venerdì 13 maggio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 95° pagina.


Lo stile in cui erano stati scolpiti i bassorilievi d’ambra era quello che aveva già visto in altri reperti disegnati sui suoi libri. Una volta, a Enkar aveva visto in casa di un ricco collezionista il frammento di un vaso antidiluviano, con disegni che ricordavano quei bassorilievi.

Chiaramente, i bassorilievi narravano la storia del personaggio che era sepolto in quel luogo. Si vedevano scene di battaglie con guerrieri rivestiti da corazze di squame e placche di metallo, con elmi cornuti;  alcuni erano Giganti, altri erano Uomini. I Giganti erano i condottieri degli eserciti, e fra tutte le figure, ne spiccava una più alta di tutti gli altri, con un elmo che rappresentava una testa di toro, la testa calva quando era scoperta, e una lunga barba intrecciata.

I bassorilievi lo mostravano mentre vinceva eserciti nemici di Uomini e Giganti. Una serie di battaglie che si concludeva con il trionfo finale, con i vinti condotti nudi e in catene dietro il cocchio del vincitore che attraversava una città dalle alte torri.

Ma c’erano anche altri bassorilievi, che narravano altri episodi della vita del re o condottiero senza nome.

Una delle scene finali riguardava, a sorpresa, un Nano. Lo si vedeva chiaramente ricevuto dal condottiero gigantesco nel suo palazzo. Il Nano gli offriva un oggetto particolare, inidentificabile. Sembrava una specie di cristallo, di pietra sfaccettata in modo da sembrare un fiore, dai petali acuminati. Pareva una sorta di giglio stilizzato.

La scena seguente era ancora più enigmatica: si vedeva il Gigante che teneva in mano il presunto fiore di cristallo e lo fissava, mentre da esso sembrava promanare una sorta di nebbia, o di nuvola, che saliva in alto e in cui compariva un grande occhio, inquietante e inumano, con l’iride a cerchi concentrici.

Nella scena seguente, si vedeva la morte del Gigante, caduto a terra con un’espressione di orrore sul volto. Nella scena seguente, il Nano veniva decapitato pubblicamente.

La scena finale mostrava la sepoltura del Gigante nel mausoleo-tempio, in cui poi veniva adorato come una divinità assieme al Dio-Toro, sotto la cui immagine era stato sepolto.

Dai bassorilievi, sembrava di capire che lo considerassero un figlio, o forse un’incarnazione dello stesso Dio-Toro.

Dopo aver guardato i bassorilievi, Velthur guardò le iscrizioni. Vedeva chiaramente che si trattava dell’antico alfabeto antidiluviano, da cui derivava l’attuale alfabeto dei Thyrsenna.

Da giovane aveva imparato - più per gioco che per vero interesse - quell’alfabeto, ma dell’antica lingua antidiluviana non sapeva praticamente nulla, se non qualche parola.

Anche se la lingua thyrseniakh derivava dall’antidiluviano, c’erano stati troppi cambiamenti perché si potesse capirla con facilità, se non per qualche parola rimasta abbastanza simile.

«Bisognerà trovare un esperto dell’antico quiru, la lingua antidiluviana, per riuscire a scoprire cosa narrano queste iscrizioni. Io purtroppo non posso tradurle».

«Ma si può, dottore?» chiese Atar, che si era avvicinato anche lui ai bassorilievi «Potremo sapere tutta la storia di quel Gigante?».

«Sicuramente sì, ma chissà quanto tempo ci vorrà. Voi non conoscete nessuno che possa conoscere il quiru?».

«No, purtroppo. Ma appena si spargerà la voce, potete stare sicuro che molti studiosi di cose antiche si fionderanno qui, e faranno a botte per avere il privilegio di tradurre le iscrizioni».

«In ogni caso, ci vorrà molto tempo per riuscire a tradurre in modo credibile un così lungo testo in una lingua morta da quasi quattromila anni. E io sarei tanto curioso…. è l’occasione per conoscere molti segreti dimenticati del nostro passato. Un’occasione unica che dovremo stare attenti a non perdere».

«È incredibile il fatto che questo luogo abbia potuto conservarsi intatto fino ad oggi. Nessun ladro è entrato a derubare il luogo. A parte l’ambra alchemica, ci sono poi oggetti di elettro: gli orli dei tripodi, le corna e gli zoccoli del Dio, e diverse altre decorazioni».
«Il fatto che ci troviamo in un luogo abbastanza isolato e poco popolato ha fatto sì che nessuno pensasse di scavare qui. Nessuno qui ha mai saputo che si trattava di una costruzione artificiale. Prima che vi arrivassero gli Akapri, qui c’erano solo boschi. Sono stati loro a piantare le viti sulla

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