lunedì 2 maggio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 88° pagina.


Quando attraversò l’entrata, rimase senza fiato per la magnificenza di ciò che si trovava dietro.

Il blocco di presunta ambra era la cosa meno magnificente di quello che vi si trovava oltre.

Ora, per la prima volta, poteva capire perché la Polenta Verde aveva quella forma a cupola che gli aveva suggerito che si trattasse di una collina artificiale.

Dietro quello che sembrava essere un altare, c’erano degli ampi gradini di pietra scura che portavano alla grande sala che era stata costruita all’interno della collina, o meglio esattamente al centro della sala.

Il luogo aveva una struttura stranissima, l’altare d’ambra si trovava in una sorta di vasca di pietra, da cui si usciva tramite i gradini che si trovavano al lato opposto dell’entrata alla sala.

La sala era a forma di cupola, ed era letteralmente lastricata di piastre e ornamenti della stessa sostanza di cui era fatto lo strano altare. Ornamenti di quella stessa arte, quello stesso stile che aveva visto su quel vaso antidiluviano di bronzo visto tanti anni prima sulle montagne del nord.

Ma la cosa più magnificente era la grande statua di toro che troneggiava proprio di fronte ai gradini dietro l’altare d’ambra, anch’esso sempre della stessa sostanza giallo-arancio e trasparente, a parte gli zoccoli, gli occhi e le corna a falce di luna, che parevano essere fatti di un oro pallido. Forse di elettro, una lega di oro e argento.

Si capiva bene che era quella la divinità a cui era stato dedicato quel tempio sotterraneo. La divinità evidentemente veniva invocata sull’altare dai sacerdoti che offrivano i sacrifici.

Con reverente timore, salì i gradini verso la gigantesca statua. Posò la sua spada proprio ai piedi dei gradini, per timore di offendere lo sconosciuto Dio-Toro.

La sua statua doveva essere alta almeno sei o sette metri, e rifletteva i bagliori della misteriosa fonte di luce del tempio. C’erano due enormi bacili di bronzo sorretti da dei tripodi ai lati della statua, dove bruciavano degli stranissimi fuochi di fiamme scarlatte, del colore del sangue, la cui luce, riflettendosi su quella sorta di ambra che rivestiva la cupola e sulla statua, dava quel tremulo splendore rosso-arancio.

Avvicinandosi ai bacili, Maxtran si accorse di quanto innaturali fossero quelle fiamme. Quando era stato un giovane soldato, aveva visto sulle Montagne Albine, nei lontani confini settentrionali, i bagliori delle aurore boreali, nelle fredde notti di vedetta della fortezza sul passo dove aveva difeso i confini del Regno Verde.

Le fiamme dei bacili erano simili ai veli delle aurore boreali che il vecchio soldato aveva visto tanti anni prima, e del pari non emanavano alcun fumo, e nemmeno nessun calore.

Toccò l’orlo del bacile a destra della statua, e lo sentì gelido. Si accorse che sul fondo del bacile c’era un liquido luminoso, da cui scaturivano le fiamme.

Doveva essere un liquido alchemico sconosciuto ai tempi moderni, frutto della perduta sapienza antidiluviana.

E quelle fiamme fredde e scarlatte dovevano aver illuminato l’interno del tempio ininterrottamente da chissà quante migliaia di anni, senza che nessun occhio mortale potesse contemplarle.

Maxtran dette un’occhiata attorno, per capire meglio il luogo straordinario in cui si trovava. Fu attratto da qualcosa che notò sul pavimento di lucida pietra nera, proprio sotto la statua, fra le quattro zampe.

C’era una grande lastra di vetro rettangolare, lunga circa quattro metri, che scintillava di riflessi diversi da quelli che emanavano la statua e le pareti ambrate, molto più brillanti. La lastra era fissata al pavimento di pietra da una cornice dello stesso bronzo di cui erano fatti i bacili fiammeggianti.

Sul momento, Maxtran pensò che potesse essere una sorta di entrata ad una cripta sottostante, ma avvicinandosi, vide qualcosa che all’inizio non riuscì neanche a capire.

C’era qualcosa sotto la lastra di vetro, in una sorta di nicchia dalle pareti istoriate, sempre della stessa sostanza ambrata e trasparente della statua e della cupola. Qualcosa che sembrava una grande statua umana di cristallo leggermente smerigliato, sdraiata supina sul fondo della nicchia.

Subito dopo Maxtran scoprì con orrore che all’interno della statua di vetro si potevano vedere i particolari, perfettamente delineati, di uno scheletro umano, anch’esso trasparente, ma di un vetro più torbido, lattescente, quasi madreperlaceo.

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