Nessuno sa che lei è qui, nessuna l’ha vista. Posso anche
raccontare che è una mia lontana cugina povera venuta a lavorare da noi. Cosa
ti costa, dottore? Se salta fuori la verità, potrai sempre dire che tu non
sapevi niente, no?».
«Va bene, Syndrieli. Hai vinto tu. Vedo bene che ci tieni
molto a questa ragazza e al suo bambino. Ve la lascio, ma mi riservo di
visitarla spesso, e intendo farle ancora delle domande, fino a quando non avrò
scoperto qualcosa…. va bene?».
«Tutto quello che vuoi, dottore, ma non consegnarla ai
gendarmi».
In quel momento sbucò Erkan dal frutteto, con un cesto di
mele, che disse: «Allora, dottore, sta bene la nostra Fata?».
Larsin fece il gesto di mollargli una sberla.
«NON è una Fata, lo vuoi capire???».
«E allora chi è? Tra l’altro, dice di venire dalla Valle dei
Gigli! Ci sono solo due tipi di persone che possono dire di venire di là: o un
matto, o un essere fatato. Chi altri?».
«Lei NON viene dalla Valle dei Gigli!».
Thymrel si riscosse e si voltò di scatto verso Larsin, quasi
furiosa, ma con un’espressione di disperazione dipinta in volto.
«Perché dici che non vengo di là? Credi che sia una
bugiarda? Avevo la mia casa là, in centro alla valle, vicino al lago di Bryel,
dove vivevo con la mia famiglia, dove vorrei poter ritornare. Mi ricordo i
gigli della valle, che fiorivano in estate a migliaia, e i campi diventavano
rossi come il sangue…. sono cresciuta vedendo i gigli fiorire ogni anno, e mia
madre mi diceva che in nessun altro posto al mondo crescevano così tanti gigli
come nella nostra valle, per questa la chiamavano così! La mia bella valle che
forse non rivedrò mai più…. E tu insisti col dire che non vengo da lì? Perché?
Cosa ti spaventa?».
Larsin ammutolì e sbiancò in volto. Non osò replicare
niente, ma si vedeva che il discorso della ragazza l’aveva spaventato. E non
solo lui.
«Visto? È una Fata, non c’è dubbio!» bisbigliò Erkan al
dottore.
«Indubbiamente è una persona molto particolare». Gli
rispose.
Quella stessa sera, chiuso nel suo studio, seduto sulla sua
poltrona in mezzo ai suoi libri, il dottore continuò a rimuginare le parole
della misteriosa Thymrel.
Lei era convinta di venire da quel posto di cui la gente non
osava quasi neanche pronunciare il nome, e tanto meno considerava anche solo la
possibilità di avvicinarsi. Eppure lei affermava la sua provenienza con una
sicurezza e una serenità che lasciavano sconcertati, come se non sapesse
assolutamente niente di ciò che era successo in quel luogo lontano e
terrificante. E chiaramente non capiva che quello che diceva non poteva avere
alcun senso, perché nessuno poteva vivere ancora là.
Semmai, poteva essere reticente su quello che era successo dopo aver lasciato il suo presunto luogo
natìo. Velthur era convinto che ricordasse di più di quello che voleva far
credere, ma che per un’oscura ragione non volesse rivelarlo.
Ad un certo punto, si alzò dalla sua poltrona e si diresse
verso le finestre che davano ad oriente, verso la catena delle Montagne della
Luna, così chiamate per il loro lunare, quasi spettrale biancore, le cui prime
cime distavano al massimo una cinquantina di chilometri, oltre le colline che
ne erano i prodromi.
Si ricordò di uno dei volumi della sua libreria esoterica e
misterica. Si chiamava L’Ombra delle Leggende di Perun
Oyarsun.
Era una raccolta di tutte le più misteriose e paurose
leggende di tutto il Veltyan, di tutti gli eventi misteriosi narrati dalle
cronache antiche e moderne. E naturalmente c’era anche la storia della Valle
dei Gigli.
Andò a cercare quel volume, perso fra centinaia di altri. Ci dovette
mettere un po’ di tempo a trovarlo, perché era parecchio tempo che non lo
leggeva più. Era stata una delle sue passioni da giovane, quando provava più
interesse per il lato misterioso ed insolito dell’esistenza, ma ora, divenuto
scettico e maturo, non consultava più quel genere di libri di tipo misterico,
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