringraziarci tutti quanti per quello che ab abbiamo fatto per lei, perché l’abbiamo accolta nella nostra famiglia, e dice che sarà felice di cambiare il suo cognome con quello dei Ferstran, o magari con il mio: Arayan. Sinceramente, troverei giusto che assumesse il mio. Comunque, non la voglio forzare, anche se lo ho fatto capire che è importante per me potermi occupare dell’educazione di Loraisan».

«Non ha avuto comportamenti… particolari? Non ha detto niente che può essere sembrato strano, non ha parlato con voce alterata, o avuto incubi?».

«Stai ancora pensando a quello che è successo quando hai fatto quello strano esperimento su di lei? No, non ne ha più parlato, e neanche abbiamo parlato della sua amnesia o di ciò che ricorda del suo passato. Non ha più parlato della Valle dei Gigli da quel giorno in cui l’hai… ipnotizzata? Si dice così, no? In questi giorni, sono stato quasi tentato di chiederle se credeva ancora di venire dalla Valle dei Gigli. Magari le è passata questa idea. Tu dicevi che forse lei si è messa in testa di venire là perché ha paura di ricordare il suo vero passato, vero? Forse adesso si è resa conto che quello che ci ha raccontato è una fandonia. Ma poi non ho avuto il coraggio di domandarglielo, perché ho paura che ricominci a fare discorsi strani».

«Sì, forse la cosa migliore è dimenticarsi di ciò che ha raccontato e far sì che se ne dimentichi anche lei. Ma adesso mi è venuto in mente una cosa: che fine ha fatto la barca in cui hai detto di averla trovata?».

«L’ho portata a casa il giorno dopo che abbiamo trovato Thymrel nel fiume. Sono riuscito a montarla sul carrettino di uno dei fratelli di Syndrieli, e l’ho trasportata fino a casa nostra con l’aiuto del nostro asino. L’ho sistemata sul retro di casa nostra, accanto all’aratro. Pensavo di venderla. È una bella barca, strana ma bella. Ma perché me lo chiedi?».

«Mi è venuto in mente che non le ho mai dato un’occhiata. Magari potrei trovarvi qualcosa che ci farebbe capire da dove è arrivata Thymrel. Mi hai detto che non hai mai visto una barca come quella».

«Sì, non ho mai visto una vernice come quella. E non c’è nessun segno sulla barca, nessun nome, nessuna decorazione, niente di niente. E la forma è diversa da quella delle nostre barche. Forse è una barca straniera».

«Già. Magari apparteneva a qualche immigrato che vive sulle montagne».

«Tu non hai rinunciato, vero? Speri sempre di poter scoprire qualcosa del suo passato, no?».

«Sì, spero sempre. Ma non voglio forzarla, non ripeterò quell’esperimento. Quando l’ho sentita parlare in quel modo…. mi sono sentito gelare il sangue».

«Si è gelato il sangue anche a me, Velthur. La mia donna non ha più dormito quella notte. Temeva che la ragazza fosse diventata un’indemoniata, e che la colpa fosse tua. Ho faticato parecchio a convincerla che non le avevi gettato addosso qualche incantesimo. Siamo poveri contadini ignoranti, Velthur.

Se Thymrel è un po’ strana a noi va bene così, non è una malata per noi, né una matta. Non si ricorda il suo passato? Pazienza. Anche Aranthi non si ricorda un sacco di cose, anche se lei ha la tarda età a giustificarla. Forse ci sta raccontando delle bugie? Pazienza. Anche i miei figli mi raccontano bugie. Lascia stare, ti dico. Oramai è un problema solo nostro, tu non c’entri niente».

«Infatti volevo dare un’occhiata solo alla barca, non a Thymrel».

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