lunedì 25 gennaio 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 15° pagina


Nessuno sa che lei è qui, nessuna l’ha vista. Posso anche raccontare che è una mia lontana cugina povera venuta a lavorare da noi. Cosa ti costa, dottore? Se salta fuori la verità, potrai sempre dire che tu non sapevi niente, no?».

«Va bene, Syndrieli. Hai vinto tu. Vedo bene che ci tieni molto a questa ragazza e al suo bambino. Ve la lascio, ma mi riservo di visitarla spesso, e intendo farle ancora delle domande, fino a quando non avrò scoperto qualcosa…. va bene?».

«Tutto quello che vuoi, dottore, ma non consegnarla ai gendarmi».

In quel momento sbucò Erkan dal frutteto, con un cesto di mele, che disse: «Allora, dottore, sta bene la nostra Fata?».

Larsin fece il gesto di mollargli una sberla.

«NON è una Fata, lo vuoi capire???».

«E allora chi è? Tra l’altro, dice di venire dalla Valle dei Gigli! Ci sono solo due tipi di persone che possono dire di venire di là: o un matto, o un essere fatato. Chi altri?».

«Lei NON viene dalla Valle dei Gigli!».

Thymrel si riscosse e si voltò di scatto verso Larsin, quasi furiosa, ma con un’espressione di disperazione dipinta in volto.

«Perché dici che non vengo di là? Credi che sia una bugiarda? Avevo la mia casa là, in centro alla valle, vicino al lago di Bryel, dove vivevo con la mia famiglia, dove vorrei poter ritornare. Mi ricordo i gigli della valle, che fiorivano in estate a migliaia, e i campi diventavano rossi come il sangue…. sono cresciuta vedendo i gigli fiorire ogni anno, e mia madre mi diceva che in nessun altro posto al mondo crescevano così tanti gigli come nella nostra valle, per questa la chiamavano così! La mia bella valle che forse non rivedrò mai più…. E tu insisti col dire che non vengo da lì? Perché? Cosa ti spaventa?».

Larsin ammutolì e sbiancò in volto. Non osò replicare niente, ma si vedeva che il discorso della ragazza l’aveva spaventato. E non solo lui.

«Visto? È una Fata, non c’è dubbio!» bisbigliò Erkan al dottore.

«Indubbiamente è una persona molto particolare». Gli rispose.

Quella stessa sera, chiuso nel suo studio, seduto sulla sua poltrona in mezzo ai suoi libri, il dottore continuò a rimuginare le parole della misteriosa Thymrel.

Lei era convinta di venire da quel posto di cui la gente non osava quasi neanche pronunciare il nome, e tanto meno considerava anche solo la possibilità di avvicinarsi. Eppure lei affermava la sua provenienza con una sicurezza e una serenità che lasciavano sconcertati, come se non sapesse assolutamente niente di ciò che era successo in quel luogo lontano e terrificante. E chiaramente non capiva che quello che diceva non poteva avere alcun senso, perché nessuno poteva vivere ancora là.

Semmai, poteva essere reticente su quello che era successo dopo aver lasciato il suo presunto luogo natìo. Velthur era convinto che ricordasse di più di quello che voleva far credere, ma che per un’oscura ragione non volesse rivelarlo.

Ad un certo punto, si alzò dalla sua poltrona e si diresse verso le finestre che davano ad oriente, verso la catena delle Montagne della Luna, così chiamate per il loro lunare, quasi spettrale biancore, le cui prime cime distavano al massimo una cinquantina di chilometri, oltre le colline che ne erano i prodromi.

Si ricordò di uno dei volumi della sua libreria esoterica e misterica. Si chiamava  L’Ombra delle Leggende di Perun Oyarsun.

Era una raccolta di tutte le più misteriose e paurose leggende di tutto il Veltyan, di tutti gli eventi misteriosi narrati dalle cronache antiche e moderne. E naturalmente c’era anche la storia della Valle dei Gigli.
Andò a cercare quel volume, perso fra centinaia di altri. Ci dovette mettere un po’ di tempo a trovarlo, perché era parecchio tempo che non lo leggeva più. Era stata una delle sue passioni da giovane, quando provava più interesse per il lato misterioso ed insolito dell’esistenza, ma ora, divenuto scettico e maturo, non consultava più quel genere di libri di tipo misterico, scritti da

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