giovedì 22 settembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 203° pagina.


«Ma il mio amico non c’entra. Non l’ha fatto apparire lui. Non saprebbe neanche come fare. Vi prego… ci lasci arrivare almeno al prossimo scalo, prenderemo un altro barcone….».

«No, per gli Dei degli Inferi! Voi non andate da nessuna parte. Siete stregoni! Siete saliti qui per portare sventura! Per diffondere sventura sul fiume, fino alla città! Siete voi che evocate i Demoni Oscuri che infestano questa regione! Adesso giuro che se non vi gettate in acqua subito, vi ammazzo!».

E calò la pala del remo proprio sulla schiena di Menkhu, che lanciò un gemito di dolore, senza però osare difendersi.

Fu in quel momento che si sentì un forte sciaguattìo sul fianco della barca, e con fragore acqueo emerse dal fiume una figura verde-scuro dagli occhi scarlatti, che emise un urlo stridulo e gracchiante. Un urlo che divenne subito una voce inumana che parlava la lingua dei Thyrsenna.

«Fermo! Lasciali stare! O sarò io a gettarti nel fiume! Io che ne sono il padrone!».

L’uomo mollò il remo, e indietreggiò terrorizzato, balbettando.

«Stregoneria, ecco cos’è…. adesso c’è anche un Saguseo di mezzo!».

Velthur e Menkhu rimasero ancora più paralizzati. Menkhu, in particolare, spiava da sopra il suo braccio che gli schermava il volto, la colossale figura scura che si reggeva con le braccia tese sopra i fianchi del barcone, con un bagliore di terrore nei suoi occhi gialli. Non aveva mai visto un Saguseo in vita sua, e ne sapeva pochissimo, se non che il loro aspetto era terrificante.

Con un rumore viscido, l’essere issò le gambe lunghe e possenti, dagli enormi piedi palmati, sul ponte del barcone, e avanzò minaccioso verso il barcaiolo. I suoi piedi a tre dita mandavano un rumore come di stracci bagnati sbattuti sulla pietra di una fontana. La sua voce era come un risucchio melmoso.

«Li lascerai arrivare al prossimo scalo, sani e salvi, e poi ti dimenticherai di loro. Non dirai a nessuno di ciò che hai visto e non dirai a nessuno che li hai caricati sulla tua barca, né di averli mai visti. Bada, se non farai come dico, la pagherai, perché io ti seguirò dovunque tu vada, almeno finché lavorerai sul fiume».

Appena ebbe finito di parlare, l’essere acquatico si gettò nel fiume con la rapidità di un delfino, e apparentemente scomparve. Più tardi, però, quando la barca uscì dal banco di nebbia, Velthur poté scorgere i suoi occhi rossi e brillanti che spuntavano dall’acqua, sul fianco destro della barca.

Dopo l’incredibile apparizione, sul barcone calò il silenzio del terrore. Nessuno dei tre aveva più il coraggio di parlare, e fu così fino a quando arrivarono allo scalo del paese di Sartiuna.

Menkhu se ne stava rannicchiato ai piedi di Velthur, che gli teneva protettivamente la mano sulla spalla, mentre teneva d’occhio il barcaiolo, che evitava il suo sguardo.

Appena furono scesi sul pontile di pietra alle porte del paese, Menkhu chiese di andare in una locanda.

«Ho bisogno di bere un goccio, per tirarmi su. E poi, la schiena mi fa un male….».

«Già, immagino. Penso che un boccale di vino te lo sei meritato, amico mio, anche se è ancora mattina presto».

Una volta trovata una locanda, fecero il punto della situazione.

«Hai fatto presto a trovarlo, un posto dove andare a bere qualcosa.».

«Io sono cresciuto qua, prima di andare a studiare ad Enkar. Mia nonna era una delle matriarche più importanti, e per questo ha potuto darmi i soldi per studiare».

«I tuoi parenti vivono ancora qui?».

«Mia sorella e mio fratello. Gli ultimi membri rimasti della nostra famiglia. Ma sono anni che non li vedo».

«Non vai mai a trovarli?».

«No, non siamo mai andati d’accordo. E poi, quando mi sono convertito all’Aventry, non hanno voluto più saperne niente di me. Né io di loro».

«È triste, questo….».
«Non per me, non sono mai stato felice nella mia famiglia. Una volta che me ne sono allontanato, sono stato contento di non lasciare legami di nessun tipo. Vivo solo e sono contento di vivere così.

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