mercoledì 27 gennaio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 17° pagina


L’unica altra via d’entrata era una profonda gola dove scorreva un torrente fragoroso che si collegava poi a uno degli immissari dell’Eydin, chiamata la Gola dei Sospiri, a causa del curioso rumore che facevano i venti passando fra quelle pareti rocciose.

Là i pionieri avevano costruito una serie di ponti che permettevano di percorrere un sentiero che costeggiava il torrente della gola, per arrivare alla fine ad accedere ad un piccolo lago ai bordi della valle, ancora più piccolo di quello che si trovava al suo centro.

Comunque, quando i primi pionieri vi erano giunti provenendo dai passi occidentali, e avevano visto il grande bacile della valle dall’alto, l’avevano chiamata la Valle dei Gigli per l’altra strana caratteristica che aveva, oltre al fatto di avere la forma di un cratere.

Nei vasti prati del fondovalle cresceva una quantità enorme di gigli di montagna, di una varietà dal colore scarlatto che difficilmente si trovava altrove.

Non si conosceva alcun luogo dove crescessero così tanti fiori di una sola specie, che coprivano i prati della valle a tal punto da farli sembrare dei campi di papaveri.

I primi pionieri ne rimasero affascinati, e pensarono che fosse un posto bellissimo dove vivere, essendo la valle ampia e fertile.

Gruppi di coloni agricoltori e pastori si stabilirono nella Valle dei Gigli, che vi fondarono cinque villaggi, e su di una rocca ai bordi della valle fu costruito un tempio a Sil, la Grande Dea del Sole, e un palazzo nobiliare, secondo le tradizioni millenarie dei Shepenna, i conti-vescovi del Veltyan.

La regina Alkyndri aveva consegnato la proprietà e l’amministrazione della Valle dei Gigli ad una figlia del casato di sacerdoti-conti dei Malyrian della città di Maristei, e là la contessa-sacerdotessa aveva fondato il suo casato, che aveva come stemma tre gigli scarlatti dentro una falce di luna.

Pare che i primi quarant’anni dalla colonizzazione della valle fossero stati prosperi.

Non ci veniva tanta gente, i coloni vivevano piuttosto isolati, ma prosperavano. I pascoli e i campi erano rigogliosi, gli armenti si moltiplicavano, e lo stesso isolamento della Valle giovava al suo benessere, perché gli stessi briganti di montagna - o eventuali tribù barbariche provenienti da oriente - difficilmente potevano raggiungere quel luogo quasi inaccessibile, perché la gola, che era l’unica via di entrata sicura, era ben sorvegliata dalle guardie del casato locale, e per la sua natura era facilmente difendibile.

Ma non era neanche passato mezzo secolo, che cominciarono ad accadere cose strane.

Cominciarono a correre strane leggende sulla Valle dei Gigli. Molti raccontavano che nelle notti più limpide, soprattutto d’inverno, venivano notate sulle cime circostanti delle misteriose luci che si muovevano sulle pendici, fra le nevi e le rocce, e che sparivano poi dietro i crinali o dentro il folto delle foreste sottostanti.

Inizialmente la cosa fu attribuita ad attività del popolo fatato.

Ma le Fate delle Montagne della Luna, che tra l’altro non erano molto numerose, come tutte le comunità fatate del Veltyan, negavano di avere nulla a che fare con la Valle dei Gigli e con i loro dintorni.

Anzi, come il popolo dei Nani dello Zerennal Baras e i Sileni delle foreste, non ne volevano neanche parlare, come se considerassero anch’esse quella regione un luogo maledetto dagli Dei.

Cosa fosse successo dopo, non era chiaro, e nessuno poté scoprirlo con esattezza.

Dopo secoli, le leggende si erano accavallate, non era più possibile distinguere la diceria popolare dai fatti.

Ma che fosse successo qualcosa di spaventoso ed inesplicabile, non c’era alcun dubbio, e nessuno storico l’aveva mai messo in forse, anche se qualcuno aveva cercato di proporre delle spiegazioni che non ricorressero al magico e al soprannaturale.

La spiegazione che invece correva da sempre fra il popolino e i sacerdoti, era ovviamente che la gente della Valle dei Gigli aveva commesso gravi colpe contro gli Dei, e perciò era stata punita.

La leggenda, comunque, diceva che tutto era cominciato un brutto giorno, per un caso banalissimo, quasi un gioco.
Esisteva, al limitare della valle, sul bordo opposto a dove si trovava l’entrata alla Gola dei Sospiri, un bosco con una piccola radura. Quella radura aveva fama di essere un luogo di raduno delle Fate,

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