giovedì 8 settembre 2016

"I FIORI DELL'IGNOTO" di Pietro Trevisan: 191° pagina.


«Va bene, contento tu….  ma io preferisco vederti libero come vedevo libero tuo padre e tutti quelli della tua stirpe».

«Io sono libero come prima, Velthur. Ti assicuro. E adesso appena arriviamo a casa tua, te lo dimostrerò. Mi faccio un bel pisolino digestivo e dormo sopra tutta questa faccenda, perché non voglio che tutti questi guai mi tolgano il sonno!».

«Saggia decisione, la seguirò anch’io….».

Invece non ne fu capace. La troppa tensione e i troppi pensieri lo spinsero invece a vagare per il paese a parlare con tutti i conoscenti che incontrava, per raccogliere testimonianze su quello che era successo il giorno prima, o su voci che correvano in giro.

Dopo essere tornato a casa, aveva lasciato Menkhu a dormire sul tappeto del suo soggiorno, perché essendo abituato a dormire sui prati o nel bosco o nei fienili, il Sileno non amava i letti.

Poi aveva visto tornare Ameni dalla locanda del Gatto Nero, dove aveva pranzato con gli altri due medici, e avevano parlato un po’ delle chiacchiere che correvano in paese.

Aveva parlato con l’ostessa della locanda, che era una cugina dell’alkati di Arethyan, e che le aveva raccontato che pareva che la Regina fosse rimasta anche lei sconvolta da quello che era successo, perché aveva avuto una visione anche lei, dall’alto del tumulo, e l’aveva interpretato come un segno divino. Ma erano solo dicerie, non si era sicuri che fosse proprio così. Non si sapeva neanche quanto sarebbe rimasta ancora nella villa dei Tezanfalas. Secondo il programma originario, avrebbe dovuto fermarsi solo un paio di giorni, ma ora si pensava che avrebbe fatto una seconda visita al Santuario, per raccogliersi in preghiera e meditazione, e invocare la Luce di Sil.

«E tu, Amani? Presi dal nostro dovere di medici, non abbiamo parlato di cosa è successo a noi. Ho avuto anche io una visione spaventosa, ho visto un essere di nebbia nera e di serpenti di fuoco che ha dispiegato delle ali nere e si è librato in cielo sopra le nostre teste. Qualche tempo fa, ho ingerito una potente droga e ho avuto delle visioni in certo modo simili a quella di ieri, e anche questo mi ha suggerito l’idea che siamo stati esposti a dei vapori allucinogeni usciti dal Santuario.

Tu invece che cosa hai visto, se hai visto qualcosa?».

«Ha importanza?».

«Lo ha per me. Pare che alcune persone non abbiano visto niente. Raccogliendo testimonianze sulle varie esperienze, forse vengo a capo di qualcosa, magari appunto nello stabilire se la causa è conosciuta, o se davvero dobbiamo pensare a una forza spirituale….».

«Io ero presso la strada lastricata, cioè dal versante opposto a quello dove stavi tu. E ho visto qualcosa che mi ha fatto svenire dalla paura, perché era a pochi metri da me. E quel che è peggio, è che l’ho visto come vedo te in questo momento. Ricordo che ero lucidissima, assolutamente sveglia e stavo parlando con altri pellegrini, poi è sbucato il sole con quella strana luce rossa, e mentre tutti se ne stavano a guardare in alto, io ho colto con la coda dell’occhio una figura strana che camminava fra la gente accanto a me.

Mi sono voltata, e mi si è gelato il sangue nelle vene, perché era qualcosa di mostruoso. Non era né un Uomo, né una Fata, né un Sileno, né un Nano e neanche un Tritone, né alcun animale conosciuto, ma qualcosa di molto più orribile. Aveva una forma vagamente umana, nel senso che aveva una testa, due braccia, due gambe, ma la somiglianza con noi si fermava poco più in là. 

E quel che era più incredibile, era che avanzava in mezzo alla gente come se niente fosse, indifferente a tutti, mentre tutti quanti sembravano non vederlo. Eppure, ti giuro, aveva un aspetto così reale, così presente. Ne ho sentito persino l’odore, un odore disgustoso che non saprei a cosa paragonare. Mi ricordava un’orrenda mescolanza fra patate marce e incenso, un odore che io odio.

Mi è passato accanto a tre-quattro metri, forse anche meno, al mio fianco destro. Ricordo perfettamente che era biancastro, un colore simile a quello della panna, ma con sfumature  giallognole e completamente squamoso. La sua pelle ricordava quella di un ramarro, e aveva braccia e gambe lunghissime, sottili, che gli davano un’andatura ondeggiante, quasi scimmiesca. Il corpo era orribilmente deforme, con il torace enormemente largo e la schiena curva quasi come quella di un gobbo.

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