l’avevano aiutata a preparare la cena, la matriarca Aranthi
e tutto lo stuolo di figli e nipoti, a parte suo figlio maggiore Enkar, che
aveva accompagnato il padre Larsin e i due zii.
Ovviamente, alla tavolata c’era anche Thymrel, timida e
silenziosa.
Si era formata un’atmosfera di protezione nei confronti
della giovane. Di comune accordo, Syndrieli e Larsin avevano proposto alla
matriarca Aranthi di raccontare una storia inventata per proteggerla dalla
curiosità altrui e da pericolosi sospetti.
Larsin disse che avrebbe raccontato che si trattava di una
sua cugina rimasta in miseria, che trovandosi incinta e orfana, e senza un uomo
che la aiutasse, era venuta a vivere da lui e la famiglia di Syndrieli l’aveva
accolta benevolmente.
Siccome Larsin non era di quelle parti, nessuno avrebbe
avuto motivo di dubitare di questa spiegazione.
Avevano chiesto al dottor Laran di confermare quella storia,
e lui non aveva fatto opposizioni. Se si fosse saputo in giro quello che aveva
raccontato la ragazza, sarebbe stata considerata una pazza, o un essere
pericoloso e stregato. E quel che era peggio, i gendarmi si sarebbero
interessati a lei.
Per Larsin, la festa di Tinsi Kerris era l’occasione per
allontanarsi da casa e divertirsi un po’ come voleva lui. Non era una festa da
passare obbligatoriamente in famiglia, come invece era per il Tinsi Sil Ainis, la Festa del Solstizio
d’Inverno, da celebrare nel chiuso delle case strette dalla morsa del gelo
invernale.
Erano soprattutto le giovani senza figli e ancora senza alcun
legame, i giovani che non avevano ancora cominciato a praticare il “matrimonio
notturno” o la convivenza, gli uomini che non volevano alcun legame neanche in
età matura, e i mariti e i conviventi più insofferenti delle loro matriarche
contadine, che si recavano presso i falò nei campi per mangiare e ubriacarsi e
amoreggiare, seguendo le tradizioni degli antichi riti di fecondità e
prosperità che si perdevano nella notte dei tempi, invocando Dei il cui culto
era praticato ancora prima della nascita del culto di Sil, la grande divinità
solare dei Thyrsenna, ancor prima dell’antico Diluvio che aveva sommerso il
mondo più di quattromila anni prima.
Anche se Larsin era un uomo attaccato alla sua donna,
sentiva il bisogno di allontanarsi ogni tanto da lei, anche per evitare di
litigare troppe volte. E a lei andava benissimo così.
Quella volta si era tirato dietro il figlio perché lo
riteneva abbastanza grande per partecipare alla baraonda, anche se lo avrebbe
sorvegliato e gli avrebbe impedito di bere sidro, birra o vino.
Un pio desiderio, perché gli adulti erano sempre pronti ad
offrire al ragazzino ogni bendeglidei, compresi gli alcoolici.
E mentre Larsin si lasciava andare alle danze in compagnia
di compiacenti ragazze da marito, attorno al grande falò su cui bruciava il
grande spaventapasseri di legno e paglia, Erkan se ne stava a chiacchierare con
i ragazzi grandi, per cercare di sentirsi grande anche lui, standosene tutti
seduti sull’erba a sorseggiare la birra tradizionale del Veltyan, una strana
mistura di malto, orzo, grano, , miele, prugne, nocciole e fichi fatti tutti
fermentare assieme.
«Stanotte c’è la luna piena,» disse Iker, un ragazzo di
diciassette anni, lontano cugino di Erkan. «Doppia festa per chi vive nei
boschi. Avremmo dovuto andare presso le Fate, a partecipare alle danze del belk».
«Già, e chi ci sarebbe riuscito a raggiungere le dimore
delle Fate? Non certo tu!» sbottò sua sorella minore Veli.
«E che ne sai, tu??? Basta conoscere qualcuno che è in
amicizia con loro, e riesci a farti invitare alle loro feste, a quanto si
dice….».
Erkan drizzò le orecchie. Si parlava di Fate e lui
ovviamente era interessato.
«Conosci delle Fate?».
«Beh, io no. Ma conosco persone che le incontrano
abitualmente nel bosco… sì, insomma, gente che va al belk, la festa di plenilunio delle Fate».
«Il belk? E che
è?».
«Ma sei proprio un ragazzino ignorante! Cosa t’interessi
delle cose dei grandi? Di ‘ste robe i ragazzini non devono saperne niente!».
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