martedì 19 gennaio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 9° pagina.


tutti i privilegi che le spettavano, oltre a subire la disapprovazione della famiglia e della comunità, che difficilmente la riaccoglieva.

Non c’era da stupirsi quindi che la maggior parte di quelle giovani fuggisse prima di venire scoperte, nella speranza di evitare almeno la vergogna pubblica. Ma quella ragazza aveva una gravidanza  già molto avanzata. Forse avrebbe partorito nel giro di un mese o due. Quindi, se era fuggita, doveva esserlo da parecchio tempo. Se si era rifugiata in qualche luogo, doveva essere stata nutrita e curata in modo ineccepibile.

Larsin preferì tenersi i propri pensieri per sé. Istintivamente, solidarizzava per quelle ragazze che si vedevano punite così aspramente per un solo momento di debolezza. Se il suo sospetto si fosse rivelato corrispondente a verità, avrebbe fatto di tutto per aiutare la ragazza a rifarsi una vita onorata.

Sapeva che, in quel caso, il dottore gli avrebbe dato una mano, dato che notoriamente non aveva molta simpatia per il clero. Ma sua moglie, donna estremamente devota, avrebbe potuto trovare da ridire. Certo, alla fine era solo la decisione della vecchia matriarca Aranthi, che contava, e non c’era motivo per pensare che lei non avrebbe voluto accogliere la poveretta.

La catena dei suoi pensieri fu arrestata dalle parole del dottore.

«Larsin, mentre la portavi qui, ha mai dato segni di riprendersi in qualche modo? Voglio dire…. Si è mai mossa, ha mai aperto gli occhi, o mormorato qualcosa?»

«Niente, dottore. Come un fantoccio. Si è lasciata trasportare come se fosse un sacco di patate, o uno spaventapasseri. La sentivo respirare, ma non ha mai emesso un lamento. Come se fosse in un sonno profondo».

«È strano… non ha ferite, niente lesioni, nemmeno botte. Il polso è regolare. Non vedo niente di anormale, sembrerebbe quasi che sia in catalessi, come sotto l’effetto di una droga, forse…. Adesso proverò a risvegliarla».

Tirò fuori dalla sua borsa una fiala piena di cristalli immersi in un liquido torbido, e quando la stappò un odore aspro e penetrante invase la camera.

Larsin storse la bocca.

«Cos’è quella roba? Ha un odore simile al fiato che aveva mio padre quando era ubriaco… poco prima di morire!».

«Sali farmaco-alchemici, ideali per chi ha perso i sensi… agitaglieli di fronte alle narici, mentre io le faccio un massaggio ai polsi….».

Mantenendo sempre la stessa espressione schifata, Larsin piazzò la fiala trasparente di fronte al naso della ragazza, pensando che forse il dottore, più che farla riprendere, voleva soffocarla in modo da avere un paziente in meno.

Se ne sarebbe ricordato, la prossima volta che qualcuno fosse svenuto in famiglia.

Mentre il dottore le massaggiava i polsi, arrivò Syndrieli trafelata.

«Chi è questa povera ragazza? Com’è ridotta?».

«Non lo sappiamo. É svenuta e stiamo cercando di farla riprendere con questa roba… se non la asfissia prima!».

«Sil benedetta, che puzza! E poi accusano noi contadini di propagare le puzze nel mondo! Farà bene a riprendersi presto questa ragazza, prima che il fetore di quella roba si attacchi ai muri e ci resti per un mese!».

«Suvvia, ci sono medicinali molto più puzzolenti… e poi vorrei che assisteste a un’autopsia, così poi sarei sicuro che non vi lamentereste più dei miei rimedi….».

«Un’auto… che?».

«Un’autopsia, Erkan. Chiedi a tuo padre che cos’è…».

«Mh… perché non glielo spieghi tu, dottore?».

«Eh no, mio caro Larsin….  A parte il fatto che il lavoro più facile lo stai facendo tu, è compito della madre o del padre istruire i figli, … giusto? E siccome adesso Syndrieli sarà così gentile da andare a prendere dell’acqua, nel caso questa sventurata fanciulla debba riprendersi, il compito spetta a te».

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