domenica 29 maggio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 103° pagina.


«Va bene, te la farò dare, se dopo non vorrai più parlare del mistero del passato di Thymrel».

«Prometto. Se non succederà niente che possa riguardare il passato di Thymrel, io non ne parlerò più».

«Mh…. io preferirei che tu non ne parlassi più, punto e basta. Adesso c’è un bambino di mezzo, un bambino che dovrà crescere senza ombre nella sua vita».

Dentro di sé, Velthur sentì una forte frustrazione. Se Thymrel fosse vissuta in casa sua, avrebbe potuto osservarla meglio, trovare forse il modo di scoprire la verità, qualunque essa fosse. Non avrebbe dovuto rendere conto a Larsin e a Syndrieli di quello che avrebbe cercato di fare.

Una parte di lui lo faceva sentire in colpa per il suo desiderio di cercare la verità ad ogni costo, l’altra si autogiustificava con il fatto che il passato di Thymrel avrebbe potuto tornare in qualsiasi momento a riprenderla, per il solo fatto che erano successe troppe cose strane dopo la sua comparsa. E in ogni caso, cominciava a pensare che effettivamente ci fossero dei legami fra Thymrel e quello che stava succedendo.

Gli tornò in mente l’eremita, Aralar Alpan. Gli faceva paura, ma effettivamente valeva la pena tornare nel suo eremo e cercare di conoscerlo meglio. Pensava di andarlo a trovare il prossimo usiltin… se ne avesse trovato il coraggio.

Poco dopo si alzarono dal tavolo e pagarono le birre. Mentre si allontanavano dal Kranu Belz per le strade del villaggio, Larsin si voltò per guardare l’insegna dell’osteria.

«Vorrei che l’osteria cambiasse nome e insegna. Ora mi sembra troppo funesto, come luogo per stare allegri».

«Quei gatti erano grigio scuro, più che neri».

«Sai che differenza! Grigio scuri tigrati di nero! Ogni volta che vedo quell’insegna non riesco a non vedermeli di nuovo di fronte a me. Quando esco la sera di casa per controllare che sia tutto in ordine, mi aspetto sempre di vedere i loro occhi che mi guardano dal buio. Prima o poi ce li ritroveremo nei nostri campi, o per le vie del paese. Ti ricordi quanti erano? Dovevano essere decine, e probabilmente quelli che abbiamo visto noi erano solo una parte di quelli che effettivamente vivono là. Dev’essere quell’eremita balengo che li alleva. Scommettiamo che fra poco ne saremo pieni?».

«Eppure nessuno oltre a noi li ha visti, che io sappia. Ho chiesto a tutti i miei pazienti da quel giorno in poi, facendo finta di parlare del più e del meno, se per caso avevano visto quegli strani gatti, e nessuno li ha visti Certo, nessuno era passato per Monte Leccio di recente».

«In ogni caso, qualcuno deve averli portati qua, magari da qualche paese lontano. Non ho mai sentito parlare di bestie così, di gatti grossi come cani e che si comportano come se fossero addestrati. Chi mai è riuscito ad addestrare dei gatti? Chiaramente devono essere bestie straniere, che sembrano gatti ma non lo sono».

«Sono meno stranieri di quel che pensi. Io quelle bestie le conosco già, e so da dove vengono:  dalla Valle dei Gigli!».

«Mi stai prendendo per i fondelli! Stai dicendo sul serio?».

Velthur vide Larsin bloccarsi sulla via e impallidire visibilmente.

«Non ti sto prendendo in giro. È scritto in uno dei miei libri. Tu sai leggere abbastanza bene, vero? Se vuoi ti posso mostrare quel libro. Quella determinata razza di gatti viene descritta come la tipica razza di gatti selvatici della Valle dei Gigli.

I Valgiglini li usavano come cani da guardia. Erano addestrabili e molto legati ai loro padroni. Può darsi che quell’eremita li abbia portati da lì. Anche per questo quel tizio mi fa veramente paura. E ora sai perché sono tanto ossessionato dall’amnesia di Thymrel».

«Adesso hai fatto venire paura anche a me. Cioè, prima avevo paura di quelle bestie, ora ne sono terrorizzato! E adesso come farò a dormire la notte?».

«Sì, avrei dovuto stare zitto e tenermi le mie paure per me. Ma sto cominciando a non riuscirci più».

Larsin per tutta risposta si allontanò di scatto da lui, non lo guardò ma fece un gesto con il braccio e la mano tesi come dire che non voleva più sentire niente.

Non lo salutò nemmeno e si diresse deciso verso casa nella notte.

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